Dal reparto psichiatrico all’obitorio.

Devo essere sincero, se avessi scritto questa recensione sette giorni fa avrei stroncato l’opera Zoink senza remore e pentimento, abbandonando anche un pizzico di buonsenso e oggettività. Questo perché, come la morte che fa da fil noir dell’intera produzione, Flipping Death va metabolizzato, accettato, passando attraverso rabbia e dispiacere, soprattutto da chi uscì con la mente deliziosamente disordinata dalle sedute di psicanalisi satirica in Stick It to the Man. Questo perché, semplicemente, non c’è stato alcun salto di qualità rispetto alle vicende di Ray e del suo telepatico ospite, anzi, forse c’è qualcosa in meno, laddove l’atmosfera meravigliosamente beetlejuiceiana e una meccanica di base, sulla carta, geniale, avrebbero meritato un capolavoro. Vediamo di che morte dobbiamo morire, va.

 

Versione testata: Nintendo Switch

Una volta mio cugino è stato posseduto da un fantasma
Penny ha il gusto per il macabro, un pessimo gusto a dirla tutta, che la spinge a vivere costantemente in un mood halloweeniano misto alla sua deliziosa indole naif, che la rende una ragazza adorabile, splendidamente stramba e spontanea. Una natura che si riflette anche sulla sua vita sentimentale e la spingerà a portare il suo timido fidanzato nel cimitero di Flatwood Peaks, per pomiciare in un mausoleo. Di per sé l’idea non è di quelle da “doppia libidine”, come direbbe Jerry Calà, ma sicuramente non ci si immaginava che il pavimento di suddetta cripta non aspettasse altro che cedere sotto i piedi della ragazza, spezzando al contempo eccitazione e vita terrena. Stai a vedere che però un aldilà esiste davvero, che la Morte in persona, esattamente abbigliata come vuole l’iconografia pop, stia per concedersi una vacanza sulla Luna, dove tendenzialmente non muore nessuno, per scarsità di materia prima, e che per una serie di equivoci Penny prenderà il suo posto come sostituta, 10 minuti dopo essersi rotta la schiena.

Flipping Death racconta la morte in modo allegorico e brillantissimo, tra malinconia e comicità che ricordano le migliori opere di Tim Burton, in cui Zoink aggiunge massicce dosi del suo “grottesco” fatto in casa, dando vita a una narrazione lisergica.

Da questo momento scopriremo il dietro le quinte della vita, cosa succede quando cala il sipario, osservando tutto dalla prospettiva dei macchinisti, una specie di “sottosopra” alla Stranger Things, limbo parallelo in cui gli spiriti abbastanza potenti possono prendere possesso del corpo dei vivi per risolvere i problemi delle anime in pena, dando vita ad un circo dell’assurdo in secula secolorum. L’anima di Flipping Death è questa, ribaltare in continuazione il piano terreno con quello spiritico, possedere i cittadini di Flatwood Peaks e usare le loro bizzarre e grottesche abilità per aiutare chi ancora non ha trovato la pace eterna, ma soprattutto per cercare di cavar fuori Penny da una situazione che pare irreversibile. Se in Stick It to the Man il focus psichiatrico del gameplay prevedeva di inculcare pensieri negli abitanti della città appiccicando i relativi adesivi direttamente nelle loro teste, per lo più vuote, qui Penny farà agire i vari attori della vicenda in prima persona, con tanto di comandi ad hoc per le abilità più particolari, rendendo sulla carta più dinamico un gameplay comunque legato all’evoluzione delle dinamiche punta-e-clicca e alle avventure grafiche in genere.

Queste azioni però si scontrano con una gestione delle collisioni sporca, imprecisa, fastidiosa, che innanzitutto rovina da subito il platforming, talmente insipido e poco ispirato nel level design da risultare pretestuoso, e che in seconda battuta sbiadisce le splendide, teoricamente, interazioni tra i personaggi e il mondo di gioco. È un gameplay tanto geniale quanto impacciato, cigolante, proprio per la poca cura riposta nella qualità del sistema di controllo, oltretutto rallentata da certi arzigogoli evitabili, situazioni poco leggibili che (nonostante la presenza di indizi da consultare nel momento del bisogno, scontrandosi col proprio orgoglio) costringono il giocatore a pirlare in giro per il cartonato di gioco (delizioso) senza avere le idee chiare, con personaggi diluiti lungo location fin troppo ampie e poco dense, ricche di vicoli ciechi, andando a tentoni e sperimentando una sensazione di noia che il gioco non si merita. Manca la fluidità del suo prequel, che nella continua ricerca di cause ed effetti dava punti di riferimento, ambientali e narrativi, senza bisogno di un menu dedicato agli indizi e lasciando comunque tutto il lavoro e il divertimento alle abilità intuitivo-cognitive del giocatore.

