Recensione The Silver Case

Suda Goichi, in arte Suda51, è oggi uno dei game designer più celebri e riconoscibili dell’industria videoludica giapponese, anche grazie ai lavori non convenzionali, eclettici e sopra le righe dei suoi Grasshopper Manufacture. Non sempre è stato così. Nel 2005, quando i videogiocatori occidentali entrarono in contatto con Killer7, primo titolo Grasshopper a venir localizzato fuori dal Giappone, Suda era una figura misteriosa ed enigmatica. Spinti dalla curiosità, i fan di Killer7 più incalliti iniziarono ad indagare sul passato del game designer e sui suoi precedenti titoli. La scoperta che Killer7 non era che una parte di un quadro più grande, una serie di giochi denominata Kill the Past, non fece altro che aumentare il desiderio e la voglia di scoprire quel lato ancora nascosto della produzione di Suda. Più che una saga in senso stretto, come normalmente la intendiamo, sotto al nome Kill the Past si raccolgono alcuni titoli che sono tra loro legati a livello di toni e tematiche piuttosto che di trama, per quanto in ogni gioco ricompaiano alcuni dei personaggi dei precedenti. Punto focale di Kill the Past è senza dubbio The Silver Case, il primo gioco sviluppato da Grasshopper Manufacture, una visual novel pubblicata nel 1999 su PlayStation. Mentre il successivo Flower Sun & Rain (PlayStation 2, 2001) riuscì a farsi largo in occidente con un port su Nintendo DS nel 2008, The Silver Case è rimasto del tutto inedito fino ad oggi. È grazie ad una collaborazione tra Grasshopper Manufacture, Active Gaming Media e Playism che il titolo è ora finalmente disponibile su PC, in versione rimasterizzata e localizzata, ben 17 anni dopo l’uscita originale.

 

 

 

Silver Case, il caso di Kamui Uehara
I conoscitori di Suda51 ritroveranno immediatamente in The Silver Case lo stile di titoli come Killer7 e Flower, Sun & Rain, piuttosto che quello ultraviolento, over the top, sboccacciato ed ipercitazionista dei giochi più recenti di Grasshopper Manufacture. Ci troviamo di fronte ad una visual novel dai toni cupi e surreali, in cui si stratificano tematiche e simbolismi più o meno evidenti, dal ritmo lento ma costante e dalla sceneggiatura tanto enigmatica quanto ricca di fascino. The Silver Case è ambientato in una versione alternativa del Giappone del 1999. In una area di recente sviluppo urbano nota come “i 24 Distretti”, Kamui Uehara, pericoloso serial killer, evade dall’ospedale psichiatrico che lo aveva in cura e torna a colpire. Kamui è una figura quasi leggendaria all’interno dei 24 distretti. È solo un assassino o è qualcosa di più? È un rivoluzionario? Un artista? Un mostro? Un eroe? Un simbolo? Un idea? Su Kamui e su queste implicazioni ci ritroveremo ad indagare nei doppi panni di un detective della Heinous Crimes Division, protagonista silente a cui daremo il nostro nome, e di Tokio Morishima, introspettivo e nicotinomane reporter freelance, seguendo due distinte storyline che si intrecceranno più volte, denominate Transmitter e Placebo. Ma il caso di Kamui, il Silver Case, non è che la cornice generale degli avvenimenti narrati dal gioco. Ogni capitolo racconterà un caso differente, alcuni più importanti nell’economia generale della trama, altri apparentemente slegati, ma decisivi per dare corpo alle personalità dei vari comprimari, per impostare il mood generale dell’avventura ed approfondirne le tematiche. L’alternanza dei capitoli Transmitter e Placebo permetterà al giocatore di scoprire gli avvenimenti da due punti di vista differenti, a volte chiarificando le cose, altre volte rendendole ancora più enigmatiche e confuse, mantenendo sempre alta l’attenzione.

 

 

the silver case hd

 

 

