A meno di un anno di distanza da un capitolo fortemente di rottura come Leggende Pokémon Arceus, GameFreak decide voler puntare ancora più in alto. Abbiamo avuto davanti il primo titolo della serie ambientato in un mondo liberamente esplorabile ed open world.

Le aspettative sono tante, sia da parte di chi come me (Stefano) ha una mente più analitica, sia da parte di chi riesce a vivere questo brand in maniera romantica (Luca), per cui l’idea di fare una recensione che potesse presentare due punti di vista così diversi è stata quanto di più naturale potesse venirci in mente.

Al termine di un percorso tortuoso e non privo di ostacoli tecnici e non, Pokemon Scarlatto e Violetto hanno saputo regalarci gioie e dolori che ripercorreremo insieme con un occhio rivolto al passato (Scarlatto, Luca) ed uno rivolto al futuro della serie (Violetto, Stefano). Uno pieno di lacrime, l’altro rosso di rabbia – ma non necessariamente version-locked.

Da un lato abbiamo Pokémon Scarlatto - il passato, tutto ciò che c'è di bene e male nel brand Pokémon

Partiamo dal passato, ma non indietro fino a Hisui. Precisamente da un giocatore di ormai trent’anni che non ha mai dimenticato i Pokémon, e che anzi di relativamente recente è tornato a crederci anche più che mai.

Partiamo da un passato in cui i Pokémon erano un ammasso di pixel, come pure la mappa e i personaggi, e anche la storia stessa. Una serie di percorsi che si intrecciano, raccontati da qualche parola squadrata scritta in poche righe. 

Quel mondo ha preso colore, movimento, elementi della realtà. Si è trasformato di continuo diventando sempre più vivace, pescando a piene mani da un mondo con cui siamo a contatto per crearne uno simile, ma molto diverso. Uno in cui gli umani e le creature chiamate Pokémon convivono e si aiutano a vicenda, quasi al pari di come i nostri animali convivono con noi e ci rendono la sopravvivenza un po’ meno un inferno.

Vorrei dire che l’arrivo a Paldea è stato in un certo senso un salto nel futuro. Tante promesse, tante speranze riposte in un mondo enorme più che mai, pieno di posti da esplorare e Pokémon da scoprire. Vorrei dire che sono rimasto sbalordito dal primo scorcio di quella Spagna ricreata, dal primo contatto con le persone e i Pokémon che abitano le enormi città. E in effetti lo sono stato, devo ammetterlo. Ma devo anche ammettere che lo sono stato in negativo, estremamente negativo. Ero nel presente – nel futuro, dal punto di vista delle novità tecniche – ma mi sembrava di essere più nel passato di quando sono uscito dalla porta di casa a Galar.

Tutto attorno al mio personaggio va a scatti. Il gioco inizia a raccontarmi una storia, ma lo fa così tanto a singhiozzi che gradualmente mi rendo conto di non riuscire a ignorare la cosa. L’inizio dell’esplorazione non fa che confermare che non è solo una sensazione momentanea. Continua, e peggiora a vista d’occhio. Fin quando non raggiungo la riva del mare della città di Luminopoli, una metropoli con enormi palazzi, luci, cartelloni pubblicitari digitali, e Pokémon da catturare dentro l’acqua. È a quel punto che ho il momento peggiore dei primi due giorni di gioco.

È una merda. È tutto una merda. Perché il gioco funzioni come deve, devo puntare la telecamera in alto nel cielo. Ma non posso, come faccio a guardare in alto? C’è così tanto attorno a me da osservare, da studiare. Io devo scoprire quali vecchi Pokémon sono tornati, con quali nuovi Pokémon convivono, quali novità sono dietro l’angolo.

Dunque ho passato ore a parlare con gli amici, alcuni stavano giocando e altri no. Mi sono sfogato, abbiamo discusso, ho capito di non essere io ad aver beccato la copia sfigata del gioco. Il problema c’era e per alcuni era davvero grave, così grave che nemmeno un inguaribile romantico del gaming come me era riuscito a immedesimarsi nel gioco e goderselo. Ho mollato il controller, discusso per ore, vomitato fuori l’enorme trave che stavo tentando di mandar giù – era davvero troppo grande, dovevo sapere se ci fosse davvero o stavo impazzendo. Dopodiché, la sera del terzo giorno ho deciso di riprendere il controller. Ho chiamato quegli stessi amici e gli ho detto: “provo per un attimo a tornare nel presente, a rischiare con una 30mbps e ve lo mostro in diretta su Twitch così discutiamo insieme”.

