Oninaki ribadisce la mission di Tokyo RPG Factory, quella che troppa gente spesso dimentica.
Oninaki è fin dalle prime battute l’ennesimo titolo di Tokyo RPG Factory che tiene fede alla mission aziendale: riportare il Gioco di Ruolo (giapponese) alla sua dimensione essenziale. Via tutte le occidentalizzazioni e le scelte stilistiche pensate con il grande pubblico in testa, per lasciar spazio a ciò che costituiva il significato di jRPG venti o trent’anni fa. Tutto quello che Final Fantasy era e non può più essere; perché è una delle IP di punta di Square Enix, e in quanto tale deve rivolgersi alla più vasta platea possibile. A costo di tradirne lo zoccolo duro. Tokyo RPG Factory si occupa di Oudou RPG, e ormai dovrebbe essere chiaro.
Oninaki, come I am Setsuna e Odin Sphere, vuole essere tutto quello che Final Fantasy era e non potrà più essere
Non è un giudizio da
sovraccaricare di significati, nostalgici o qualitativi che siano. Siamo portati a pensare che “vecchio”, “classico” ed espressioni di questo tipo finiscano sempre e comunque col tradursi in “migliore”. Questo perché idealizzando il nostro passato esaltiamo – e
rimasterizziamo – di conseguenza anche le nostre
versioni precedenti e le produzioni con cui sono cresciute.
Oninaki, in un certo senso, ci
costringe tanto a fare i conti con quell’era d’oro del jRPG a cui guardiamo con nostalgia quando ad
ammetterne i limiti, che diventano per estensione anche
limiti per una Tokyo RPG Factory intrappolata nelle sue stesse scelte, ai limiti del
Freak Software.
Il feeling è da subito quello del jRPG anni ‘80 e ‘90, molto banalmente perché Oninaki
non è tradotto in italiano. Non che –
non dovrebbe, quantomeno – sia un problema, ma riflettendoci è proprio così che noi abbiamo imparato la lingua d’albione. Tuttavia nei fatti rimane un problema, nel senso che per più di qualcuno questa potrebbe essere una discriminante per l’acquisto. Solitamente si tratta di una considerazione che viene fatta in coda alla recensione, l’informazione di servizio che deve esserci anche solo per riempire la colonna dei contro. Qui invece ve lo diciamo subito: Oninaki è completamente in inglese (con le poche frasi doppiate lasciate direttamente in giapponese). Perciò se non avete intenzione di leggere un sacco di testo in una lingua non vostra a schermo
lasciate perdere.
Non è l’unico richiamo al gioco di ruolo su SNES e PlayStation, perché è più in generale
tutta l’interfaccia di gioco a essere pregna di voci e opzioni. Sulle prime si è
sopraffatti dalle voci di menu, che hanno la tendenza a
ramificarsi quanto gli skill-tree dei Daemon, che si incontrano e sbloccano in-game. Si viene sopraffatti anche per via del tutorial, che è essenzialmente testuale, invece che essere un
wizard guidato come ormai siamo abituati a vedere. L”approccio finisce dunque col risultare desueto e a tratti anche anacronistico, senza scorciatoie e link che logicamente ci si aspetterebbe di trovare. Un esempio? Si sblocca una nuova skill per uno dei Daemon e, per equipaggiarla, bisogna uscire dal menu relativo allo skill tree, accedendo poi a quello delle skill attive. Un passaggio logico superfluo e inutile, che rende l’operazione più macchinosa del dovuto. Tanto più se si considera quanto i Daemon e le loro skill siano
centrali per l’esperienza.
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Il gameplay risulta infatti molto influenzato dal Daemon che ci sta accompagnando – che può essere cambiato in tempo reale usando lo stick destro, ben sapendo che l’operazione richiede qualche secondo per eseguire lo switch –, al punto da relegare anche
alcune possibilità a livello di roaming a questa scelta. Cambiare Daemon può tradursi nell’impossibilità di saltare fuori dai combattimenti, e una volta ingaggiata una lotta vanno (logicamente) a cambiare le skill utilizzabili, visto che il personaggio “eredita” quelle del Daemon. Non ci sono altri particolari livelli di profondità,
tutto passa da qui: è il giocatore a dover capire quali sono i compagni più adatti alle sue capacità e al suo stile di gioco, oltre che quali creature funzionano meglio a seconda del contesto, come anche del numero di nemici e dei pattern d’attacco dei boss che si affrontano. Già, perché tendenzialmente gli avversari tendono ad attaccare seguendo uno schema predefinito,
a tratti ritmico, facendo in modo che il combattimento risulti una sorta di ibrido tra quello di un classico action-rpg e un rhythm game, o (per i giocatori più vecchi) a qualche residuato da sala giochi del secolo scorso. Scelta peculiare, che però alla lunga tende a rendere l’esperienza più ripetitiva di quanto avrebbe potuto essere altrimenti. Tanto più che spesso i mini-boss altro non sono che dei nemici normali, ma a dimensioni maggiorate.
Verdetto
7.5 / 10
Daemon May Cry
Commento
Pro e Contro
✓ Artisticamente indovinato
✓ Il gameplay funziona...
x ... Ma tende alla ripetitività
x Tanti (piccoli?) anacronismi
#LiveTheRebellion