Potremmo affogarvi (e lo faremo) in un fiume di parole attorno ad Assassin’s Creed: Origins, spiegandovi cosa Ubisoft è riuscita a far fiorire dal limo lasciato dall’anno sabbatico concesso alla serie e cosa non ha germogliato. Ma la cosa che più interessa ai fan della serie è sapere se Origins è l’Undicesima Piaga d’Egitto o se c’è ancora speranza, dopo le ultime altalenanti uscite.
Il primo impatto è
quasi sconfortante. Si inizia a giocare ed è subito Bayek, senza premesse, orpelli e nemmeno senza interfacce Animus (o il loro
metadone che Ubisoft ha utilizzato da
Black Flag in poi). C’è il sospetto
che alla fine sia davvero successo, che la serie abbia alzato bandiera bianca e abbia deciso che alla fin fine
chissene della linea temporale del presente. A pensar male si farà peccato, ma viste le
dichiarazioni rilasciate qualche tempo fa sul “nuovo corso narrativo” dell’azienda – e visto l’indirizzo che in questo senso ha intrapreso
Watch Dogs con il
secondo capitolo – chi vi scrive si era ormai
quasi rassegnato all’idea, per cui è stato facile crederci. Poi però viene fuori che
è un trucco, solo un artificio narrativo utile a stendere il giocatore all’improvviso: perché sarà cambiata (definitivamente, questa volta) la formula e ci si sarà avvicinati con decisione ad un approccio più ruolistico, ma sotto l’involucro il DNA di
Coloro che Vennero Prima è ancora tutto lì, e
Assassin’s Creed: Origins tiene dannatamente fede al suo nome. E lo fa per intero, rispettando sia la promessa che c’è prima dei due punti nel titolo – risultando un vero e proprio Assassin’s Creed,
come non ne giocavamo da anni – che quella che c’è dopo.
Versione testata: PlayStation 4
Il Credo prima del Credo
Unity era un’
insolita minestra: svecchiava qualche meccanica, costruiva una storia convincente ma la confinava quasi esclusivamente ad Arno ed Elise, senza far procedere la timeline presente.
Syndicate era uguale e contrario, andando a raccontare una storia più zoppicante nel passato ma ricordandosi, quantomeno, di dare qualche indizio su cosa stava succedendo nel mondo reale. In entrambi i casi però
mancava qualcosa, e dopo aver giocato Origins è chiaro cosa:
la Storia, quella con la “S” maiuscola che studiavamo tra i banchi di scuola. Certo, il capitolo parigino aveva qualche interessante collegamento “off-screen” a Napoleone, ma si trattava di
attimi, in una saga che ci aveva abituati a fare letteralmente a cazzotti col Papa.
Origins? Beh, senza anticipare troppo, Origins scomoda alcuni tra i più grandi (e suggestivi) nomi possibili. E lo fa collegandosi ripetutamente alla trama degli altri Assassin’s Creed.
Senza dubbio il miglior Assassin’s Creed della generazione
Non solo perché a campagna finita sappiamo come nasce l’usanza di tagliarsi un dito tipica degli Assassini, da dove è arrivato il loro iconico logo e come è nata la Confraternita, ma perché vengono citati direttamente e indirettamente
diversi altri capitoli della serie. Ci sono richiami ad Altair, elementi che si ricollegano ad
Assassin’s Creed II e a
Brotherhood, nozioni che i più
in fissa con la serie hanno assimilato da Glifi, progetti collaterali e affini. E soprattutto, ed è bene sottolinearlo,
si recita un ruolo di attori non protagonisti in alcuni eventi storici epocali, godendosi ogni attimo (e ogni citazione, si tratti di frasi celebri della Storia o semplicemente di strizzate d’occhio ai fan della saga)
e in definitiva godendosi tutto Origins. Ma ci si muove anche nel presente, perché una volta fuori dall’Animus ci si rende conto che mentre Ubisoft ci rimpinzava di spin-off Templari e Assassini sono andati avanti, anche dal punto di vista meramente tecnologico.
Origins è un nuovo inizio, perfetto per
approcciarsi per la prima volta ad una saga che è praticamente l’equivalente videoludico di quello che è
Star Wars per il cinema ma – e se vi sembra che dalle nostre parole trasparisca troppo entusiasmo, tornate a leggerle dopo aver passato quaranta ore nell’Animus –
non si dimentica del suo zoccolo duro, regalandogli momenti che sono da inserire per direttissima tra i più emozionanti mai regalati dalla serie.
