Recensione Shin Megami Tensei: Devil Summoner: Soul Hackers

La serie di Shin Megami Tensei, una delle più vecchie ed importanti saghe ruolistiche giapponesi, non ha mai goduto di una particolare notorietà in territorio europeo, al di fuori di una ristretta cerchia di aficionados. I motivi sono semplici da individuare: la mancata o l’estrema ritardata localizzazione di gran parte degli episodi chiave della serie, unita ad un’attitudine spiccatamente hardcore che da sempre è marchio di fabbrica di Atlus, la casa sviluppatrice. Grazie al recente successo di alcuni spin-off della serie, in particolar modo le saghe Persona e Devil Survivor, è iniziato negli ultimi anni un vero e proprio movimento di riscoperta di Shin Megami Tensei, che sta portando alla pubblicazione ed alla ripubblicazione occidentale di molte gemme appartenenti a questa serie. Solo in questo 2013 abbiamo infatti assistito alla pubblicazione di Persona 4 Golden su PS Vita, Persona 4 Arena su PlayStation 3 ed Xbox 360, Devil Survivor Overclocked su 3DS e Devil Survivor 2 su DS. Come se non bastasse ed in attesa della futura pubblicazione di Shin Megami Tensei IV, vero e proprio quarto capitolo della serie principale, previsto su 3DS, Atlus ed il publisher NIS America ci deliziano con l’ennesimo titolo di Shin Megami Tensei per 3DS, andando a ripescare dal passato uno dei titoli più importanti della serie, sfortunatamente mai giunto in occidente prima d’ora. Stiamo parlando di Devil Summoner: Soul Hackers, titolo originariamente pubblicato su SEGA Saturn nel 1997 e successivamente riproposto su PSX nel 1999. Entrambe le versioni rimasero esclusive al territorio giapponese e questa riproposizione su 3DS si rivela quindi come la prima occasione per i giocatori occidentali di testare con mano quello che fu il capitolo realizzato in occasione del decennale di Shin Megami Tensei.

Hackers e demoni nella città

Uno degli elementi tipici che allontanano la serie di Shin Megami Tensei dai tradizionali giochi di ruolo giapponesi è l’ambientazione: non un classico fantasy, ma un setting contemporaneo od al massimo situato in un futuro molto prossimo. Soul Hackers non fa eccezione e vede le sue vicende svolgersi ad Amami City, una città fittizia del moderno Giappone. Solo pochi anni prima modesta cittadina di provincia, Amami City è stata scelta dal governo giapponese come modello per la riqualificazione urbana, trasformandosi in breve tempo in un distretto estremamente tecnologico e sviluppato. PC di ultimo modello e connessioni iperveloci sono disponibili gratuitamente a tutti i cittadini, mentre è in atto l’introduzione di documenti digitali e di denaro elettronico. In questo paradiso tecnologico opera Algon Soft, software house al lavoro su Paradigm X, un mondo virtuale a metà strada tra Second Life ed un comune MMO. Il gioco è ancora in fase di beta chiusa, ma tale è l’attesa e l’anticipazione per la rivoluzione che questo mondo virtuale scatenerà che i fortunati ad essere invitati nella beta sono guardati con invidia ed ammirazione dai comuni cittadini. La nostra avventura avrà inizio quando il protagonista, a cui dovremo assegnare un nome a nostro piacimento, deciderà di entrare nella beta chiusa di Paradigm X, hackerando i server di Algon Soft. Succederà quindi l’imprevisto: il protagonista si imbatterà in una serie di entità sovrannaturali che popolano il mondo virtuale di Paradigm X, ed Hitomi, amica d’infanzia del protagonista e come lui membro del gruppo di hackers chiamato Spookies, rimarrà posseduta dal demone Nemissa. Partirà quindi una intricata trama ricca di mistero ed azione che coinvolgerà le vite dei giovani Spookies, tra evocazioni demoniache ed occultismo, spunti spiccatamente cyberpunk ed investigazioni, con in ballo, ovviamente, il futuro di Amami City. Nonostante si noti facilmente che il tono ed il gusto della storia appartengano a quel 1997 in cui fu pubblicato il gioco originario (basti vedere le similitudini con molte opere cyberpunk prodotte in Giappone nella seconda metà degli anni ’90, nell’ambito dell’animazione, ma non solo), le tematiche toccate ed il loro fascino sono attuali ora come all’epoca del lancio originario e forse di più: tra social network, videogiochi sempre più realistici, dispositivi smart e simili, il mondo odierno è assai simile a quella Amami City tecnologica ed iperconnessa ideata all’epoca da Atlus. Nonostante qua e la compaia qualche elemento che oggi, col senno di poi, potremmo definire ingenuo, il livello generale della narrazione è eccellente, ed è sostenuto da dialoghi e da una sceneggiatura di grande qualità, che non mancheranno di essere il motore primario del titolo per molti giocatori.

