Driveclub è una serie nata sotto una stella, come abbiamo avuto occasione di vedere, decisamente strana: colpitissimo dalla sfortuna al lancio (
arrivato con un tremendo ritardo rispetto alla deadline originale, fissata per il lancio di PlayStation 4) il titolo ci ha messo un po’ ad ingranare la marcia giusta e a ritagliarsi un posticino d’onore nella lineup della console di Sony, grazie soprattutto all’impegno di
Evolution Studios nella fase immediatamente successiva al lancio. Impegno che però non è bastato, nonostante anche la pubblicazione dell’ottima espansione
Bikes, ad evitare
la chiusura del team; orfana della casa madre la serie è comunque scesa in pista per la terza volta in tre anni in occasione del debutto di PlayStation VR: vediamo con che prestazioni.
Come abbiamo avuto modo di vedere in questi giorni, l’arrivo in pompa magna della Realtà Virtuale nel mondo dei videogiochi ha portato oltre a tantissimo software da provare anche qualche problema finora inedito: a seconda del giocatore che sta dietro al visore cambia la sensibilità nei confronti di questo nuovo modo di fare giochi e, soprattutto, cambiano i fastidi che l’esperienza può causare. Driveclub VR, nel caso specifico, è probabilmente uno dei titoli dove il famigerato “motion sickness” ci ha colpito con più forza, aspetto che inevitabilmente ha condizionato alcuni aspetti della nostra valutazione.
Il calzino da guida questa volta è in 3D
Il primo impatto spiazza, ma poi per fortuna si sblocca il gioco vero e proprio
Il primo impatto con Driveclub VR è straniante, specie se si arriva dall’ottima esperienza vissuta grazie al titolo base. Laddove prima si riscontrava una cura per i dettagli delle vetture maniacale, un impatto visivo imponente e soprattutto un gameplay arcade ma dannatamente convincente sul piano della valenza ludica, questa versione per PlayStation VR per qualche motivo cala il giocatore in quella che è una sorta di versione in Realtà Virtuale del Pole Position di Namco, modello della F1 che si sta pilotando (identico per tutti i piloti in pista) incluso.
Fortunatamente è solo un trucco, e dopo aver completato i primi giri di prova si può tranquillamente accedere all’offerta vera e propria. I menu di gioco diventano immediatamente più familiari cercando, in pratica, di allinearsi a quanto veniva proposto due anni fa.
Operazione sicuramente “furbetta”, ma non in senso necessariamente negativo: è vero che, contenutisticamente parlando, non si riscontrano grosse novità di rilievo rispetto a quella che ci veniva proposto nell’originale, ma d’altra parte
la Realtà Virtuale impreziosisce diversi degli aspetti che hanno permesso a Driveclub di affermarsi nonostante i problemi sofferti al lancio.
L’illusione funziona: siamo in pista ed il cervello ci crede
Il primo a beneficiarne, senza ombra di dubbio, è la cura riposta nei modelli delle vetture presenti in-game di cui parlavamo poco più su: indossato PlayStation VR l’illusione di essere davvero dentro la macchina scelta, specie se magari si ha avuto occasione di salire sul veicolo anche nella vita reale e se ne ha una certa familiarità, è decisamente riuscita, e quasi istiga a lasciare la presa sul controller che si tiene tra le mani per toccare volante e leva del cambio (
da questo punto di vista, giocare sfruttando un volante innalza ulteriormente il livello di immersione). Ne guadagnano anche i vari effetti particellari inseriti su pista, alla partenza o durante qualche passaggio, che restituiscono davvero la sensazione che qualcuno abbia lanciato dei coriandoli o che un sacchetto di plastica fluttui, sospinto dal vento, a pochi centimetri dal cofano dell’auto. Infine, il design dei circuiti, specie quelli dove i giochi di luce sono un escamotage più sfruttato (
complice l’ottimo sistema di illuminazione dell’originale) rendono il tutto se possibile ancor più realistico:
passando in una galleria dove la luce del sole riesce ad entrare ad intermittenza da alcune aperture a bordo pista sollecita le retine dandogli gli stessi stimoli che riceverebbero nella vita reale.
La sindrome del pilota
Compromessi visivi e qualche fastidio inevitabile
Ma allora dov’è la fregatura? Allungando l’occhio al di fuori dell’abitacolo e fissandosi su alcuni dei dettagli della pista di turno,
è impossibile non notare come dal punto di vista visivo la performance si abbassi quasi drasticamente, uscendone (
è il caso di dirlo, visto che Driveclub è probabilmente uno dei giochi più riusciti della lineup di PS4 dal punto di vista grafico) con le ossa rotte in un confronto con il
ghost del capitolo di due anni fa. Limite immaginabile e, per lunghi tratti, anche comprensibile, visto che era chiaro già dalle prime uscite di PlayStation VR che da questo punto di vista si sarebbe per forza di cose dovuto scendere a qualche compromesso. Il problema più grave infatti non riguarda la componente visiva, ma il motion sickness citato nel box introduttivo della recensione: come detto,
Driveclub VR è uno dei titoli che ci ha maggiormente fatto patire il fenomeno, complice il poter girare in pista a velocità esagerate senza che il corpo ne ricavi gli stimoli che si aspetta, situazione che porta ad uno “scollamento” tra realtà e percezione che immaginiamo sia la causa del malessere. Un po’ alla volta, abituandosi, il problema rientra in parte, ma il primo impatto è quasi spaziante e potenzialmente può mettere in ginocchio il giocatore.
Un vero peccato, perché superato questo problema si è davanti a quello che è un grande showcase delle potenzialità della tecnologia per il genere delle corse, e contenutisticamente l’offerta (
pur priva di inediti) è ricca, sufficientemente varia e proposta ad un prezzo budget di 39.99€, con un rapporto prezzo/contenuti allettante.
Verdetto
7 / 10
Quasi quasi spendo altri 200€ di volante...
Commento
Pro e Contro
✓ Solita cura per i dettagli
✓ L'illusione funziona alla grande
✓ Tanti contenuti...
x ... Ma nulla di nuovo
x Qualche compromesso visivo
x Occhio al motion sickness
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