Recensione The Evil Within 2

paura s. f. –  Stato emotivo consistente in un senso di insicurezza, di smarrimento e di ansia di fronte a un pericolo reale o immaginario o dinanzi a cosa o a fatto che sia o si creda dannoso

 

A tre anni esatti dal suo debutto su console e PC, The Evil Within torna a spaventare con un nuovo seguito. La creatura di Shinji Mikami, qua oggi nel ruolo di produttore, è pronta a trascinarvi in un nuovo incubo, all’interno del macabro mondo creato dallo STEM. Siete pronti ad aiutare il detective Castellanos a salvare sua figlia in The Evil Within 2?

 

Versione Testata: PlayStation 4

La paura fa 90 pt. 2
The Evil Within era un titolo horror dal sapore “viscerale”
Nell’anno della rinascita della serie di Resident Evil, che stravolge il suo stesso essere e si reincarna in una nuova creatura “spaventosa”, tocca oggi a The Evil Within 2 mostrare l’altra faccia del genere survival horror. Come avevamo avuto modo di sottolineare nella recensione del primo capitolo, The Evil Within guardava indietro come concezione, verso un gameplay più classico e “old school”, puntando più sul fattore ansia, derivata dalla paura di morire e perdere i progressi fatti, che non su quello orrorifico, centrando però in pieno l’obiettivo. Il primo The Evil Within è un titolo riuscitissimo in quasi tutti i suoi aspetti e per gli amanti del genere uno di quei titoli da classificare istantaneamente come “nuovo classico”. L’uscita di un sequel, oltre a rendere felici tutti quelli che l’hanno amato in passato, fa pendere una spada di Damocle sulle teste di Tango Gameworks e Bethesda Softworks per il fattore incognita che aleggia sulla storia e sulla necessità di proporre un seguito di una storia ormai conclusa, sebbene lasciata aperta dai soliti escamotage narrativi. A preoccupare anche il cambio alla regia, che vede l’abbandono del maestro Mikami e del suo “tocco”, nonostante resti presente a livello produttivo.

Se The Evil Within era un titolo horror dal sapore “viscerale”, quasi intimo, un viaggio in una follia malata e corrotta, questo secondo capitolo si avvale della regola del “più grande e più grosso” che molti seguiti sfruttano per attirare su di sé i riflettori delle scene. Ed ecco che che Sebastian Castellanos, lo sventurato detective che impersonavamo in The Evil Within, in questo nuovo episodio dovrà allearsi suo malgrado con la Mobius, la malvagia corporazione segreta responsabile degli orrori del Beacon Mental Hospital, in una collaborazione che non lascia a Castellanos grandi margini di scelta in quanto in gioco c’è la vita di sua figlia Lily, fino ad oggi ritenuta morta. Sebastian dovrà quindi tornare all’interno dello STEM, un macchinario in grado di creare una coscienza condivisa da più esseri umani, una sorta di Matrix collettivo dove Lily è il nucleo centrale che lo alimenta, cercando di ritrovarla dopo che i suoi segni vitali sono spariti dai radar. Ed è qua che ci troveremo catapultati all’interno di Union, un’utopistica cittadina americana dove vivere una vita perfetta e in armonia, pronta a frantumarsi e diventare il tetro scenario di un inferno in terra.

Ad Union non manca nulla fra orde di non morti, creature demoniache, psicopatici e tutti hanno un solo scopo: ucciderci.

Come è chiaro da questa descrizione, nel tentativo di voler proporre qualcosa di più ai giocatori, The Evil Within 2 si evolve e si va ad omologare alla costante tendenza di questi ultimi anni di espandere i mondi virtuali verso un concept “open world”, proponendo una cittadina completamente esplorabile, nei limiti imposti solamente dall’evoluzione del racconto, ricca di segreti, misteri e mostruosità varie, quasi alla stregua di una personale interpretazione di Silent Hill. Oltre alla missione principale potremo quindi fare dei detour narrativi e dedicarci all’esplorazione di Union e dei suoi luoghi più caratteristici, e di tutto quello che ha da offrirci. Questa esplorazione non sarà fine a se stessa, ma ci darà l’occasione di imbatterci in diversi eventi disseminati qua e là, che in molte occasioni ci premieranno con ricompense che si riveleranno utilissime, come nuove armi o componenti rari. Sia un vicolo poco illuminato, che una tavola calda abbandonata, o un poco rassicurante treno deragliato, non bisognerà mai abbassare la guardia ed essere pronti sempre al peggio quando un evento si attiverà. Non mancano poi missioni secondarie che ci vedranno interagire con un gruppo di sopravvissuti di Union, membri di una squadra di recupero della Mobius, o investigare su delle risonanze, visioni del passato che ci porteranno ad investigare sulla scoperta di preziosi indizi.