Avevo speso dei soldi, rinunciando anche a una vecchia cartuccia a cui avevo dedicato anche meno tempo del previsto. Una cosa che odio fare, ma per Pokémon avevo preso il rischio. Tanto valeva giocare, ormai. Tanto più che proprio quest’ultima decisione mi ha aiutato a ricordare perché avevo comprato quel gioco: per giocarlo e godermelo.

Sono tornato al passato, a quando giocavo per giocare. A quando le pretese erano basse, perché tanto era comunque tutto squadrato e con una palette cromatica non troppo ampia. Questo non mi ha aiutato a chiudere gli occhi ai problemi eh, sia ben chiaro: erano davvero troppo grandi, e siamo troppo nel futuro per dover usare sempre la mentalità del ’97. Ma è stata la spinta che mi serviva a vestire finalmente i panni di Kido, uno studentello appena entrato all’Accademia Arancia con tre diverse strade da percorrere come più gli aggrada.

I Capipalestra, il club dei fancazzisti team Star o le spezie? La questione era decidere da cosa iniziare, perché tanto prima o poi c’era un finale per tutti. E allora io e un ristretto gruppo di amici abbiamo proseguito quanto avevo a malapena iniziato. Abbiamo esplorato insieme Paldea con la dovuta calma, scoperto Pokémon che non sembravano tali e ritrovato vecchie conoscenze colorate in un modo un po’ diverso.

Allora, sempre insieme, abbiamo proseguito lungo il percorso del destino scritto in qualche riga di codice. Non sapete la sorpresa: il club dei fancazzisti team Star in realtà era composto di persone, con problemi da persone, che hanno raggiunto una conclusione degna di ragazzini della loro età per combattere quegli stessi problemi. E poi c’era Pepe, un uomo a suo modo stravagante con una missione da compiere dallo scopo un po’ strano. Già, troppo strano: e infatti anche lì c’era qualcosa di più. Anche i Capipalestra… nah, loro sono esattamente ciò che sembrano, al netto dell’essere Capopalestra solo a tempo perso. Qualcuno di loro lascia un impatto maggiore degli altri, per fortuna, altri invece sono sembrati tutti uguali.

Qui, proprio qui: questo è il punto in cui ho letto un messaggio molto particolare. Il solito percorso c’è, e puoi intraprenderlo tranquillamente. Puoi percorrerlo anche nell’ordine esatto in cui è scritto in una pagina Google, e far finta che sia sempre l’unica cosa che conta. Ma forse dovresti provare un’altra strada, una diversa dal solito. Il futuro. Un futuro fatto di bug, glitch, frame drop, scatti, personaggi che appaiono e scompaiono come vogliono. Di Pokémon squadrati incastrati nelle pareti. Un futuro fatto di questo, certo (anche se si spera in misura molto minore di così), ma anche di molto di più e più bello: esplorazione libera.

Dall'altro lato Pokémon Violetto - il futuro, tutto quanto è nuovo ma palesemente arrivato troppo presto

Così ci ritroviamo gettati in questa Spagna in miniatura, spaesati dalla mole di segnalini sulla minimappa senza un minimo di introduzione, manco fossimo in un gioco Ubisoft, e ancor di più da queste distese di texture in bassa risoluzione e monocromatiche, alternate solamente da alcuni dislivelli e da una quantità esorbitante di strumenti sparsi a caso in giro per il mondo di gioco senza nessun senso logico o idea di game design. Mano a mano che passano le ore, mi accorgo che è proprio questo il problema, quel fastidio che sento costantemente presente e che, in parte, non mi permette di godermi appieno il titolo: manca un vero e proprio game design.

Scarlatto e Violetto vengono generati da quella che è probabilmente la tempesta perfetta del mondo Pokemon: la lodevole intenzione di rinfrescare il brand con una struttura open world che si scontra con una evidente mancanza di conoscenze di un impianto così diverso dal solito. Il tutto coronato da tempistiche estremamente ristrette dettate dalla necessità di The Pokémon Company di non fermare l’enorme macchina stampasoldi dei mostriciattoli tascabili.

Basta un attimo per trasformare il primo vero open world Pokémon in un enorme sandbox, un gigantesco parco giochi in cui, volente o nolente, non riesco a non leggere il codice di gioco in maniera così semplice da estrarmi completamente dalla finzione.