Se negli ultimi tre o quattro anni vi siete quasi pentiti di esservi sciroppati qualunque prodotto con impresso il logo di Assassin’s Creed sopra,
Origins è il vostro riscatto. Narrativamente parlando, quantomeno.
Ci manca solo lo Strigo
Assassin’s Creed: Origins gioca nel solco di The Witcher 3, ma non dimentica del tutto il DNA ludico della serie
Tempo fa chi vi scrive aveva detto, provocatoriamente ma non troppo, che
The Witcher 3 tra una decina d’anni sarebbe stato ricordato come
un titolo decisamente più seminale – e rilevante – del Breath of the Wild di Nintendo. Accuse di lesa maestà a parte, la considerazione nasceva da questo semplice assunto: è difficile immaginare che qualche pubblisher sia interessato a
fare un prodotto filosoficamente simile all’ultimo The Legend of Zelda, mentre già da un po’ spesso e volentieri si bussa a casa di CD Projekt Red per
chiedere in prestito il sale (
ed in perfetto stile Homer Simpson si esce con il tagliaerba del vicino). E pad alla mano Assassin’s Creed Origins è indubbiamente figlio di questa tendenza, visto che con lo Strigo dello studio polacco condivide diversi punti di contatto: guardando per esempio alle
missioni secondarie, è
impossibile non notare lo zampino dello Strigo, visto che si è optato per una soluzione già sperimentata da Geralt di Rivia per allontanare il rischio ripetitività (ovvero: nobilitare la sub-quest attraverso la narrativa). La deriva verso il gioco di ruolo era già iniziata con il fin troppo bistrattato Unity, accusato di essere “troppo uguale agli altri” quando in realtà per le strade di Parigi si
iniziava ad annusare il profumo dell’eau di nuove idee: Origins abbraccia appieno questa filosofia, mettendo in piedi uno skill tree a tre rami e
strutturando quasi tutti i suoi aspetti “a livelli”, dalle aree di gioco alle missioni, passando per armi, equipaggiamento e anche alcune abilità (l’ultimo perk di ogni ramo è “multi-potenziabile”, aumentando i suoi effetti in base al numero di punti che ci si investe sopra). Sotto sotto
ci sono ancora alcuni dei tratti distintivi che hanno reso celebre la serie – Bayek si arrampica ancora sui palazzi che si parano sulla sua strada e, in linea di massima,
agisce nell’ombra per servire la luce – ma non si può nascondere che qualche
vittima, anche illustre, da questo punto di vista c’è. Le Tombe visitabili (
potevano mai mancare, con un setting così a tema?) per esempio sono
molto diverse da quelle viste ai tempi del secondo capitolo, puntando pochissimo sul platforming e basando quasi tutto sull’esplorazione e sui puzzle. Tendenza che si rintraccia più e più volte giocando, visto che anche ai collezionabili tocca la stessa sorte: quando Origins cerca di pesare sulla
Bilancia di Osiride il giocatore sull’altro piatto di solito c’è uno scontro, o un indovinello che richiede un po’ di ragionamento piuttosto che il tirare una leva e raggiungere il punto dall’altra parte in tempo. A dirla tutta
un po’ dispiace (
e infatti nel box dei contro troverete puntualmente ribadito il concetto), ma d’altra parte già così
la ricchezza ludica è quasi soverchiante. Ogni arma ha le sue caratteristiche, un suo moveset (che dipende anche dalle abilità che si sono sbloccate)
e una sua logica, si tratti di un’arma bianca o di un arco – dove si spazia dal classico arco da caccia all’arco da predatore, visualizzato in prima persona e dotato (sempre se si compra il relativo
perk) delle chiacchierate frecce teleguidate, che pad alla mano poi non sono
così totalizzanti e semplici da utilizzare. E Bayek stesso può affrontare le diverse situazioni in più modi, con il classico approccio stealth o gettandosi nella mischia più di petto, utilizzando Senu (l’altra grande pietra dello scandalo, l’
Aquila/drone di Ghost Recon Wildlands camuffato) per esplorare preventivamente la zona oppure avanzare più alla cieca, ben sapendo che il
Senso dell’Aquila dell’Assassino questa volta non è in grado di individuare i nemici direttamente, mentre il suo volatile da compagnia – no, non è un
innuendo volgare – si.
Alzi la mano chi non ci ha visto malizia
Se anche quest’anno dite che “è la solita minestra“, siete davvero da ricovero…
Sta al giocatore decidere se irrompere con circospezione, evitando gli scontri o eliminando i bersagli senza troppo clamore (o magari, manomettere i braceri che poi le guardie usano per chiamare i rinforzi) oppure
fregarsene e andare avanti dritti per la propria strada, sfruttando il proprio equipaggiamento. Anche perché, in ossequio a questa libertà di decisione, è stata modificata anche la filosofia dietro la Lama Celata e tutto quello che comporta: l’arma simbolo della serie (ma in realtà vale lo stesso anche per gli archi, per i dardi avvelenati e quelli soporiferi)
non è più letale a prescindere, ma la sua efficacia dipende da quanto è stata potenziata e dal livello della guardia di turno.