Hunt or Be Hunted
l’azione stealth era caratteristica del primo capitolo
Una delle caratteristiche del primo capitolo era la possibilità di affrontare il gioco in maniera più sicura e stealth, elemento che permetteva, visto anche il livello di difficoltà mediamente più alto della norma, di risparmiare sulle munizioni (sempre contatissime) liberandoci dei nemici in maniera silenziosa ed indolore. Qua sarà proprio imperativo pensare ad approcci “velati” e riflessivi, magari sfruttando le coperture o i cespugli sparsi nella città, evitando così di attrarre gli sguardi indesiderati dei non morti o di qualche creatura ben più terrificante. Per trasformarci in letali assassini basterà aggirare i nemici e colpirli alle spalle con in nostro infallibile coltello, e man mano che avanzeremo nel gioco potremo avvalerci di un rinnovato sistema di crescita, che ci permette non solo di potenziare le varie abilità fisiche di Castellanos utilizzando un particolare Gel che ci verrà dato come ricompensa ad ogni kill, ma di sbloccare nuove abilità per le fasi stealth, come attacchi in copertura o in movimento, che ci renderanno la vita decisamente meno impegnativa.

L’ambiente però ci offre anche diverse situazioni “offensive” che potremo sfruttare a nostro vantaggio, come le pozze di benzina e i barili, che si “accenderanno” sparandogli contro, permettendoci di fare fuori più nemici contemporaneamente, le taniche di azoto liquido, che una volta esplose congeleranno tutto quello che si trova nell’area circostante o gli specchi d’acqua, pronti a “friggere” chiunque si trovi al suo interno se utilizzeremo i proiettili elettrici della balestra. Insomma, chi più né ha più né metta. A proposito degli scontri, questi si ripresentano come in passato senza andare a stravolgere i normali equilibri del gameplay (se non sempre nell’ottica della svolta open world), con lo stesso grado di sfida e situazioni che metteranno alla prova le nostre doti combattive, in particolar modo i vari boss e mostri giganti che incontreremo nell’avventura. La presenza di un menù rapido, sul quale potremo equipaggiare sia gli armamentari che gli oggetti di cura, aiuta a gestire al meglio ogni situazione, senza la necessità di interrompere l’azione per riorganizzare l’inventario. Saranno poi gli eventi forse ad offrire più varietà di situazioni, sebbene non appena noteremo qualche “elemento” sospetto sapremo che di li a poco ci aspetterà qualcosa, diventando alla lunga facilmente prevedibili.

Se vi state chiedendo quanto questa nuova visione open world sia funzionale in TWE 2, beh la risposta non vi farà del tutto felici.

Rosso come il sangue
L’open world ammazza i ritmi serrati del gioco
Come ogni titolo che propone alternative e deviazioni da quella che è la trama principale vede inevitabilmente un drastico calo delle atmosfere e dei ritmi di gioco. E The Evil Within 2 purtroppo non ne è esente. Diluendo in questo modo gli eventi ci si accorge di quanto anche l’atmosfera horror ne risenta, perdendo quel brio “ansiogeno” che caratterizzava il capostipite, che fra check point automatici e la possibilità di sfruttare il sistema di creazione di munizioni anche lontano dai banchi di lavoro (sebbene con dei limiti imposti sulla resa finale degli oggetti) fa allentare la pressione del “fattore morte”, che era un marchio distintivo di The Evil Within.
Non prendete però tutto questo troppo negativamente. Consci di queste problematiche legate all’accoppiata genere horror/open world, Tango Gameworks ha saputo gestire con polso quello che orbita intorno alla storia principale, incanalando il gioco all’interno di strutture ben delineate e riportandolo su un binario sicuro, proprio come accadeva in passato. È proprio qua che The Evil Within 2 da il meglio di sé, alzando i ritmi generali e offrendo ai giocatori le più atroci mostruosità possibili. Se in The Evil Within la scoperta dello STEM svolgeva il ruolo di colpo di scena, andando in qualche modo a giustificare gli orrori appena vissuti, qua si parte ben consapevoli di quello che ci aspetta (a patto ovviamente di aver giocato il primo capitolo).


Per approfondire:
The Evil Within
Per ovviare al mancato “fattore novità” vittima di questo sequel, The Evil Within 2 decide di puntare sulla spettacolarizzazione della paura, introducendo Stefano, un nuovo ed eccentrico nemico, che con la sua arte macabra, decorerà il primo arco narrativo di questa nuova storia, con trovate suggestive e dal forte impatto narrativo, giocando in maniera schizofrenica con le immagini a video e instillando la “paura” nelle menti dei videogiocatori. E continuerà così, senza sosta, fino agli agognati titoli di coda, che chiuderanno il gioco sulle note di una malinconica cover di Ordinary World dei Duran Duran, dopo una sequenza costruita a regola d’arte, che brilla sia per montaggio che per regia.