Eppure a livello ludico manca qualcosa, tutta la fluidità e la brillantezza del puzzle solving di Stick It to the Man, che rimane sì geniale ma fin troppo diluito e penalizzato da collisioni sballate, proprio come le sue fasi platform.

Non mancano anche bug assortiti che un paio di volte mi hanno costretto al riavvio della partita. C’è una sensazione di incompiutezza che aleggia tra i vicoli di questo e l’altro mondo, idee poco chiare il cui specchio è l’abilità di Penny di lanciare la sua falce e teletrasportarsi nel punto il cui si conficca, oppure a mezz’aria, utilizzato semplicemente per saltare più in alto o per rallentare certi ghoul pronti a darcele di santa ragione, senza approfondimenti di sorta o utilizzi brillanti, nonostante ci fosse la possibilità di inserirli. L’anima platform, tanto elementare quanto imperfetta, è utile solo a raccogliere gli spiritelli che vagano per la mappa, fondamentali nel processo di possessione, divisi in tre tipologie e altrettanti metodi di raccolta. I momenti clamorosi ci sono, certe trovate e situazioni sono studiate in maniera divina e mostrano quanto gli sviluppatori, a briglie sciolte, possano tirare fuori incantevoli perle di surrealismo ludico, a cui si aggiungono un gran numero di sfiziose missioni secondarie per la gioia dei completisti. Il fatto è che il gameplay non risponde come dovrebbe, e anche le azioni più gustose risultano un po’ desaturate della loro brillantezza, come se il passaggio ad uno stile di gioco più diretto ed elaborato rispetto al “corri, attacca/stacca sticker, salta occasionalmente” di Stick It to the Man, si sia rivoltato contro gli stessi sviluppatori di Göteborg, che rimangono maestri di caratterizzazione e storytelling.

È infatti nella sua narrativa che Flipping Death torna a brillare, con una vicenda dai contorni palesemente burtoniani al cui interno si nasconde un gusto per il racconto assolutamente personale, in totale stile Zoink, che difetta forse della vena satirica e travolgente del predecessore, deliziosamente scorretta, per parlare a modo suo di amore, vita, morte, tratteggiando personaggi (pochi, ma buoni) dalla personalità esplosiva, contorta, dai tratti psicopatici, a volte sadici, altre genuinamente idioti, protagonisti, co-protagonisti e comparse di una storia che merita di essere ascoltata. Love story che continuano da 400 anni (le sezioni indietro nel tempo funzionano alla grande) nonostante teste mozzate e maledizioni, pompieri deboli di cuore appassionati di film horror, latin lover intenti a conquistare adorabili vecchiette per poi ucciderle ed ereditarne le ricchezze, il capitano Nemo e la sua liaisone con una sirena, Penny sarà burocrate, burattinaia e angelo custode, trovando capitolo dopo capitolo l’incastro perfetto di questo mosaico in cartone pressato. Circa 4 ore, senza stare troppo dietro alle richieste secondarie, immersi in un circo cartaceo reversibile che brilla per lo stile unico della sua direzione artistica, sospeso tra il disturbante e il comico, esponenzialmente grottesco e caricaturale, davvero straordinario benché non adatto a tutte le retine, accompagnato da un jazz parodistico, che pare prendere in giro e sfottere, a ragion veduta, ogni singola azione perpetrata a schermo, dalle cui canzonatorie note non si può che notare una gran classe.

Verdetto
7 / 10
Falce e mantello
Commento
Tra il 7 che potete osservare qui di fianco e l'8.5 con cui nel dicembre scorso sottilineai l'assoluta bontà di Stick It to the Man, in occasione dell'uscita su Switch, 4 anni dopo l'esordio, c'è tutto quello che secondo me manca a Flipping Death. 5 anni non sono bastati per evolvere una formula dal grandissimo acume ludico, che mostra il fianco ad un'azione che diventa più elaborata ma, di pari passo, meno curata, con un'inutile accento su un platforming banale che già 5 anni fa era il punto debole, meglio mascherato, dell'avventura di Ray. Il puzzle solving rimane brillante, ma il numero degli stessi e dei personaggi coinvolti è stato tagliato senza asciugare le dimensioni degli ambienti, ora decisamente meno densi e più dispersivi. Zoink si dimostra però un team di cantastorie unici, brillanti, capaci di donare ai propri assurdi attori un copione e delle motivazioni che valgono comunque un giro a Flatwood Peaks, fino all'aldilà e ritorno.
Pro e Contro
Storytelling di altissimo livello
Artisticamente superbo e unico
Puzzle solving spesso intrigante

x Platforming sciatto
x Collisioni imprecise e bug vari
x Ambientazioni ripetitive e poco dense

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