Pool Panic è come essere nella mente di un hippie chiuso in un pub a giocare a biliardo, dopo essere appena tornato, almeno con il corpo, da Woodstock
Una mappa deliziosamente stilizzata e animata dove muoverci liberamente e accedere al centinaio di livelli proposti, con il vago scopo di srotolare e far innalzare sempre di più la collinetta che ci ha accolti nei primi minuti di gioco, fino a farle raggiungere altezze vertiginose verso l’ignoto. Si procede più o meno a sentimento, pasticciando, iniziando a rimanere esterrefatti davanti a certe trovate, alla cura delle animazioni, alla qualità e quantità di dettagli e tocchi di classe, amore puro che i designer hanno intarsiato nel loro prodotto, oltretutto pulitissimo, tanto nella risoluzione quanto nel tratto di ogni disegno, fondale, frame, facendo esplodere la testa del giocatore dalla meraviglia e dagli insulti verso le sue bizze ludiche. Da gare su chopper simil-Harley-Davidson in cui steccare le altre palle al fine di disarcionarle, sparatorie nel far west, boss fight (anche se qui nessuno ha barre della vita) con ragni giganti dalle zampe sferiche, partite di calcio-biliardo dove dentro le porte si apprezzano voragini da usare come buche, fino a raid in condomini, da allagare distruggendo un acquario per poi andare nello scantinato e aprire lo scarico, tirandosi dietro acqua e biglie. Capirete che questi sono solo cinque esempi su cento e ciò ha dell’incredibile, tanto che molte volte è anche difficile capire quale sia il gimmick di un livello, palesemente pensato per essere risolto in modi alternativi dal classico “metti in buca ogni palla una ad una”. Si pensi oltretutto che molte scene nascondono meccaniche uniche da sfruttare tramite alcuni copricapi che troveremo nelle arene. Anche le sezioni che per forza di cose vanno un po’ a ripetersi nelle meccaniche, saranno comunque profondamente diversificate nel tipo di palle, ad ogni colore il suo carattere, come a livello ambientale, tra giungle, quartieri residenziali, deserti, piste di sci, campeggi e così via.
Quello che stupisce è la coerenza del game design e la varietà di interazioni possibili in base agli scenari e ai suoi elementi, creati per infondere un senso di quotidianità declinato all’assurdo, da buttare poi deliziosamente in caciara. Sono proprio la personalità dei personaggi, la singola situazione, una meccanica particolare che per quanto sporca risulta comunque divertente, a sommergere il giocatore sotto una slavina di idee, tutte tremendamente geniali ed esaltate da un accompagnamento sonoro altrettanto caratteristico, molto cartoon, che valorizza l’infinita follia dell’opera. Si ha davvero la sensazione di sfondare la quarta parete per mettere mano alle scene di un cartone animato, uno di quelli belli scorretti, ironici, taglienti, apparentemente partorito dalla mente di un hippie a Woodstock in trance auto-indotta o da Raoul e Gonzo nella Las Vegas di Terry Gilliam, un’allegoria della realtà in cui viene infusa la vita ad ogni palla da biliardo, stanca di vedere solo le sale fumose dei pub. C’è proprio una cura eccezionale nel rappresentare la quotidianità delle palle, che siano umanoidi o animalesche, e del loro rapporto di azione-reazione col protagonista. Chi scappa, chi attacca, chi va su tutte le furie, passando per le interazioni che hanno tra di loro, come una palla-scoiattolo che si butterà sul barbecue curato dalla “8” una volta bocciata via, o biglie incatenate agli alberi di una foresta in via di disboscamento, per protesta. Ci sono poi le espressioni, i versi, le animazioni, che vanno oltre alla meraviglia delle trovate ludiche, garantendo una quantità di comicità grottesca realmente eccezionale. Ogni quadro è una scenetta psichedelica, una gag, un piccolo caos in cui staticità e normalità sono concetti alieni, e rendiamo grazie per questo.
Quantità è una delle parole che descrive al meglio Pool Panic, con anche quattro diverse medaglie da elargire per ogni livello, che si basano sul tempo di completamento (declinato nei tre metalli olimpici), sulla quantità di colpi usati, sul numero di palle-personaggi imbucati e sul fatto di non essere mai finiti in buca e non aver mai imbucato la nera prima del dovuto. E poi minigiochi, tipo lo spettacolare mini-golf, sfide extra, segreti, la modalità per due giocatori. Certo, tutto ciò deve fare i conti con le già citate imperfezioni, che più di una volta impediscono di godersi a pieno le trovate e di conquistare le medaglie che meriteremmo, però secondo me una produzione di questo tipo val bene po’ di ipertensione. È un po’ quel Wario Ware che ancora manca a Switch, è Katamari che rinasce occidentale, potrebbe anche tranquillamente diventare per davvero una serie animata, sicuramente è un piccolo cult che giocheremo in dieci, un prodotto che avrebbe fatto impazzire Andy Warhol, pop art acidissima da ammirare e rimirare, senza sforzarsi troppo di seguire l’impervio sentiero del completismo, gettando nell’armadio l’equipaggiamento da trekking per rilassarsi in ciabatte e bermuda, birretta da una parte e tanta predisposizione ad un’originalità esasperata dall’altra.
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