Recensione The Evil Within

C’era molta attesa dietro a The Evil Within. Il titolo prodotto da Bethesda Softworks ad opera di Tango Gamesworks segna il ritorno sulle scene di Shinji Mikami, lo storico game designer giapponese e padre del genere survival horror, che con la sua nuova opera torna al suo primo amore. Come sarà andata questa riscoperta delle sue origini?

Versione testata: PlayStation 4

Il Male Dentro
Un viaggio sadico e malato, fatto di orrori che metteranno a dura prova la sanità mentale del nostro povero protagonista
Sebastian Castellanos è un detective della polizia di Crimson City. Passato tormentato e un forte senso del dovere ne fanno uno degli uomini migliori dell’intero distretto. Con la sua squadra viene chiamato ad indagare ad una serie di efferati omicidi avvenuti all’interno del Beacon Mental Hospital, un istituto mentale che nasconde numerosi segreti al suo interno. Ma l’arrivo al manicomio sarà solo l’inizio della discesa all’inferno per Sebastian e i suoi compagni. Un viaggio sadico e malato, fatto di orrori che metteranno a dura prova la sanità mentale del nostro povero protagonista, che farà di tutto per sopravvivere e scoprire l’identità di Ruvik, il misterioso ed inquietante personaggio che ha portato  scompiglio all’interno dell’ospedale. Una storia che non brilla particolarmente ma riesce lo stesso a catturare, con i suoi risvolti inaspettati e folli, colpi di scena e un finale aperto e dalle molteplici interpretazioni, che però non riesce a dare una risposta a tutte le domande fatte durante la durata del gioco.
Con The Evil Within, Mikami si cimenta nuovamente con il genere che lo ha consacrato al successo nel lontano 1996, quello dei survival horror, imbastendo un titolo che va a pescare a piene mani dai capi saldi del genere creando un crogiuolo di eventi e situazioni capaci di annullare o quasi i tempi morti. Non sono poche le citazioni dai classici del cinema horror, più o meno velate, così come gli omaggi e i richiami alle serie di Resident Evil o Silent Hill faranno la gioia di ogni appassionato.

Drag me to hell
Spaventare è difficile, la paura è una sensazione soggettiva che ognuno di noi percepisce ed interiorizza in maniera differente. E Mikami questo lo sa.
Ogni minuto speso all’interno del gioco sarà vissuto con ansia, con l’angoscia di quello che potrebbe succedere. Spaventare è difficile, la paura è una sensazione soggettiva che ognuno di noi percepisce ed interiorizza in maniera differente. E Mikami questo lo sa. Tralasciando qualche momento cheap scare ben costruito per far letteralmente saltare sulla sedia il giocatore, la vera alchimia creata da The Evil Within, sta proprio nella sua natura da survival nudo e crudo. Nel gioco si muore, e si muore spesso. Ad alcuni verrebbe da pensare troppo. Ma è proprio qua che nasce lo stimolo di andare avanti, di capire i nostri errori e trovare una soluzione al problema, specialmente durante lo scontro con i nemici più grossi e cattivi.
Le risorse di Sebastian saranno limitate, poche armi, ancor meno munizioni. Nemmeno attaccare i nemici corpo a corpo si rivela una soluzione efficace, se non un modo per guadagnare solo del tempo. Approcciare il gioco come un normale TPS potrebbe essere l’errore più grande da fare, in quanto dopo pochi minuti ci ritroveremmo senza munizioni o probabilmente morti. La creatura di Mikami ci chiede invece di studiare l’ambiente, di sfruttare trappole o di agire silenziosi nell’ombra, aggirando il problema e risparmiando le preziose munizioni. Anche a livello normale, anche il più semplice dei nemici se affrontato con troppa sicurezza si può rivelare un potenziale boia. Le dinamiche trial & error il più delle volte la fanno da padrone, e sebbene questo genere di escamotage ludico non sempre paghi, in questo contesto survival acquistano la giusta dimensionalità, spronando il giocatore a stare attento, agendo in maniera pronta, adattandosi alle varie situazioni.

Non aprite quella porta
The Evil Within propone una struttura in terza persona con telecamera posta alle spalle del protagonista, in maniera del tutto analoga a quanto avveniva in Resident Evil 4. Per enfatizzare il senso claustrofobico che pregna tutto il gioco la camera virtuale si affida al rapporto cinematografico dei 21:9, andando a tagliare la visuale e limitando di fatto l’area visibile. Sempre per immedesimare maggiormente il giocatore anche l’hud di gioco viene ridotto al minimo, se non annullato in alcuni frangenti. Le uniche informazioni che potremo ricevere saranno quelle relative alla nostra salute e alle munizioni disponibili per l’arma.
Sarà possibile accedere ad un menù per la gestione dell’inventario ed abbinare alle 4 direzioni della croce analogica delle armi o degli oggetti utilizzabili per un accesso rapido. Sebastian potrà correre, previo consumo di un’apposita barra relativa alla stamina o accucciarsi per entrare in modalità stealth, nascondendosi dai nemici per attaccarli alle spalle risparmiando colpi preziosi. Nel corso del gioco non saranno molte le armi che avremo a nostra disposizione. Troveremo il classico revolver (più avanti abbinabile ad una ben più potente magnum), un fucile a pompa, uno di precisione e una lenta ma letale balestra, alla quale è legato un semplice sistema di crafting sull’uso delle frecce, che permetterà di crearne nuove dai materiali raccolti o ottenuti smantellando le varie trappole.

