Recensione Megaton Rainfall

Da grandi poteri derivano grandi responsabilità. Da grandi visori, grandi nausee…

Ad un anno e spicci da quella che abbiamo eletto come data equivalente alla nascita di Cristo per quanto riguarda la Realtà Virtuale consumer, ormai una cosa è chiara: è un settore dell’intrattenimento che si nutre di sogni e suggestioni, e non è un caso che le esperienze che ci abbiano gasato di più – se vi aspettavate dei termini più tecnici, avete decisamente sbagliato portale (e autore a cui chiederli) – siano proprio quelle che meglio hanno incarnato questo obiettivo. Megaton Rainfall, da questo punto di vista, sfonda una porta aperta: non puoi mettere sul piatto una sorta di Superman Simulator e servirlo ad un tavolo di persone le cui madri sono cresciute con lo spauracchio della loro progenie che si buttava giù dalla finestra di casa cercando di emulare il kryptoniano di casa DC. Il problema è che i personaggi di cui sopra, quando si accosta Superman ai videogiochi, hanno ancora sullo stomaco un certo Superman 64

Versione testata: PlayStation 4

Dov’è la mia fortezza della solitudine?
L’esperienza si basa sul concetto di danni collaterali
Ma, come avrete visto se siete tra quelli che appena il browser carica un articolo di questo tipo scorrono in fondo, Megaton Rainfall ha schivato il proiettile. Alfonso del Cerro (si, siamo di fronte al classico one-man-studio tipico del mondo indie, con le musiche di David García a fare da guest star dopo le ottime prove di Hellblade e Rime), a differenza di quanto offerto da Nintendo nel lontano ’99, si è ricordato che il bello di avere a disposizione dei super poteri è poter – per l’appunto – usare questi super poteri contro i nemici di turno. Non senza conseguenze, visto che in ossequio al mantra che accomuna poteri e responsabilità, il giocatore dovrà star bene attento ai danni collaterali causati dalle sue capacità oltreumane. Scopo del gioco, fondamentalmente, è quello di difendere il genere umano – i mortali, quantomeno in questo piano dell’esistenza – da dei misteriosi intrusi, che sono in qualche maniera riusciti ad imbrigliare il potere delle Xenosfere per creare armi di distruzioni di massa (il cui design strizza volentieri l’occhio alla cultura geek, inserendo per esempio richiami più o meno palesi a La Guerra dei Mondi). La modalità storia fondamentalmente si limita a contestualizzare quei pochi elementi che servono per rendere solido e credibile il background, portando dietro il visore di PlayStation 4 – o anche solo in TV, visto che si può giocare al titolo anche in maniera “non VR” – una trama che riprende il modello del già citato Superman (e del suo rapporto col padre biologico) e giustifica i power-up che alla fine di ogni missione vengono elargiti, sbloccando nuove abilità. Il tutto è ambientato in una sorta di open world che si estende per un intero pianeta, che grazie ai poteri del protagonista può essere “navigato” a tutta velocità raggiungendo velocemente gli obiettivi di turno.

Anche perché bisogna ammettere che non ci sia molto altro da fare, in Megaton Rainfall: fondamentalmente si arriva al punto segnalato, si affronta la missione cercando di non distruggere la città e poi si ripete dall’inizio.

Il tutto con il classico piglio arcade cui ormai il mondo indie, specie in Realtà Virtuale, ci ha abituati: bisogna essere veloci nell’eliminare i nemici e stare attenti a non far danneggiare (o a danneggiare direttamente) la città, sbagliando mira oppure – ancora peggio – scatenando il devastante attacco energetico caricato che si ha a disposizione. Troppo vicino a terra e un grosso pezzo della città viene devastato, in pieno stile Indipendence Day. Il risultato è quindi quello di avere davanti agli occhi – di fatto – uno sparatutto in prima persona che punta fortissimo sull’immedesimazione e fa perno sul concetto di danno collaterale, riuscendo a confezionare un’esperienza probabilmente non memorabile ma identitaria, non banale e per molti tratti anche divertente. Finché non colpisce il solito Mal di Doom

Maledetto controller
Si gioca solo col pad tradizionale, peccato
Il problema è che fondamentalmente l’esperienza si gioca con il controller tradizionale di PlayStation 4, ovvero il suo DualShock. Cosa che, come la storia e i precedenti ci insegnano, tendenzialmente porta a soffrire quel fastidioso senso di “scollamento” tra azione nel mondo vero e reazione in quello virtuale che si conclude con il famigerato motion sickness. Poter giocare utilizzando PlayStation Move, probabilmente – per quanto avrebbe indubbiamente reso più macchinoso il sistema di movimento – avrebbe arginato la problematica, e creato una maggior immersione del giocatore nel suo alter-ego super potente. Così com’è comunque Megaton Rainfall si lascia giocare, ma richiede una pausa tra una missione e l’altra. O ancora meglio, l’alternanza tra la modalità VR e quella tradizionale. Peccato che per “switchare” tra le due sia necessario chiudere l’applicazione e riavviarla a visore acceso/spento. Ingenuità non clamorosamente grave, ma fastidiosa per un utente finale che potrebbe già essere un po’ incattivito per via della ripetitività di fondo analizzata poco sopra.

Dark Side of the Moon
Dal punto di vista visivo, Megaton Rainfall è indubbiamente ben confezionato: è chiaro che ci sono tutti i compromessi di una produzione a basso budget (a proposito, il gioco può essere preso dallo scaffale virtuale per 15.99€) e, probabilmente, il colpo d’occhio non è artisticamente evocativo come quello che può vantare Dexed di Ninja Theory, ma bisogna considerare che si ha davanti un mondo vastissimo e che è popolato di città che poi si animano, con persone e vetture che ne popolano e respirano le strade. È abbastanza per calare il giocatore nei panni del Super Eroe onnipotente (o quasi) venuto per salvarli, e problemi di chinetosi a parte l’esperienza scorre fluida e si fa giocare.

megaton rainfall

Verdetto
7 / 10
Da giocare con le mutande sopra i pantaloni
Commento
Megaton Rainfall porta dietro le lenti di PlayStation VR un'idea molto interessante, e a tratti anche ben resa. I problemi di fondo, essenzialmente, sono due: il piglio arcade che - non è un male di suo, attenzione - lascia all'esperienza un po' poco respiro e mette il tutto in pieno rischio ripetitività, e il dover per forza giocare utilizzando DualShock 4, laddove un approccio pro-motion controller avrebbe potuto limare il solito fenomeno di motion sickness. Per il resto c'è da dire che il prezzo non è particolarmente alto e l'esperienza è una decisa variazione sul tema Sparatutto in Realtà Virtuale, per cui ha senza dubbio una sua ragion d'essere.
Pro e Contro
Idea interessante e ben resa
Acusticamente indovinato
Mondo vastissimo...

x ... Ma ripetitivo
x Occhio al solito "Mal di Doom"

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