Chi ci sta giocando già da qualche giorno lo sa (o se lo è ricordato): i primi tre capitoli di Crash Bandicoot sono impegnativi e richiedono una precisione chirurgica per essere affrontati, prima che completati. E vale lo stesso per il giudizio qui di seguito.
un prodotto impossibile da catalogare sotto una sola etichetta
Mai prodotto videoludico ha portato sugli scaffali una versione tutta da giocare della parabola buddista
“I ciechi e l’elefante”. Perché
Crash Bandicoot: N. Sane Trilogy si può definire – e giudicare – sotto diverse luci e diversi aspetti, e ognuna di queste possibili analisi sarebbe fondamentalmente veritiera. È indubbio che si tratti di una di quelle iniziative che ormai definiamo
Operazioni Nostalgia, che sull’onda del vecchio che avanza vanno a riproporre vecchie glorie del passato (se sono in crisi tanto meglio) cercando di trovar loro un
centro di gravità permanente. Ma allo stesso tempo si tratta di un trittico di platform che ha segnato la storia della prima PlayStation, l’esordio di uno degli studi oggi più apprezzati sulla scena videoludica e fatto la guerra a icone come Super Mario e Sonic the Hedgehog. E ancora, di
tre platform sui generis, che da una parte possono essere sicuramente attaccati e messi in discussione sul fronte realizzativo, del concept e delle meccaniche, ma che d’altra parte sono stati ambasciatori di quel ribaltamento di filosofia che ha caratterizzato
la generazione PlayStation. E su ognuno di questi aspetti si potrebbe dare
un giudizio diverso, scrivere
un approfondimento a parte, trasformare in parole a schermo pensieri che sono
agli antipodi tra di loro.
Crash Bandicoot: N. Sane Trilogy è un caleidoscopio da affrontare armati di controller e tanta pazienza, praticamente impossibile da raccontare in modo completamente distaccato, univoco o “completo”.
La valutazione proposta qui in fondo, mai come in questo caso,
è puramente indicativa: se siete di quella parrocchia che considera Crash Bandicoot un esperimento fallito,
uno zimbello all’interno del genere di appartenenza o più semplicemente non avete più il tempo e la voglia di imprecare davanti al vostro televisore,
dividete il nostro risultato per due. Se invece
sentite il bisogno di tuffarvi nel pieno degli anni ’90
aggiungete uno, due o anche tre voti, perché avviata la N. Sane Trilogy si torna indubbiamente indietro di vent’anni. Nel bene e nel male.
Le prime quattro lettere di “analogico”
La N. Sane Trilogy ripropone gli originali in tutto e per tutto, nel bene e nel male
Dovreste averlo capito, qui di seguito non troverete una versione romanzata dei contenuti proposti da questo almanacco del Crash di Naughty Dog o di quello che hanno rappresentato, quanto piuttosto parole che cercano di
raccontare il restauro diretto da Vicarious Visions e soprattutto quanto oggi,
nel mezzo del cammin della vostra vita videoludica, i tre titoli possano essere. E su questo lavoro, messi da parte tutti i preconcetti che si possono avere quando si tratta di togliere dalla naftalina titoli vecchi tre generazioni, non c’è molto da dire: Vicarious ha fatto un lavoro quasi inattaccabile,
fedelissimo all’originale nello spirito e nelle sembianze e davvero galantuomo nei modi e nei risultati. In buona sostanza è come essere davanti ad un quadro
ricalcato sopra l’originale ma utilizzando tecniche più moderne, che lascia ben intravedere il materiale di partenza sotto i ghirigori grafici animati da PlayStation 4. Certo, non manca qualche extra contenutistico secondario (le sfide a tempo di Warped contaminano, per esempio, anche i primi due capitoli), ma il feeling è lo stesso dell’anno di uscita dei tre titoli. Ed è già a questo punto che si può interpretare questo trattamento
come un immenso pro o come un’occasione persa, visto che viene riproposta giocoforza anche la legnosità della trilogia, specie quando si è alle prese con il primo – e da questo punto di vista più povero – capitolo.
Ne abbiamo già parlato e avremo modo di tornare sull’argomento, ma
Crash Bandicoot,
Cortex Strikes Back e
Warped sono tre videogiochi tridimensionali di nome ma non di fatto,
fortemente condizionati dalla piattaforma originale (la prima PlayStation introdurrà gli stick analogici solo in un secondo momento) e in massima parte pensati prima dell’avvento di Super Mario 64, uno dei titoli che ha
evangelizzato il mercato e spiegato come un titolo a tre dimensioni andava realizzato lato controlli. La N. Sane Trilogy è giocabile sfruttando gli analogici di Dualshock 4, ma l’effetto è straniante e non particolarmente riuscito, tanto che in diversi spezzoni di gioco è più saggio e comodo affidarsi al D-Pad del controller, sicuramente
non lo strumento migliore per muoversi in un contesto tridimensionale. Ma d’altra parte molto del
fascino sadistico e del livello di sfida dei tre titoli, specie se si guarda alle coordinate del primo ed infame capitolo, passa
attraverso questi controlli grezzi e la difficoltà artificiosa che aggiungono all’esperienza. In questo, più che alla serie dell’idraulico nintendiano, Crash Bandicoot si è sempre ispirato piuttosto al porcospino blu di Sega.