Tra passato e futuro

Anche per quanto riguarda il gameplay Soul Hackers non nasconde le sue origini, proponendo un approccio a metà strada tra il JRPG tradizionale e quella fetta di titoli di nicchia chiamati dungeon crawler in prima persona. Durante le fasi di avanzamento della trama avremo sotto gli occhi una mappa 2D dei vari distretti della città, in cui ci sposteremo per raggiungere i vari NPC con cui dialogare. Durante i dungeon invece, sede del gameplay vero e proprio del gioco, ci ritroveremo ad esplorare in prima persona alcuni ambienti urbani: magazzini abbandonati, fabbriche ipertecnologiche, hotel, grattacieli e così via. Queste fasi saranno costellate da miriadi di incontri casuali con i nemici: i demoni che stanno letterlmente invadendo Amami City e Paradigm X. Per affrontarli avremo a disposizione non solo gli attacchi del nostro protagonista e di Hitomi/Nemissa, ma anche quelli degli altri membri del party: demoni alleati che potremo evocare tramite un particolare PC costumizzato, chiamato COMP. La gestione dei personaggi umani e demoniaci differisce profondamente per svariati aspetti. Innanzitutto la possibilità di evocare e mantenere in campo demoni dipende dalla quantità di Magnetite posseduta. Si tratta di una misura dell’energia spirituale necessaria a mantenere la forma fisica di un demone, ottenibile vincendo le varie battaglie o scambiandola con denaro. Nel gioco viene quindi a crearsi un sistema economico a doppia valuta, che aggiunge un grado di complessità alla tradizionale compravendita di armi ed equipaggiamento tipica di un JRPG: sarà infatti opportuno avere cura di avere sempre un certo livello di magnetite, per non rimanere privi del fondamentale apporto dei propri demoni durante le fasi più concitate di alcuni dungeon, mentre al tempo stesso sarà necessario risparmiare un po’ del proprio denaro per rinnovare periodicamente il proprio equipaggiamento e fare scorta di oggetti curativi. Questo aspetto è spesso fonte di frustrazione per il giocatore, che si vede costretto ad un frequente backtracking per raggiungere i punti di scambio tra denaro e magnetite, ed è chiaramente una complicazione non necessaria ai fini del gameplay che, se già poteva essere mal tollerabile nel 1997, nel 2013 si presenta come uno degli elementi più datati e fastidiosi del titolo. Non basta possedere magnetite a sufficienza per poter contare sull’aiuto dei demoni alleati. I vari demoni possiedono infatti una loro natura caratteriale intrinseca, che li renderà maggiormente inclini a compiere determinate azioni. I demoni dalla natura “selvaggia” prediligeranno gli attacchi fisici, quelli dalla natura “scaltra” preferiranno le magie, quelli “calmi” preferiranno magie curative ed azioni difensive, quelli “stupidi” vorranno essere lasciati liberi di decidere le azioni da intraprendere nel proprio turno. Selezionando azioni gradite ai vari tipi di demone potremo aumentare il grado di fiducia che essi ripongono in noi, ed ai livelli più elevati potremo anche assistere a scene in cui essi si sacrificano per evitare che il giocatore venga colpito. Viceversa, scegliendo azioni non consone alla natura di un demone, il grado di fiducia inizierà ad abbassarsi, ed il demone inizierà a non ubbidirci più, fino al caso limite in cui questi deciderà di abbandonare il party. L’influenza della natura caratteriale di un demone si farà sentire soprattutto a livello strategico, sia durante la formazione del party, che durante le battaglie vere e proprie. Il party sarà costituito da sei componenti, tre nella fila frontale e tre nelle retrovie. Sarà quindi opportuno organizzare la propria formazione mettendo demoni “selvaggi” nella fila frontale, permettendo loro di attaccare fisicamente i nemici più vicini, mentre i demoni “scaltri” avranno la loro naturale collocazione nella fila posteriore, da dove potranno utilizzare le loro magie per friggere a distanza gli avversari. L’ultima principale differenza tra personaggi umani e demoni è che solo i primi potranno ottenere esperienza nelle battaglie ed aumentare di livello. I demoni saranno infatti bloccati al livello in cui li acquisiremo e, per far sì che il nostro party non resti obsoleto di fronte a nemici dalla forza via via crescente, dovremo aver cura di sostituire spesso i demoni che porteremo con noi. Esistono svariati modi per ottenere nuovi demoni. Il primo è quello di parlare con i vari demoni avversari che troveremo sul nostro cammino: di tanto in tanto ve ne sarà qualcuno che preferirà unirsi a noi piuttosto che attaccarci. Il secondo è quello di utilizzare Nemechi, un programma/virtual pet installato sul nostro COMP che ci permetterà di spendere un’ennesima valuta digitale, le D-Souls (ottenibili anche con gli incontri StreetPass) per acquistare nuovi demoni. Infine, un vero e proprio classico di Shin Megami Tensei, potremo tentare una fusione tra due o tra tre demoni di nostro possesso per generarne uno nuovo di forza superiore. Sono molti i demoni presenti nel titolo, e tutti saranno ottenibili mediante questi metodi: i giocatori più smaliziati potranno infatti dedicarsi al collezionismo più sfrenato che, come Pokémon insegna, tanto può allungare la vita di un gioco. I vari livelli di complessità nell’uso ei demoni sono solo uno dei sintomi di un game design prettamente hardcore che pervade il titolo. I dungeon, superati i più semplici all’inizio, diventano man mano sempre più grandi e complessi, si sviluppano su più livelli e sono ricchi di trappole, passaggi, segreti e quant’altro. Fondamentale sarà esplorarne ogni centimetro quadrato, così come memorizzare le posizioni delle varie scale e punti di ristoro. La frequenza alta degli incontri casuali costringerà infatti i giocatori ad un procedere molto oculato: se è vero che il livello di difficoltà degli scontri non è elevatissimo, basta la minima disattenzione, la minima imprudenza, per trovarsi rapidamente in situazioni critiche. I vari nemici vanno giù molto rapidamente, ma solo a patto di colpirli nei loro punti deboli, e di rispettare le varie strategie dietro alla formazione dei party ed ai caratteri dei propri demoni. Inutile dire che trionfare nelle varie battaglie sfruttando con successo la strategia si rivela di grande soddisfazione per il giocatore, anche se l’eccessiva frequenza degli incontri e le fasi esplorative in cui il giocatore è lasciato un po troppo a se stesso possono essere fonte di frustrazione per gli utenti più giovani. Nonostante questi difetti, frutto anche degli anni che Soul Hackers si porta sulle spalle, ci troviamo di fronte ad un titolo equilibrato ed avvincente, che se da un lato può mettere in soggezione gli utenti meno smaliziati, presenta una difficoltà del tutto accessibile ai giocatori più hardcore.

