Asobo Studio per dipingere il suo affresco ha scelto una superficie solida, come i muri di una chiesa gotica. Il template è quello di un classico moderno, The Last of Us, con le sue meccaniche già rodate negli anni e un ritmo ormai metabolizzato da quasi tutti i giocatori, una comfort zone necessaria agli sviluppatori per esprimere al meglio il loro racconto, dove la speranza brilla fievole, come una zattera in balia di un mare nero, putrido, brulicante di morte. A Plague Tale: Innocence suscita la stessa potenza evocativa di certi quadri trecenteschi, capaci di scolpire nel tempo la sofferenza di un intero continente, tormentato dalla Guerra dei Cent’anni e abbattuto dalla peste bubbonica, obbligando la popolazione all’autoflagellazione e alla preghiera, sotto l’occhio vigile della Santa Inquisizione. Il risultato è una rievocazione surreale del periodo, attualizzata nel linguaggio, contaminata da suggestioni lovecraftiane, eppur fedele nel messaggio, toccante, delicata come i fratelli Amicia e Hugo de Rune, la cui via crucis merita di essere percorsa, anche andando oltre il gameplay.
A Plague Tale: Innocence suscita la stessa potenza evocativa di certi quadri trecenteschi
Quando la spada di Damocle della Santa Inquisizione si abbatte sulla nobile famiglia francese dei De Rune, decapitandola dei due genitori, Amicia, 15 anni, non può fare altro che proteggere il fratello con la sola forza della disperazione. Con Hugo, vero bersaglio dell’organizzazione (criminale) ecclesiastica, portatore di un male oscuro, la Prima Macula, si crea subito un rapporto affettivo indissolubile, capace di spingere alla protezione, creando un’ansia palpabile quanto fittizia, lontana però dalla dipendenza di Yorda per Ico. Perché in realtà il pericolo sarà quasi sempre condiviso, le mani dei fratelli ben intrecciate, al sicuro nel terrore. L’opera gioca infatti sul piano psicologico, guidando il giocatore verso un percorso oppressivo, guidato, senza vie di fuga, che spesso richiede riflessi pronti e sangue freddo. Le fughe di soppiatto dai soldati dell’Inquisizione, nelle cuffie il fiato corto di chi ha il battito accelerato, consapevole che la fine potrebbe essere dietro l’angolo; i sussurri tra i fratelli che diventano urla di terrore quando un fiume di ratti erutta dal terreno, come lava pronta a divorare l’ombra e ciò che vi cammina sopra, fermandosi solo davanti alla luce di torce e lanterne.
Uno sciame rabbioso che ragiona come una singola entità, guidato da una coscienza collettiva, famelica, come un virus che banchetta nell’organismo di una Francia in fin di vita. È fenomenale il senso di repulsione che genera questa massa viva, pulsante, capace di intonare un coro di squittii che graffia i timpani, mentre il loro schizofrenico moto viene trasformato in sincopate note di violino. Meccaniche stealth e puzzle ambientali, giochi di luce e fughe disperate si alternano fluide, inframezzate da pause che lasciano il tempo agli interpreti di capire che non si tratta solo di un incubo. Emozioni che diventano fisiche, tangibili attraverso il talento di Amicia nell’utilizzo della fionda, cuore del gameplay. Una precisione chirurgica quella dell’adolescente, che richiede però tempo nel prendere la mira, generando un feedback faticoso quanto convincente. Arma versatile capace di lanciare non solo sassi, ma anche proiettili dalle proprietà alchemiche uniche, da creare tramite la magia del crafting; alcuni corrosivi, da lanciare contro gli elmi dei nemici per costringerli a toglierli, altri infiammabili, o capaci di rilasciare ferormoni e attirare i ratti, aprendo la strada a meccaniche sempre varie.
Una scelta vincente oltretutto quella di diluire le novità lungo tutto l’arco dell’avventura, espediente che permette di non far mai calare l’interesse nonostante l’impegno richiesto non sia mai eccessivo. Questo perché la fluidità è fondamentale per il ritmo del racconto, e la sensazione di sfida non deve prevalere sul pathos. È così che l’atmosfera riesce a prendere il sopravvento, risplendendo di una realizzazione tecnica eccezionale, capace di narrare la sua storia con dettagli, e melodie, anche fuori dalle scene d’intermezzo. La bellezza di alcuni villaggi medievali, le case di pietra, i viottoli, il sole che filtra tra le foglie di un bosco al tramonto, scorci costantemente soggiogati dalla puzza di morte. Si riesce a sentirne l’odore nauseabondo, quando si è costretti a camminare sulle centinaia di corpi che lastricano i campi di battaglia, mentre i ratti ne dilaniano i resti. Una scena simbolica, potentissima, dove il dramma è palpabile, travolgente, vertiginoso. Sono sequenze che non si possono dimenticare in fretta.
È un’opera sporca, viscida, talmente intensa da togliere il fiato
Si può toccare con mano la cura che Asobo ha infuso nella loro opera, riproducendo architetture, affreschi, panorami, ed esaltandoli con una colonna sonora d’epoca, reinterpretata in chiave moderna con grandissimo gusto. Come veder suonare un menestrello in Piazza del Duomo, oggi. Ma non solo le melodie che accompagnano ogni sequenza sono di una bellezza clamorosa, prese singolarmente, ma tutto il sound design è perfettamente sincronizzato alla dinamicità dell’azione. C’è amore, tanto nella fiaba quanto nella confezione.
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