È l’argomento di attualità per antonomasia, quello che ha finalmente permesso a Microsoft di vendicarsi, cinque anni dopo, di tutte le trollate di Jack Tretton: Ma il Cross-Play è davvero così necessario?
Si fa un gran parlare di Cross-Play, ultimamente. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è Fortnite, con il suo arrivo su Switch – e la successiva scoperta di tutti quegli utenti che, avendo già registrato il loro account su PS4, si sono visti negati la possibilità di usarlo anche sull’ibrido Nintendo – ma è un argomento che andava abbastanza forte già prima, con Microsoft da una parte a dichiararsi decisamente a favore e Sony a nicchiare, a prendere tempo, a consolidare il suo vantaggio strategico. Ma
mettendo da parte tutte le implicazioni economiche (è facile dire che Sony è incoerente a sbandierare il suo #ThisIsForThePlayer e poi a non aprirsi al Cross-Play, ma bisognerebbe ricordarsi che ballano cifre abbastanza importanti attorno al discorso), il Cross-Play sarebbe davvero qualcosa di auspicabile?
Perché sì: l’utopia del “Play (With Your Friends) Anywhere”
Fuggire dalla solitudine e dai vincoli è bello – secondo Antonino Lupo
Basta al dramma del giocatore solitario
È fin troppo facile intuire i motivi del “perché sì”, quando si parla di Cross-Play. A una prima occhiata, infatti, i possibili problemi di una tale manovra sembrano più trascurabili che non: a fronte della possibilità di giocare con i propri amici a prescindere dalla console, abbattendo qualunque barriera hardware pre-esistente,
tutto il resto sembra cadere in secondo piano. Pietro, più sotto, ci spiegherà perché secondo lui non è così. Ma a me, che mi son ritrovato nella generazione
PlayStation 3 / Xbox 360 a giocare su una console snobbata da tre quarti dei miei amici,
l’idea di non vivere più quella torbida esperienza stuzzica il palato da morire. Anche adesso, la scelta dell’hardware delle mie compagnie più strette sembra pregiudicare un’esperienza di gioco che, in molti casi, sarebbe incredibilmente appagante: ricordiamo che, per
trovare qualcuno con cui giocare a
Dark Souls su PC, chi scrive ha dovuto dirigersi direttamente su
Reddit.
è già una realtà
Alcuni titoli hanno già intrapreso quella fortunata strada: giocare a
Rocket League è un divertimento senza precedenti, con una mole di ignoranza inarrivabile ad ogni partita, ed è possibile riunirsi in partite
caciarone con i propri amici a prescindere dalla console di riferimento. In questo modo,
non si è legati necessariamente a una piattaforma, e non si viene stigmatizzati dal mercato per le proprie (povere o sensate che siano) scelte di acquisto hardware. Se
Dark Souls avesse avuto il Cross-Play implementato fin dall’inizio, forse avrei potuto giocare da PC con amici che possedevano la versione PS3. Le possibilità si sarebbero ampliate
a dismisura. Non solo: un’indipendenza dalla piattaforma di riferimento porta anche
a un abbattimento delle divisioni fra utenti. Chi gioca su console
Sony si ritroverebbe a giocare anche con utenti
Nintendo e
Microsoft, favorendo un ambiente di gioco meno stagno e indubbiamente più aperto ad amicizie e confronti online.
Si toccherebbero vette del fanboysmo mai viste finora, indubbiamente, e la cosa rischia di essere estremamente deleteria per gli utenti singoli, ma è altrettanto possibile che delle amicizie nascano, crescano e si solidifichino tra utenti su piattaforme diverse, favorendo scambi amichevoli e rapporti umani con giocatori che non erano raggiungibili in altro modo prima.
Il caso di Fortnite è emblematico
Un gioco dalla popolarità stratosferica, disponibile su tutte le piattaforme e a disposizione di chiunque, ma con un Cross-Play limitato. Con quanti amici non potete giocare, solo perché tale Cross-Platform non è assoluto?
Indubbiamente c’è una differenza tra il giocare un FPS competitivo su PC e su console, e la sola idea di abbattere quella barriera fa storcere il naso persino a noi. Un po’ come quando
Mario Kart ti segnalava se un utente stesse usando o meno il volante di Wii;
la differenza di periferiche porta a differenze di esperienza, ed è per questo che un Cross-Play totale potrebbe persino portare a dei problemi, in certi casi. Ma, volendo lasciare agli sviluppatori il potere decisionale per gestire al meglio una tale evenienza,
nulla fa pensare che un Cross-Play tra piattaforme (soprattutto console)
possa portare a un’esperienza in toto negativa. Dal punto di vista di chi scrive,
poter giocare ovunque e con chiunque è una possibilità troppo succosa per essere ignorata, una possibilità che amplierebbe ulteriormente gli orizzonti e le potenzialità di quell’industria che amiamo così tanto.
Perché no? Perché siamo dei disadattati!
In fondo in fondo, facciamo tutti abbastanza schifo – secondo Pietro Iacullo
Non vi meritate i videogiochi, dicevo qualche mese fa.