Ecco che allora, quasi inconsciamente, smetto di raccogliere la miriade di oggetti sparsi per la mappa perché tanto ho una quantità così gigantesca di Pokédollari che posso permettermi di comprare 50 iper pozioni alla volta, così come le varie pokéball. Allo stesso modo non mi impegno più per raggiungere quel fascio luminoso che identifica una MT sparsa in giro, perché il parco mosse imparato da ogni pokémon in autonomia basta e avanza per polverizzare qualunque avversario ci si pari davanti.

Smetto di usare la funzione “manda avanti” perché velocizza due meccaniche che sono già praticamente inutili di loro – il farming e la raccolta di oggetti. Dopo un certo punto smetto anche di catturare nuovi Pokémon, perché la mappa completamente esplorabile mi permette di creare la squadra definitiva a poche ore dall’inizio dell’avventura. Di fatto il resto delle catture si trasformano in semplici momenti di completismo.

Mentre corro in groppa al mio Miraidon incappando per sbaglio nell’ennesimo mostriciattolo così piccolo da risultare invisibile, mi chiedo se sia davvero questo il futuro che noi e il brand stesso ci meritiamo. Io so che si può fare di più, so che Gamefreak ne è capace. Lo ha già dimostrato con Pokémon Leggende Arceus, che aveva un game design concepito e strutturato per rendere il mondo attorno al giocatore vivo, credibile e divertente.

L’avventura a Hisui ha dimostrato, per esempio, che un level design delle mappe che sia coerente ma al tempo stesso vario è possibile. Tanto è vero che, a distanza di quasi un anno, ricordo perfettamente la composizione delle cinque mappe esplorabili, quando continuo a perdermi per Paldea anche in mezzo alle pianure. Con Leggende si è scoperto che c’è anche un sistema per ridurre la possibilità che un giocatore (senza un farming intensivo e voluto) possa rovinarsi alcune boss fight o incontri pokémon a causa di un eccessivo livellamento della squadra avvenuto solamente giocando. Era bastato ritoccare la curva di crescita delle statistiche dei mostri, così come la potenza delle loro mosse.

Eppure in Pokemon Scarlatto e Violetto non troviamo nulla di tutto ciò. Ci ritroviamo letteralmente a distruggere gli allenatori più forti di tutta Paldea senza nemmeno sfruttare tutta la squadra. Per non parlare delle boss fight contro i Pokémon dominanti, che dovrebbero essere delle macchine inarrestabili e invece vengono abbattuti da un soffio di vento.

Eppure, una volta preso atto che avevo un enorme parco divertimenti a mia disposizione, ho cominciato a notare dei piccoli germogli, delle piccole cose che riaccendevano la speranza nel mio cuore. Ci sono tanti piccoli Sandile che “nuotano” a fil di sabbia nel deserto, a mo’ di coccodrilli, e dei Voltorb che reagiscono alla vicinanza del giocatore innescando l’autodistruzione. Oppure ancora, dei Golduck e Vaporeon che nuotano placidamente in uno stagno.

Il futuro torna ad assumere un minimo di luce, perché questo brand ha saputo ritagliarsi la posizione che occupa nel cuore di milioni di grandi e piccini per dettagli come questi, che in passato potevamo solo immaginare e che il futuro e la tecnologia hanno reso possibile. Per non parlare del segmento finale del gioco, che dimostra quanto di buono sappia fare questo team creativo quando non deve uscire dalla sua comfort zone, quantomeno sul lato narrativo.

Speranze, ricordi preziosi, completezza. Delusione, traumi, voglia di riscatto. Benvenuti a Paldea.

Dare un’opinione finale è dura, stavolta è davvero dura – più di quanto lo sarebbe stata con Leggende Pokémon Arceus.

È dura perché i bene e i male sono in aspro contrasto, non solo qualitativamente ma anche quantitativamente. Sui due capi di una bilancia la tengono perfettamente in equilibrio, perché per assurdo il gioco è tanto un disastro tecnico quanto una miniera di bellissime idee – sfruttate male e poco, ma belle al punto di non poterle semplicemente ignorare.

E cancellarle non va bene. Mai. Perché all’atto pratico il senso di giocare Pokémon è catturare i Pokémon, ed esplorare una nuova regione. Le porte sono chiuse, sì, ma la mappa è più aperta che mai. Funziona male, davvero male, ma c’è tanto da esplorare – se non altro in cerca di MT o di scorci fotografici. La photo mode è pensata davvero di merda, ma se usata bene ti rendi conto che questo gioco qualcosa di bello lo nasconde. Le persone laggano, la Supercampionessa (o “Supercapa”) è di un anonimato così raccapricciante da far stonare quel super. 