Uccidere il passato, per vivere il futuro
La storia e la sceneggiatura di The Silver Case sono senza dubbio l’elemento di maggior interesse del gioco. I dialoghi sono spesso enigmatici, carichi di sottintesi che verranno esplicati solo molto più avanti nel corso dell’avventura o addirittura lasciati alla libera interpretazione del giocatore. Non siamo certo ai livelli di impenetrabilità delle trame di Killer7 o Flower, Sun & Rain, ma The Silver Case è un titolo che richiede al giocatore una discreta dose di riflessione ed interpretazione per comprendere e metabolizzare gli avvenimenti narrati, anche per la stratificazione di sottotrame e tematiche e per una serie di colpi di scena degni dell’Hideo Kojima di Metal Gear Solid 2. Un paragone, questo, che si può estendere anche al livello tematico dei due giochi. Originariamente uscito nel 1999, The Silver Case anticipa il discorso di MGS2 sulle potenzialità ed i rischi della diffusione dell’informazione nell’era digitale e sulla propagazione virale, genetica (forse sarebbe il caso di dire memetica) delle idee. Ancor più impressionante risulta la descrizione della internet giapponese della fine dello scorso millennio che avviene all’interno di uno dei capitoli centrali del gioco. In parte grazie alla visionarietà dell’allora giovane Suda, in parte alla capacità della tecnologia giapponese di anticipare le tendenze future della società, il 1999 raccontato da The Silver Case ci appare allo stesso tempo attualissimo ed arcaico, una sorta di vaporwave ante litteram. Il feeling è per molti versi simile a quello di altre opere giapponesi di fine millennio, soprattutto del filone cyberpunk, come l’anime Serial Experiments Lain od il titolo Atlus Soul Hackers. A complicare le cose troviamo un ulteriore livello tematico, stavolta politico, che mette in luce l’influenza che hanno i grandi gruppi di interesse (in cui i confini tra partito politico, sindacato mafioso e corporazione multinazionale si fanno indistinguibili) sulla vita dei singoli e sullo sviluppo della società nel complesso. Su tutto, infine, aleggia la tematica principale dei giochi Kill the Past. Come suggerisce il nome, quasi tutti i personaggi del gioco hanno un vissuto tragico o esperienze personali drammatiche, esperienze che sono stati costretti a rimuovere, a dimenticare per poter continuare a funzionare come normali esseri umani. I personaggi di The Silver Case sono uomini e donne fondamentalmente incompleti, rotti, imperfetti, segnati da quegli avvenimenti che vogliono lasciarsi alle spalle. Uccidere il passato significa, in ciascuno dei casi in cui è suddiviso il gioco, riportare alla luce quelle esperienze negative ed affrontarle, per poter finalmente andare avanti con la propria vita, un barlume di speranza al termine del tunnel di tenebre di The Silver Case.

 

 

 

 

Vaporwave prima della vaporwave
Come visual novel in The Silver Case la parte narrativa è largamente preponderante su quella strettamente ludica. Grande porzione del gioco è costituita da dialoghi o dalla lettura di email, mentre le componenti esplorativa e di risoluzione di enigmi appaiono in secondo piano e fortemente semplificate. Sono curiosi alcuni sbilanciamenti nella struttura globale del gioco. Ad esempio gli enigmi sono presenti nei capitoli iniziali, vengono completamente ignorati nei capitoli centrali, fanno infine ritorno nel finale. Allo stesso modo, mentre Transmitter mescola narrazione e gameplay, Placebo ci propone quasi esclusivamente lunghe sezioni di dialogo. Non si tratta però di problemi che rendono l’esperienza sgradevole, quanto più una particolarità di The Silver Case, che contribuisce a renderlo ancora più affascinante. Il rifiuto per le regole e le convenzioni è ancora più evidente se si prende in considerazione la realizzazione video del gioco. L’interfaccia si presenta come un guazzabuglio di finestre, su cui si alternano artwork, CGI, filmati FMV ed anime, senza soluzione di continuità. Il giocatore non ha mai il tempo di abituarsi a questa continua esposizione di diverse forme e linguaggi visivi, e ne viene continuamente stimolato. Questa rimasterizzazione si è voluta mantenere estremamente fedele all’originale, e ne conserva ogni elemento, aggiornandolo in alta risoluzione. Allo stesso modo la colonna sonora è quella storica di Masafumi Takada, con un paio di remix realizzati da Akira Yamaoka. Il mix di immagini e suoni è assolutamente affascinante, e nuovamente richiama quelle atmosfere che al giorno d’oggi definiremmo vaporwave. Il titolo è interamente localizzato in lingua inglese, con una traduzione approvata personalmente da Suda51, in maniera tale da conservare intatto il feeling della versione giapponese. Una traduzione italiana del gioco non è prevista, e se ne consiglia la fruizione a chi ha una buona dimestichezza con la lingua d’oltremanica, vista la complessità di alcuni passaggi della trama. La durata dell’avventura si attesta sulla quindicina d’ore abbondanti.

Verdetto
8 / 10
Kill the Past!
Commento
The Silver Case è un'occasione eccezionale per scoprire il Suda Goichi delle origini, per immergersi fino ai capelli nelle atmosfere cupe e surreali della saga Kill the Past, colmando una lacuna più che quindecennale. Il lavoro di rimasterizzazione è stato fatto con paziente precisione ed attenzione al dettaglio, facendo emergere ancora di più la potenza dell'opera originaria. The Silver Case è un gioco complesso, profondo, denso di significati e sottotrame che si mescolano. Piacerà sicuramente a chi ha apprezzato Killer7 in passato, mentre potrebbe essere l'opportunità per far ricredere chi, dopo i più recenti titoli Grasshopper Manufacture, aveva bollato l'autore giapponese come superficiale e più interessato allo stile che alla sostanza. The Silver Case ne ha di stile, ma di sostanza ne ha ancora di più.
Pro e Contro
Trama complessa e ricchissima
Descrive un universo affascinante
Realizzazione audiovisiva originale ed accattivante

x Può risultare oscuro e confuso se non affrontato con la dovuta attenzione
x La componente narrativa prevarica quella ludica
x Non adatto a chi mastica poco l'inglese

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