Dagli anni ’90 con furore

Sul fronte prettamente tecnico il gioco si presenta esattamente come la sua versione originale del 1997. Non è stato infatti effettuato alcuno sforzo per svecchiare ed aggiornare l’aspetto grafico del gioco, che appare quantomai datato: geometrie semplici, texture di bassa qualità ed estremamente ripetute, look generale tipico della generazione 32 bit. Fortunatamente a migliorare la situazione ci pensa la direzione artistica, che ci presenta una Amami City ed i suoi abitanti, sovrannaturali e non, con grande cura ed uno stile unico. Nuovamente si percepisce la presenza di stilemi tipici del cyberpunk giapponese di fine anni ’90, ma ciò non rappresenta minimamente uno svantaggio: si tratta piuttosto di un elemento che conferisce una precisa personalità al gioco. Nulla da eccepire invece sulle musiche, che spaziano dall’elettronica al rock, con punte nello sperimentale: una colonna sonora di ottimo livello, che ben si abbina con lo stile e le ambientazioni del gioco. Notevole è invece il doppiaggio integrale del gioco, realizzato in lingua inglese con attori di grande livello, che propongono una recitazione precisa e con la giusta carica espressiva. Inglese è anche il testo a schermo: duele un po’ constatare come la lingua italiana sia presente solo nel manuale del gioco, anche se data la natura di nicchia del titolo è anche comprensibile come una localizzazione completa si sarebbe rivelata un costo eccessivo per il publisher. A chiudere la carrellata ci pensa una longevità decisamente sopra la media, che si assesta sulle 40 ore: in questo caso le origini del gioco ci vengono incontro, dato che nel 1997 i videogiochi presentavano una durata media ben più alta di quella delle avventure attuali.

Verdetto
8.5 / 10
Un'attesa ben ripagata
Commento
Nonostante gli evidenti limiti, derivanti più dall'epoca in cui il gioco fu originariamente concepito, Soul Hackers si rivela un titolo di prima qualità, sia per l'aspetto narrativo che per il gameplay, che non deluderà gli appassionati di Atlus e chi è in cerca di un JRPG dai toni seri e futuristici. Soul Hackers è come un buon vino: in molti aspetti è innegabilmente invecchiato, ma salvo rare eccezioni è invecchiato bene. Un acquisto sicuramente da consigliare a chi cerca una buona alternativa a Pokémon e a chi non sa come ingannare l'attesa per Shin Megami Tensei IV
Pro e Contro
Un grande titolo di Shin Megami Tensei, per la prima volta in Europa
Trama avvincente, dalle tematiche quantomai attuali
Gameplay strategico e soddisfacente

x Datato graficamente e sotto alcuni aspetti di gameplay
x Alcune complessità del sistema di gioco sono fini a se stesse
x Può essere frustrante per i giocatori meno smaliziati

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