Fra la storia principale e tutte le attività satellite il contatore del gioco a fine avventura viaggia fra le 15 e le 25 ore (per aumentare ulteriormente per i completisti), a seconda di quanto tempo dedicherete all’esplorazione di Union, alla risoluzione di missioni ed eventi secondari e alla raccolta di collezionabili vari. Una durata complessivamente superiore a quella del primo capitolo, che viene amplificata dalle sessioni open world. Sarà possibile anche spendere un po’ del nostro tempo libero in un angolo del Beacon Mental Hospital, che farà ritorno insieme ad una figura chiave del primo episodio, e oltre a consentirci di potenziare le nostre abilità, ci offrirà la possibilità di dedicarci a due minigiochi basati sulla precisione dello sparo e sul tempismo.

 

Terminato il tutto sarà possibile decidere di riaffrontare nuovamente l’avventura scegliendo uno dei livelli di difficoltà superiori, magari optando per lo sfiancante “Classico”, che elimina i check point, limita i salvataggi manuali e priva il giocatore della possibilità di potenziare armi o abilità, per un’esperienza survival nuda e cruda. È presente inoltre il New Game +, opzione che ci permetterà di riaffrontare la storia mantenendo intatti i progressi fatti sul lato dei potenziamenti.

L’estetica della paura
Sul piano tecnico i risultati sono un po’ altalenanti
Sul piano tecnico invece dobbiamo soffermarci un attimo per analizzare bene il lavoro svolto da Tango Gameworks. In generale la resa finale è più che buona, con delle punte per quanto riguarda i modelli dei protagonisti e il modo in cui sono animati, così come le mostruosità che abitano il gioco. La strada intrapresa dell’open world però non è sempre convincente e i risultati offrono una panoramica altalenante. Da un lato abbiamo una realizzazione tecnica per la città di Union che non brilla per originalità, ne tanto meno per qualità, con un level design abbastanza anonimo e sottotono, e numerosi problemi sul fronte del frame rate, della modellazione e in texture non all’altezza. Dall’altra parte invece, quando il gioco si chiude e torna in ambienti circoscritti, le cose migliorano notevolmente, dando l’impressione di aver a che fare addirittura con due titoli differenti. Qua le atmosfere horror ci sono tutte, e il gioco gode anche di diversi effetti interessanti che rendono l’esperienza disturbante, ma in senso buono. I grafici si sono divertiti a giocare con le immagini a video, proprio per quel concetto di spettacolarizzazione di cui accennavamo poco prima, scelta più che vincente e più efficace dei banali jump scare tipici dei giochi horror. Rinnovata anche la UI del gioco, ancora più minimale e pulita, oltre che più intuitiva grazie a dei menù radiali che permettono un rapido accesso alle funzioni base del gioco.

The Evil Within 2 dice addio alle due bande nere che avevano caratterizzato il formato video del primo capitolo che dava al tutto un taglio decisamente cinematografico. Se da buoni amanti del gioco sentirete la mancanza del rapporto 21:9, una volta completato sarà possibile attivarle nuovamente tramite le opzioni rievocando così tutto lo stile di The Evil Within.
Qua e là è presente qualche bug e compenetrazioni poligonali non molto convincenti, così come una gestione discutibile delle superfici riflettenti, ma nel complesso, per quanto riguarda le fasi al chiuso, i risultati sono più che soddisfacenti e ben mirati al loro scopo principale, spaventare.

 

Anche il sonoro non se la cava male, preferendo rumori e suoni ambientali per le parti open world, e tornando sull’accompagnamento musicale non appena proseguiremo con l’avventura. The Evil Within 2 è completamente in lingua italiana, sia nei testi che nelle voci, e il doppiaggio rende giustizia alla controparte originale inglese.

Verdetto
8.5 / 10
E anche stavolta ce l'abbiamo fatta
Commento
The Evil Within 2 riesce nel compito di superare la dura prova del seguito. Questo secondo capitolo prende una deriva diversa dalla visceralità orrorifica del primo titolo aprendosi ad un concept open world, che da una parte espande le meccaniche di gioco, offrendoci più varietà e cose da fare, ma dall'altra "ammazza" i ritmi serrati del gioco. Fortunatamente Tango Gameworks è riuscita a riportare sui binari l'avventura proprio nei momenti cruciali del gioco, e là i risultati sono notevoli, riuscendo a ricreare la stessa tensione del capostipite, se non di più. Se avete amato The Evil Within non possiamo far altro quindi che consigliarvi questo nuovo episodio, sicuri che riuscirete ad apprezzarlo nonostante i piccoli problemi, tecnici e non, che affliggono questo sequel.
Pro e Contro
Gameplay solido e articolato
Storia ben costruita
Ottime le atmosfere al chiuso...

x ...meno quelle all'aperto
x L'open world smorza i ritmi
x Graficamente altalenante

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