E già questo basterebbe a liquidare la questione: sarebbe facile buttarla sul bullismo – apparentemente, è l’argomento che va di moda adesso – e dire che già adesso, giocando online con altri giocatori, mandate e ricevete
insulti virtuali alle vostre mamme reali a voce o per iscritto, e che l’aggiungere anche la console di preferenza alla lista dei potenziali motivi per
fare cagnara online potrebbe essere deleterio. Sarebbe facile, ma sarebbe un po’ come farvi la predica – e diciamo la verità, sono convinto che i videogiochi abbiano poco a vedere con le Olimpiadi anche e soprattutto perché
John Romero ha voluto il deathmatch così, insulti e ignoranza inclusi.
Perché il
Cross-Play sarebbe un
male, quindi?
In due parole: Esperienza Utente
L’unico vero Dio
L’Esperienza Utente, quando si parla di videogiochi,
è e deve essere Dio: un Dio di quelli vendicativi, da
Vecchio Testamento, capace di uccidere i primogeniti maschi di tutti quegli sviluppatori che si macchiano di blasfemia – e sì, confezionare un prodotto con una pessima
User Experience è
blasfemo. Di ucciderli per fame, ovviamente, visto che quando è l’esperienza a non funzionare il titolo è destinato ad un giusto oblio. E per diversi motivi
il Cross-Play potrebbe danneggiare proprio l’Esperienza Utente. Lo accennava anche Antonino poco più su: c’è differenza tra una piattaforma e l’altra. Banalmente, c’è differenza anche tra le sue periferiche di input: PlayStation 4 e Xbox One avranno dei controller tutto sommato simili, ma Nintendo Switch ha i suoi JoyCon, che portano in dote pro, contro e più in generale
differenze con un gamepad tradizionale. Quando si tratta di parlare dell’esperienza dietro un titolo per Switch, personalmente dedico sempre un po’ di spazio alla questione JoyCon. Perché sono due periferiche che
sfuggono alla normalità – sì, potremmo definirle
strane – avendo sacrificato il concetto di D-Pad in favore di una seconda pulsantiera frontale a diamante e pagando lo scotto di due stick analogici dalla corsa più corta, dovendo adattarsi ad un contesto portatile. Ma anche perché hanno riportato in auge, dopo anni e anni di Wiimote e bestemmie, il concetto di
Motion Control applicandolo di nuovo al videogioco di massa, non con l’aggressività e il nazismo visti ai tempi di Wii (fortunatamente qua c’è anche il
layout classico), ma comunque offrendo questa strada agli sviluppatori. Antab Studio ne ha approfittato per aggiungere al suo Gridd Retroenhanced una modalità ispirata al
Power Glove di Mattel, che è un modo diverso di approcciarsi all’esperienza finale, e quindi di fare punti.
Avrete capito dove vogliamo andare a parare: mancando uno standard dal punto di vista dei controlli, l’Esperienza potrebbe cambiare da piattaforma a piattaforma. Favorendone inevitabilmente una.
Si ok, su Switch si può sempre acquistare un Pro Controller e ritrovarsi tra le mani un clone perfetto del controller Microsoft (
mi raccomando però, poi è sempre e solo Sony che copia). Ma il Pro Controller
è un accessorio e quindi dovrebbe rimanere – ehm –
accessorio per definizione, non diventare una spesa quasi obbligata per giocare in modo competitivo online. E tutte queste differenze non possono che esacerbarsi quando di mezzo c’è anche il PC, specie in virtù della sua natura open: è virtualmente possibile utilizzare qualunque periferica su questa piattaforma, aggravando di diversi ordini di grandezza questo problema.
E parlando di PC, l’altro tema scottante è quello della vulnerabilità.
Mod, cheat e altre cose da smanettoni
Una catena, insegna la saggezza popolare (ma in realtà
potete chiedere a qualunque ladro di biciclette in stazione) è forte quanto il suo anello più debole. Il PC, sempre in virtù della sua natura più aperta, offre
meno barriere per tutti quegli utenti
smanettoni che vogliono testare
il limite delle possibilità di un videogioco, andando anche oltre la visione originaria degli sviluppatori.
Le mod sono figlie di questa attitudine, e si ricollegano perfettamente al discorso sull’Esperienza Utente fatto poco sopra. Ma anche
l’utilizzo di cheat ricade, purtroppo, in questo gioco di cause ed effetti, con conseguenze che spaziano dal
chissenefrega (anni fa, ricordo che alcuni miei amici avevano “aggirato” il livello Prestigio di
Call of Duty: Modern Warfare su PC modificando il valore di una variabile in memoria) al nefasto, e a farne le spese in questo caso sarebbe l’intera popolazione giocante. Certo, ci sono delle misure di controllo e di sicurezza – come anche alcune misure di punizione, come il ban – ma non sono instantanee: intanto la partita viene rovinata lo stesso, e magari era l’unica partita che avevate tempo di giocare quella settimana…
#LiveTheRebellion