Mentre giocavo a Daymare 1998 ho dovuto diverse volte controllare la data sul calendario. Sì, perché la sensazione di essere finito in un vortice temporale ed essermi risvegliato nel passato è stata bella forte. Gli Invaders Studios, con Daymare, hanno cercato di farci fare ritorno agli anni 90 costruendo un survival horror vecchio stile, quello stile incarnato nei vari Resident Evil e Silent Hill. E in realtà, la nascita di questo titolo è dovuta proprio all’esistenza di Resident Evil, o per essere più precisi, al secondo capitolo: Daymare 1998 è il risultato di un tentativo di remake di Resident Evil 2. Un tentativo apprezzato da Capcom stessa, che si è complimentata con i ragazzi nostrani per la qualità delle sezioni che erano state mostrate. Scopriamo insieme passo-passo in questa recensione per console come si comporta, ricordandovi che il titolo era già uscito su PC a fine estate scorsa.
L’introduzione al gioco avviene con una cinematic di tutto rispetto, che lascia intendere una trama fitta, ricca di intrighi e tradimenti. Inutile dire che saranno presenti cliché e momenti telefonati, dopotutto sono il classico del genere. Ma fidatevi, quello che c’è in fondo, non è proprio così prevedibile. E, se come me, siete adoratori dei twist sul finale, ci sarà pane per i vostri denti.
Pochi secondi dall’avvio e siamo già nei panni del nostro primo personaggio giocabile. Sì, ho detto primo: Daymare, nel corso dell’avventura, ci mette nei panni di tre personaggi diversi. E, per essere sincero, è andata a finire un pò come se alla sceneggiatura avessero messo David Cage: funziona una su tre. In questo caso, non è tanto la trama a non funzionare, ma quanto la profondità dei personaggi. Liev e Raven sono un pò il classico stereotipo del carattere dei soldati opposti: uno crudo, forte e deciso a portare a termini la missione a tutti i costi, l’altro più emotivo e perennemente indeciso, sopratutto a causa di un trauma subito per una missione passata non andata a buon fine.
Quello meglio caratterizzato, invece, risulta Samuel, povero tagliaboschi che viene trascinato negli eventi della storia senza volontà. Forse, come valore aggiunto, avrebbe avuto senso avere variazioni al gameplay in base a quale dei tre protagonisti stavamo impersonando.
Daymare e il ritorno degli anni 90, ma doveva tornare proprio tutto?
Le meccaniche di gioco sono al 100% quelle dei Survival Horror vecchia scuola: munizioni contate, cure ridotte all’osso e, ovviamente, un sacco di cattivoni che vogliono assaggiare la nostra carne. E il trucco è sempre lo stesso, non puoi sparare a qualsiasi cosa si muova. Altra meccanica presa direttamente dai Resident Evil sono gli enigmi da risolvere. Ne troveremo diversi e alcuni anche abbastanza ingegnosi e stimolanti: quello della fontana e dei punti cardinali mi aveva incastrato per bene.
Pad alla mano, si nota subito una certa legnosità. Ok, Daymare sta chiedendo a gran voce il ritorno degli anni 90, ma non è che tutto quello che c’era ai tempi era così necessario.
Bellissima l’idea di poter scegliere se estrarre il caricatore e buttarlo in terra o perdere più tempo per fare il cambio con uno pieno, però c’è un problema sostanziale in questa meccanica: per scegliere di non buttare il caricatore inserito nella pistola bisogna tenere premuto il tasto di ricarica per un paio di secondi. Secondi che vanno a sommarsi alla lentezza dell’animazione, il che rende la scelta un vero problema nelle fasi più concitate. Altro problema nella meccanica della ricarica? Bene: i caricatori vanno caricati manualmente dal menù, che in game viene trasferito come un piccolo terminale sull’avambraccio. Beh, direte voi, cosa c’è di male? Anche nei primi Resident Evil era così. Il problema è che visualizzare l’inventario non mette in pausa il gioco, cosa che comincia a crearti problemi nel momento in cui devi ricaricare dalla scatola di proiettili e ti trovi in mezzo ad una boss-fight.
Per quanto riguarda l’atmosfera, nulla da dire. I ragazzi di Invaders hanno fatto un lavoro solido e funzionante. Camminare nel buio di un ospedale infestato di morti che camminano ha reso la situazione angosciante senza bisogno di inutili e abusati jump scare. Le sezioni all’aperto convincono un pò meno, ma fa parte anche della natura stessa del titolo.
Nota a margine, il gioco è pieno zeppo di citazioni: locandine di film leggermente modificate, flipper dedicato a Terminator 2, la Dolorean parcheggiata o anche quel cabinato che si chiama Full-Life 3 con il classico simbolo che ricorda il gioco Valve.
Però l’apice, a mio avviso, lo si raggiunge quando visitate una casa con tutti i riferimenti allo studio degli sviluppatori: è stato come muoversi nel loro ambiente di lavoro, sperando che loro non abbiano problemi di zombie, però.
Il gioco si attesta su una difficoltà stabile e affrontabile, se sceglierete di giocarlo a normale, tolte alcune sezioni, sopratutto un paio di bossfight, dove improvvisamente si trasforma in un trial-and-error in cui morirete imprecando diverse volte mentre cercate di capire come uscirne vivi.
Nel complesso il titolo risulta buono, con alcune magagne tecniche ma bisogna pur sempre ricordarsi che non stiamo parlando di Capcom, ma di un ristretto team di sviluppatori mosso dall’amore per i giochi vecchio stile e i survival horror. Daymare vuole il ritorno degli anni 90 e, nel suo intento, ci è riuscito in pieno.
Verdetto
7.5 / 10
Il ritorno degli anni 90, nel bene e nel male.
Commento
Il gioco si attesta su un livello qualitativo abbastanza buono. Si vede l'impronta classica dei Survival Horror, dove devi saper gestire sapientemente l'inventario oppure capire quando è il caso di scappare. La difficoltà nel complesso è tarata bene, salvo alcune sezioni dove si impenna inspiegabilmente. Tecnicamente ha alcune lacune, ma ricordiamoci anche la partenza e l'identità di questo prodotto. Da parte mia, posso dire di aver sentito l'amore per il genere degli sviluppatori ad ogni passo nel buio.
Pro e Contro
✓ La trama sorprende ✓ Atmosfera azzeccata ✓ Dai, è il ritorno degli anni 90...
x ...ma si trascina dietro anche i difetti dell'epoca x Personaggi non troppo profondi x Difficoltà che si impenna
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