Più ruvido e meno da manuale di game design, ma frenetico, divertente e anche abbastanza cattivo. Non è un caso se durante lo sviluppo il codename scelto da Naughty Dog era “Sonic’s Ass Game” –
il gioco delle chiappe di Sonic, nella nostra lingua. Non è l’etichetta più aulica del mondo, ma è
senza dubbio efficace e
a suo modo anche profetica, visto che poi proprio la serie Sonic prenderà spunto dall’approccio “a corridoi dove si corre” che è il marchio di fabbrica dei tre titoli.
Game design cattivo ≠ cattivo game design
E una delle critiche che più ha infiammato la rete in questi giorni – e che all’epoca rimbalzava sull’antenato della rete, le riviste cartacee tramite le quali ci informavamo – è proprio quella a proposito della
rozzezza delle soluzioni ludiche prese all’epoca da Naughty Dog e riproposte ossequiosamente oggi da Vicariuos (che anzi,
grazie ai o
per colpa dei suggerimenti aggiunti in-game un po’ stempera la difficoltà del terzetto, che rimane comunque alta). In realtà ripreso il pad in mano ci si rende conto di come gli sviluppatori all’epoca avessero fatto i conti a casa, e pur con tutti i limiti dovuti al contesto storico/tecnologico in cui questi sono usciti hanno portato su schermo
davvero grandi cose.
Terribili, certo, ma grandi.
Un design imperfetto, ma che da queste spigolature trae fascino e carattere
Specie nel primo titolo non mancano i momenti in cui il giocatore è chiamato ad avere la mano ferma e i riflessi pronti,
pagando carissimo ogni errore e dovendo davvero sputare sangue non solo per completare il livello raccogliendo tutte le scatole (un must della serie, per chi punta a raccogliere tutte le gemme) ma anche semplicemente per arrivare alla fine del gioco. Frustrazione, come abbiamo detto fatta passare anche attraverso dei comandi non al top, che però poi si tramuta fragorosamente in soddisfazione, e nasconde quella che inevitabilmente a guardare alcuni livelli oggi diventa stima e apprezzamento per alcune scelte intraprese. Dover calcolare i salti al millimetro, rimbalzando di cassa in cassa, rischiare una vita per colpire una cassa “incastrata” tra due TNT, o ancora andare alla ricerca dei segreti disseminati nel secondo e nel terzo titolo della serie, è un lavoro che riesce a pagare ancora oggi. E che – lo abbiamo accennato – un po’ come succede col vino, più si “invecchia” (passando ai titoli successivi della raccolta) e più diventa apprezzabile, visto che poi
Cortex Strikes Back va a
limare alcune delle storture e degli eccessi del primo capitolo e
Warped addirittura esagera, reinventando la formula e sperimentando non solo da un
quadro all’altro, ma anche all’interno dello stesso livello. Chi parla di cattivo game design insomma, dovrebbe forse mettere da parte i suoi pregiudizi e tornare sui tre titoli: lo abbiamo detto e lo ripetiamo, sicuramente non si tratta di espedienti da dover studiare nelle scuole e
indubbiamente c’è chi ha fatto di meglio (Super Mario 64, d’altra parte, è ancora l’equivalente a piattaforme di
Bohemian Rhapsody), ma non per questo la trilogia di Crash è stata disegnata male. Anzi, prova ne sia il fatto che se Naughty Dog ha attinto da Sega, poi Sega ha a sua volta attinto dal marsupiale dello studio americano, e quando lo ha fatto ha confezionato
alcuni dei momenti tridimensionali più convincenti di Sonic.
L’occhio del ciclone
In questo caso meglio la grafica, dei 60 fps
Vogliamo chiudere questa recensione atipica tornando in quello che ormai è il nostro canone, e dedicando l’ultimo paragrafo – come da tradizione – alla realizzazione e alla resa tecnica del titolo. E qui sicuramente qualcuno storcerà il naso per la scelta di “limitarsi” ai
trenta fotogrammi al secondo, in luogo dei sessanta degli originali (cinquanta, qui in Europa). In realtà però va detto che non si tratta di uno di quei platform ibridi tipici di casa Sony, che vanno a miscelare l’esplorazione con lo sparatutto o con l’azione. Può spiacere – o meglio, spiazzare – il fatto che
tre giochini di vent’anni fa non girino a 60 fps su PlayStation 4, ma è
una limitazione di concetto più che fisica. Vicarious si è concentrata maggiormente sull’impatto più direttamente visivo, e senza alcun dubbio
ha centrato il punto e acceso i pixel del televisore formando immagini suggestive, ben confezionate e a tratti quasi sorprendenti (soprattutto quando il gioco si concede qualche spacconata come piogge e altri fenomeni atmosferici).
Acusticamente invece? Di nuovo, un tuffo carpiato di vent’anni all’indietro, riproposto però con delle sonorità più moderne e attualizzate. Le note sullo spartito sono quelle, ma hanno un suono più 2017, andando ad incontrare alla perfezione l’umore generale dell’intera iniziativa. Unico neo?
Ci sarebbe piaciuto poter “switchare” alla grafica e al sonoro classici, come altre iniziative del genere ci hanno abituato a vedere nei mesi e negli anni scorsi.
Verdetto
8 / 10
Hai fame di mele?
Commento
Pro e Contro
✓ Remake fedelissimo, anche nel feeling
✓ Grezzo, ma molto appagante
✓ Graficamente indovinato
x Remake fedelissimo, anche nel feeling
x "Solo" 30 fps
x Manca la grafica classica
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