Recensione Vampyr: tra luci e ombre, come il Crepuscolo

Scienza contro misticismo, Storia contro leggenda, brama contro disciplina… Vampyr è tutto questo, intramezzato dalla cifra stilistica di Dontnod   

Completato Vampyr, chi sta davanti allo schermo rimane sospeso tra la sete di un’altra partita e quel senso di incompiutezza che si prova quando la realtà dei fatti non riesce a competere con il ricordo (o le aspettative, in questo caso). Come sospeso rimane d’altra parte il giudizio sull’ultima fatica di Dontnod, che va lasciato decantare come si farebbe con un vino d’annata – rigorosamente rosso, in questo caso.

Vampyr è un rubino grezzo, una serie di tracce ematiche pulite troppo di fretta. Ma in fondo basta un po' di luminol per farle brillare.

 

C’è romanticismo, in Vampyr.

 

Un titolo romantico
In senso letterario, visto che ci si muove attraverso una Londra dalle atmosfere tipicamente gotiche, una City da respirare in notturna e attraverso la piaga dell’influenza spagnola che la sta martoriando. Un setting stokeriano quasi fuori tempo massimo, ma che gli sviluppatori hanno immortalato in modo evocativo, nonostante la povertà di mezzi tecnici che sarà la dannazione eterna per Vampyr.

Ma anche in senso letterale, visto che l’amore è il punto di inizio e di fine dell’esperienza, racchiusa tra la scellerata prima (e, se voi vorrete, anche ultima) vittima di Jonathan Reid – sua sorella Mary, a condividere il nome con l’autrice del Moderno Prometeo – e l’epilogo a cui si arriva dopo aver attraversato sette capitoli, con un tempo impiegato che anche qui dipende dal giocatore.

 

In una Londra dove la nebbia cui si associa la City nell’immaginario comune è impregnata da una pandemia mortale, Jonathan Reid muore e rinasce a nuova (non) vita nelle prime battute dell’esperienza, risvegliandosi come un vampiro e condannato a bere il sangue degli innocenti per sopravvivere. Ma (ironia della sorte? Insomma) John è un dottore, uno dei massimi esperti di trasfusioni di sangue e a tutti gli effetti un uomo di scienza, che assieme alla condanna alla vita eterna si ritrova a fare i conti anche con un sovrannaturale che sfugge alla logica e a tutto quello in cui crede.

 

Vampyr si gioca così, sospesi tra il Giuramento di Ippocrate del protagonista e la sua natura di novello Dracula

 

Ludica e narrativa vengono influenzate davvero dalle scelte fatte
Un dualismo che si riflette in tutto e per tutto sull’esperienza, sia dal punto di vista narrativo che da quello ludico, mai come in questo caso uno parassita dell’altro. Perché il giocatore dovrà guidare la sete di Jonathan decidendo di reprimerla, prendendosi cura dei suoi pazienti e dei personaggi non giocanti che si incontrano nei quartieri in quarantena di Londra oppure banchettando con il loro sangue, circuendoli e nutrendosi dei loro corpi per diventare più forte. La prima scelta che si deve fare è questa, e influenza la storia perché eliminando un dato personaggio poi non solo non sarà più possibile interagire con lui, ma a cascata si condizionano le interazioni con gli altri personaggi della sua cerchia sociale e si perde la possibilità di carpire altri indizi, altri background dietro le loro personalità. Ed influenza anche il gameplay, perché mangiare i cittadini è il modo più facile di accumulare sangue – inteso come Punti Esperienza – per diventare un Nosferatu più temibile, accedendo ad altre abilità e potenziando quelle già sbloccate. Una scelta stilistica che riflette in modo tangibile il limbo in cui immaginiamo viva un vero vampiro, indeciso costantemente tra il placare la sua fame perché sarebbe più facile ed il resistere perché invece sul lungo termine c’è (letteralmente) tutta l’eternità per pentirsene. Al di là di quanto potrebbero fare dei trofei in questo senso – che pure ci sono – Dontnod riesce così ad incanalare il concetto di vampiro in un videogioco come mai prima d’ora c’era capitato, dando un peso e una conseguenza praticamente ad ogni scelta che si decide di fare narrativamente e anche ludicamente (non vi sveleremo perché, ma c’è anche la possibilità di andare in debito di Punti Esperienza…). E facendo in modo che poi questo peso sia persistente, oltre che consistente, visto che la situazione nei vari quartieri di Londra dipende da come si decide di giocare, e a seconda di questo cambia il tipo di sfida ed il numero (oltre alla pericolosità) delle creature che si incontrano nei vicoli bui della City.

 

vampyr recensione

 

Mai giocato un vampiro così sentito
Dontnod insomma è andata oltre al semplice inserimento di missioni secondarie, improntando l’esperienza più che altro sulle interazioni secondarie: decidere se e quando mangiare un cittadino, quanto a fondo interagire con lui per carpire indizi sulla sua cerchia (che comunque, talvolta richiedono anche un po’ di esplorazione della City) cambia la faccia dell’esperienza, lasciando al giocatore il compito di decidere quanto scavare, quanto potenziarsi e anche quanto approfondire della mitologia di gioco. Chi sono gli Ekon? Cosa sta succedendo a Londra? Perché proprio John? Tutte domande a cui Dontnod risponde, se chi sta dall’altra parte dello schermo è disposto ad ascoltare. In modo anche convincente, andando a riconfermarsi come un team che da questo punto di vista ci sa fare dopo un controverso Remember Me e un decisamente più acclamato Life is Strange.