Sempre per risparmiare colpi preziosi il gioco ci offre la possibilità di eliminare in maniera rapida i nemici abbattuti bruciandoli con dei fiammiferi raccolti, anch’essi in quantità veramente ridotte. Attivabile a discrezione del giocatore troviamo invece una sorta di indicatore dei nemici, che ci fornisce in maniera piuttosto basilare tramite l’icona di un occhio se un nemico è nei paraggi o se ci ha individuato. Nel secondo caso a noi la scelta di affrontarlo a muso duro o di nasconderci in uno dei diversi nascondigli che ci verranno offerti per poi aggirarlo e farlo fuori in maniera più discreta. Potremo anche distrarli o concentrare le loro attenzioni in un determinato punto lanciando delle bottiglie permettendoci di agire alle loro spalle.

Lo scheletro di The Evil Within ha un ossatura piuttosto classica. Non offre grandi novità sul piano ludico così come non mostra elementi originali sia dal lato narrativo che da quello del gameplay. Però fate ben attenzione. Originalità non sempre è sinonimo di qualità, e l’affidarsi a meccaniche “vecchie” e collaudate si rivela l’asso nella manica del titolo Tango Gamesworks. È vero che l’elevata difficoltà rispetto a titoli analoghi possa  creare un certo senso di frustrazione in alcuni giocatori, ma il gioco in effetti non fa sconti e non accetta errori. Un gameplay molto spesso derivativo, per certi aspetti legato a soluzioni “old school” ma all’atto pratico tutto funziona ottimamente, nonostante sia richiesto un certo impegno dall’inizio alla fine.

A volte ritornano
Il mondo di The Evil Within è un mondo mutevole pronto a cambiare volto in pochi istanti
Facendo invece un’analisi tecnica sull’aspetto grafico di The Evil Within, quello che si evince è una situazione che alterna alti e bassi per tutta la durata del gioco. Ottima l’atmosfera, le ambientazioni e i modelli poligonali dei nemici e dei protagonisti (ad esclusione di qualche problematica legata alla realizzazione di alcuni volti). Nel complesso il senso di orrore si assapora in ogni istante, merito anche del sistema di illuminazione che aiuta rendere tutto angosciante e decadente. Il mondo di The Evil Within è un mondo mutevole pronto a cambiare volto in pochi istanti, facendo svanire le nostre sicurezze contribuendo a confonderci, il tutto con effetti in tempo reale che modificano la struttura e le ambientazioni quando meno ce lo aspettiamo. Il gioco di luci poi trasforma qualsiasi ambientazione in un teatro di morte, impreziosito da effetti particellari, volumetrici e lens flare.
Problemi invece sul fronte del frame rate, che solitamente si aggira sui 30 fps ma che crolla troppo frequentemente anche durante le sole fasi esplorative. Anche l’Id Tech 5, l’engine alle spalle di The Evil Within si dimostra tardivo nel caricare certe texture, con risultati non sempre gradevoli. E sempre riguardo le texture abbiamo una qualità altalenante tendente al basso: in particolar modo negli elementi di contorno o nelle fasi a più ampio respiro esterne o diurne, dove i vari effetti non riescono a coprire questa carenza, probabilmente dovuta ad uno sviluppo cross-gen costellato da qualche problema in fase di sviluppo.

Protagonista indiscusso il comparto audio che con ogni suo rumore, urlo o scricchiolio contribuisce a mantenere vivo quel senso di paura e tensione di cui il gioco va fiero. La colonna sonora annovera la presenza di Masafumi Takada, che anche in questo frangente ci offre una splendida performance, che culmina nel brano di chiusura, Long Way Down (con la partecipazione di Gary Numan), che ci accompagna durante i titoli di coda. Presente anche il doppiaggio completo in italiano di buona fattura, che salvo qualche sbavatura in un paio di punti si lascia ascoltare piacevolmente. Gli amanti del doppiaggio originale invece rimarranno delusi nel sapere che la versione Pal italiana non contiene l’adattamento inglese ma si limita ad un Multi4 (francese, tedesco, spagnolo e italiano).

 

The Evil Within si articola lungo 15 capitoli e per completarlo al livello normale saranno necessare 13/15 ore in base a quanto tempo dedicherete all’esplorazione degli ambienti alla ricerca dei collezionabili e ai tentativi necessari per superare i passaggi più impegnativi.
Fra gli oggetti che è possibile collezionare troviamo un Gel Verde che permette di migliorare le nostre abilità e l’equipaggiamento tramite un macchinario presente al Beacon Mental Hospital eraggiungibile salle vare “safe house” presenti nel gioco.
Una volta terminato sarà possibile affrontare il New Game +, ottenere nuove armi e accedere ad un nuovo e terrificante livello di difficoltà.
Verdetto
8 / 10
Noi l'abbiamo finito..NOI
Commento
Ci voleva Shinji Mikami per mettere nuovamente mano ad un survival horror degno di questo nome. Il titolo Tango Gamesworks non innova né propone esperienze rivoluzionarie, così come non riesce a spaventare come vorrebbe, ma al tempo stesso grazie al suo livello di sfida decisamente sopra la media e ad un gameplay solido riesce a mantenere alta la tensione e l'ansia nel giocatore, ed è ciò che un buon survival horror dovrebbe fare. E in questo The Evil Within non ha rivali. Chi adora i capitoli classici di Resident Evil e Silent Hill troverà in The Evil Within la loro perfetta sintesi. Se siete deboli di cuore o poco inclini a ripetere lo stesso passaggio più e più volte vi conviene passare ad altro.
Pro e Contro
Ansia e tensione
Un Survival Horror come pochi
Impegnativo a livello normale...
Comparto audio di prim'ordine

x Graficamente mostra qualche lacuna
x ...per alcuni anche troppo
x Storia abbastanza confusionaria

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