Eppure è in Pepe che si ritrova il cuore pulsante del gioco, è in un Koraidon che da semplice cavalcatura recupera il coraggio caratteristico di un vero Pokémon leggendario. È nel team Star, che aveva una bella storia da raccontare anche se è stato fatto troppo brevemente e sbrigativamente. In Garoff, un “enigmatico” rivale del team che ha capito quasi troppo tardi i motivi dietro la gang. Marginalmente anche in Nemi, la principessa di papà che vuole solo vedere i Pokémon prendersi a pugni. In Capsi, una Superquattro caratterizzata dallo spiccato accento romano che sa essere una fredda esaminatrice quando richiesto – per poi ricordarti al primo stupido errore “che te possino, gnappolé”. 

Game Freak ci ha visto lungo stavolta. Sapeva già come mi sarei sentito alla fine di tutto, che cosa avrei pensato e cosa avrei criticato. Sapeva già esattamente come avrei reagito, parola per parola più una licenza poetica italiana abbastanza ambiziosa.

“Che te possino, gnappolé.”

Il mood perfetto. E non è che una briciola della delusione che abbiamo in corpo pensando al gioco che avremmo potuto avere e che non abbiamo avuto. E qualcosa è cambiato: c’è un elenco di enormi critiche e timidi apprezzamenti in più nell’enorme mare di internet. Quello che non cambierà è che di anno in anno, di giorno in giorno le finanze di Game Freak si gonfiano a dismisura, indipendentemente da quanto una manica di fan arrabbiati o delusi possano urlare al cielo. 

Non importa quanto perfetti Scarlatto e Violetto potevano essere, perché non lo sono stati. Non importa quanto tempo e parole spendiamo a sottolineare quei piccoli, importanti dettagli che fanno ben sperare nella prossima generazione: verosimilmente poco cambierà. Ma nel fare il nostro ci abbiamo messo ciò che era giusto metterci – un grosso grazie e un altrettanto urlato “vaffanculo”.

Un vaffanculo che ci esce dal cuore e che si compone di sogni infranti e speranze per il futuro che, in cuor nostro, sappiamo già verranno disattese anche nel prossimo titolo della serie.

Perché alla fine voler credere nella saga di Pokémon e in Gamefreak è anche questo – è il voler dare fiducia a quell’amico che non c’era nel momento del bisogno perché aveva un’emergenza. Così come la volta prima e quella prima ancora, ma la prossima volta sicuramente ci sarà… forse.

Pokémon deve guardare al suo futuro, perché al momento è come quei liceali che, dopo l’esame di maturità, devono decidere cosa vogliono davvero fare da grandi. Deve decidere se vuole essere davvero un open world, e in quel caso deve studiare per diventarlo. Perché anche lo studente più brillante ad un certo punto dell’università diventa fuori corso se non studia per gli esami.

Gamefreak deve prendere il futuro del brand in mano, guardando al passato della serie per imparare dagli errori commessi e da ciò che rende iconica la serie, ma proiettando prima di tutto se stessa nel futuro. Deve capire che non basta prendere i vecchi giochi e trasporli in una mappa aperta per produrre un open world che funzioni davvero. Deve capire che ci vanno studio e impegno per adattare la formula nella maniera vincente. È arrivato il momento di scegliere se si vuole essere un Omanyte riportato in vita nel presente, oppure Miraidon in tutta la magnificenza della sua forma lotta.

Guardo la Pokeball nella mia mano. Dentro di me so che qui dentro ci sarà il Pokémon fossile, ma decido lo stesso di lanciare la sfera, sperando con tutto il cuore che ne esca il futuristico drago leggendario. Alla fine è questo che vuol dire amare il mondo Pokémon.

Voto e Prezzo
6 / 10
25€ /60€
Commento
Scarlatto e Violetto più di ogni altro predecessore sono l'emblema di tutto ciò che è la mainline Pokémon da anni a questa parte: un sacco di buone idee, esecuzione molto da migliorare. In questo caso molto più del solito, e a tratti l'amore per i Pokémon è messo a durissima prova.
Pro e Contro
Colonna sonora
Ottime intenzioni...
(Il finale le dimostra...)

x Più indietro di Leggende
x ...applicazione tecnica disastrosa
x (...spiegate nel DLC)

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