 

E questa volta, tra l’altro, la scelta del finale migliore dipende da tutte le altre, a differenza di quanto visto nel caso di Max e Chloe.

 

 

Tanta sostanza anche pad alla mano
C’è insomma a schermo una certa maturazione dello studio, che non solo riesce a confermarsi ma riesce in un certo qual modo a rilanciare, correggendo quello che forse era il difetto principale del suo titolo più famoso. E facendolo in un contesto più “ludico” e meno story-driven, visto che altrettanta attenzione è stata riposta nelle meccaniche di gioco: Vampyr pad alla mano è un titolo assolutamente piacevole da giocare, regalando tante soddisfazioni quando si decide di venire alle mani con la Guardia di Priwen – i nemici “umani” o con gli altri non-morti presenti sulla mappa. Gli approcci possibili sono mutevoli; corpo a corpo o combattimento a distanza, velocità di esecuzione o difesa più lenta, addirittura qualche variante più tattica con un paio di abilità che riprendono la filosofia dello stealth e quella del mordi e fuggi (è il caso di dirlo). Sono forse queste le due componenti più abbozzate, visto che anche gli elementi di platforming ricevono questo trattamento meno nobile. C’è la possibilità di spostarsi su qualche altura diventando per qualche istante incorporei, ma tutto sommato Vampyr tende a privilegiare l’azione, più che il voler aggirare i nemici o il volerli stendere in modo furtivo. Una macchia nella scacchiera messaci a disposizione da Dontnod, ma non poi così fastidiosa.

 

Il limite – l’incompiutezza – di Vampyr è più che altro figlia degli aspetti puramente tecnici.

 

Parlavamo di un rubino grezzo, in apertura.

 

Si paga un budget non all’altezza delle idee
L’etichetta perfetta è proprio quella, pensandoci. Perché tutti gli aspetti descritti fino a questo momento, tutto quello che ci ha colpito positivamente, si trova a fare i conti con dei limiti tecnici – da imputare ad un budget non al passo con le idee degli sviluppatori – che sviliscono l’esperienza di gioco. Non è questione di grafica, quanto di realizzazione: spesso e volentieri girando per Londra, laddove la City dovrebbe essere se non un unico open world quantomeno un overworld coeso e privo di caricamenti, Vampyr inchioda. Freeze momentanei che nascondono caricamenti, se non caricamenti espliciti veri e propri, intermezzano l’esperienza e spezzano il ritmo di gioco, pregiudicando e appesantendo il desiderio di esplorare tutta la mappa messa a disposizione. Succede anche quando si passa dalla mappa ad alcune zone più “interne”, edifici più articolati o aree secondarie, rendendo il tutto in buona sostanza frustrante.

 

Ma il difetto peggiore? I dialoghi.

 

O meglio, l’impossibilità di mandare avanti veloce i dialoghi se si leggono i sottotitoli più velocemente di quanto li recitano gli attori poligonali a schermo, con il risultato di doversi sorbire ancora e ancora i convenevoli che accompagnano l’inizio e la fine di ogni interazione con i vari personaggi e appesantendo anche questa parte. Un peccato, perché di fatto è la seconda anima di Vampyr, e giocare a fare il detective tra le strade quarantenate della City è parte integrante dell’esperienza di gioco, regalando anche qualche sorpresa e diverse soddisfazioni.

Tra qualche anno, il restauro s’ha da fare
Spesso e volentieri si etichettano come superflue (se non come vilipendio) le operazioni di remake di alcune esperienze: ebbene, tra qualche anno invece ci piacerebbe vedere un Restauro Videoludico di Vampyr, capace di andare oltre questi difetti e consacrandolo definitivamente al suo pieno potenziale. Fino a quel momento, Dontnod ha confezionato un potenziale capolavoro che però richiede pazienza e dedizione; nonostante tutto, gli sviluppatori hanno lasciato sul nostro collo il segno dei loro canini, rendendoci anche questa volta succubi del loro fascino.

Verdetto
8.5 / 10
Impala l'arte e mettila da parte
Commento
Vampyr è il perfetto titolo da far giocare a tutti quelli convinti che gli aspetti tecnici di un'esperienza siano da ritenersi di importanza secondaria, che insomma la grafica non è tutto. Per quanto sia vero - e per quanto Vampyr sia un titolo che dovreste decisamente giocare, perché Dontnod ha confezionato quello che ad ora è il miglior Dracula videoludico che abbiamo avuto la fortuna di giocare - non si può parlare di un vero e proprio capolavoro proprio a causa di questa grezzura, che svilisce ed appesantisce il tutto e lascia, ad esperienza finita, la gola secca per l'incompiutezza nonostante si sia bevuto tanto sangue (e tanto ancora se ne avrebbe voglia di bere). Davvero un peccato, perché su disco c'è davvero tutto il meglio di una Dontnod mai così in forma.
Pro e Contro
Mai giocato un vampiro così ben reso
Pad alla mano assuefacente

x Incompiuto, per via dei difetti tecnici
x Qualche meccanica solo abbozzata

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