Sorprendere un soldato alle spalle non vuol dire più uccisione assicurata, per cui alle volte può essere più saggio ingaggiarlo di sorpresa, contando sul fatto che l’allerta non si propaga istantaneamente a tutti i suoi colleghi presenti in zona (anzi, l’interfaccia di gioco è abbastanza esplicativa nel segnalare chi ci ha visto e chi sta correndo a dar l’allarme) e – va detto –
anche sull’ingenuità di fondo dell’IA quando si è fuori dalla lotta. Di contro in battaglia ci sono più tipi di nemici, anche loro armati con lame di tipologia diversa (le stesse a disposizione del giocatore, in effetti) e che da tempo hanno rinunciato all’ingaggiare i bersagli uno alla volta. Pad alla mano
Origins quindi è divertente e vario, facendo perno su un sistema di combattimento che siamo sicuri questa volta si salverà (salvo fondamentalisti irriducibili) dalle critiche di eccessiva facilità e di minestra riscaldata. Ma non basta, visto che poi
i contenuti traboccano: Arene per gladiatori in cui sfogare la propria rabbia su boss e nemici minori – si, il gioco include delle
vere ed inequivocabili boss fight, alcune al limite del fuori di testa – le già citate missioni secondarie, la ricerca di tesori e la caccia agli animali che popolano il Nilo e i suoi dintorni… Insomma, noi poco su abbiamo detto “quaranta ore”, ma
a prendersi bene è facile arrivare alla tripla cifra. Anche perché Ubisoft sta inserendo anche delle missioni a tempo post-lancio, supportando il titolo anche al di fuori dell’immancabile Season Pass.
Si può finalmente scegliere il livello di difficoltà. Più rivoluzione di così si muore (alla faccia di Connor)
Walk like an Egyptian
Abbiamo visto, fino ad ora, che il Faraone è indubbiamente tornato:
erano anni che non ci ritrovavamo tra le mani un Assassin’s Creed così indovinato, al di là delle storture che abbiamo messo in evidenza. C’è però da dire che, aperto quel sarcofago che troppi avevano già frettolosamente sepolto dopo il declino di questi anni, i gioielli che abbiamo trovato all’interno sono indubbiamente grezzi:
Assassin’s Creed: Origins, una volta sullo schermo, è congenitamente superficiale dal punto di vista tecnico.
Una gemma sporca di fango. Ma vale la pena indossarla lo stesso
La serie negli anni ci ha abituati a bug e problemi di performance a cui si potrebbe tranquillamente dedicare un approfondimento, e quest’anno sicuramente non siamo davanti a qualcosa
da libro nero – non ci sono i problemi del lancio del già pluri-menzionato Unity, e nemmeno quelli di Assassin’s Creed II.
C’è però qualche bug evidente, dalle classiche compenetrazioni di poligoni a dialoghi che si “incartano”, saltando pezzi e ricominciando da capo qualche volta. Origins è un prodotto
tanto ricco quanto poco rifinito, ma per fortuna
non al punto da far lanciare qualche maledizione all’indirizzo del team
multiculturale di confessione religiosa e credo differente dietro la serie. E bisogna ammettere che riesce a farsi perdonare grazie ad una direzione artistica che
capitalizza tutto il fascino dell’ambientazione, permettendo al giocatore di osservare il sole sorgere e tramontare dalla cima della Piramide di Giza (o della Sfinge) e regalando spesso e volentieri qualche scorcio che finirà a prendere poi polvere digitale nell’hard disk della vostra console, complice la presenza dell’ormai costante fissa
Photo Mode. Poco importa se ogni tanto capita di vedere qualche texture caricarsi in ritardo o se – più raramente,
i trenta fotogrammi al secondo sembrano avere qualche momentanea défaillance, se poi nel complesso il quadro dipinto a schermo funziona egregiamente.
Verdetto
8.5 / 10
Troppo facile fare battute su Anubi
Commento
Pro e Contro
✓ Tantissimi richiami agli altri capitoli
✓ Ricchissimo di contenuti
✓ Gameplay davvero rimaneggiato
x Il platforming pesa di meno
x IA dei nemici da rivedere
x Qualche magagna tecnica, ma non tragica
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