L’industria dei videogiochi ha un problema col sesso. Questa è l’unica conclusione che si può trarre dalla bizzarra vicenda che ha coinvolto Watch Dogs 2 appena un mese fa. Ed è un problema abbastanza complicato, in cui si scontrano due tendenze uguali e contrarie che hanno in qualche modo plasmato il medium videoludico per quanto riguarda la rappresentazione di quella che è una componente normale della vita degli esseri umani. Da un lato abbiamo un pudore fin troppo eccessivo da parte delle più alte dirigenze di sviluppatori e publisher, un atteggiamento in linea con la puritana cultura statunitense che permette ed incoraggia la rappresentazione della violenza ma condanna e censura quella della sessualità. L’altro fronte della barricata nasce dalla natura profondamente adolescenziale del medium videoludico. La stragrande maggioranza dei videogiocatori sono adolescenti o post-adolescenti, per non parlare dei tanti adulti mai davvero cresciuti. Ed è per stuzzicare e titillare questo pubblico che da sempre si cercano di inserire elementi sessuali più o meno espliciti, spesso con un certo atteggiamento goliardico.

 

 

La strana combinazione di questi due fattori ci ha portato ad un medium in cui la rappresentazione realistica del sesso come elemento normale ed anzi fondamentale della vita umana non è contemplata, salvo rare occasioni. Non abbiamo problemi a mostrare personaggi femminili dalle forme esagerate e vestiti striminziti, non abbiamo problemi con dildi giganti viola ed altre goliardate e non abbiamo problemi col fanservice giapponese ai limiti dell’arresto per pedofilia, mentre ben pochi sviluppatori si sono cimentati nella descrizione normale e naturale delle tematiche collegate alla sessualità, trattandole in modo da arricchire la trama od i personaggi coinvolti, o per lanciare un messaggio di tipo autoriale. Sarebbe disonesto non riconoscere che un certo cambiamento, seppur molto lento, è in atto, ma in questo frangete i videogiochi sono ancora un medium particolarmente immaturo.

Genealogia di un Tabù: da Atari Porn ai giorni nostri
La questione del sesso nei videogiochi ha radici lunghe e profonde nella storia ludica, andando indietro nel tempo fino a un periodo in cui i videogiochi non erano che appena nati. Se è vero che l’uomo si differenzia dalla macchina per il “pensiero laterale”, è altrettanto vero che, se potesse, l’essere umano piazzerebbe della pornografia o dell’erotismo in qualunque media fosse in grado di penetrare nella sua vita; i videogiochi, ovviamente, sono l’ultimo dei mezzi di intrattenimento di massa a sottrarsi a questa regola, tanto semplice quanto basilare.

Il rapporto tra Sesso e Videogiochi ha radici pluridecennali
La storia del rapporto tra sesso e videogiochi affonda nei lontani anni ’80, quando, dopo quasi una decade di primi videogiochi arcade, qualcuno ha ben pensato di introdurre tra i buchi del mercato (ancora particolarmente giovane, a dir la verità) anche l’erotismo. Nato dapprima in una forma molto sottile (uno dei primi videogiochi a trattare il tema del sesso fu Softporn Adventure, un’avventura testuale del 1981 per Apple I), l’erotismo videoludico ha visto un punto di svolta con i tre famigerati lavori di Mystique, una casa di sviluppo che pubblicò ben tre titoli fortemente controversi per Atari 2600Beat’em and Eat’emCuster’s RevengeBachelor’s Party. Non contenti di essere considerati da molti giocatori dell’epoca come dei titoli piuttosto insignificanti sul piano ludico (cosa che, normalmente, li avrebbe fatti finire nel dimenticatoio molto presto), i tre giochi di Mystique – e Custer’s Revenge in particolare – scatenarono però un vespaio per quel che effettivamente chiedevano al giocatore, al punto da dare il via ad alcuni titoli minori che ne seguirono pedissequamente le orme. Questo periodo è stato definito da Angry Video Game Nerd (con un nome abbastanza esplicativo, a dir la verità) “Atari Porn“, e raccoglie tutti quei giochi non necessariamente divertenti che, però, facevano del sesso e della nudità le loro componenti principali.

 

 

Sesso e nudità che, comunque, nell’era dell’8-bit erano formati sostanzialmente da colori e forme molto basilari e appena accennate. Nonostante ciò, un gioco come Custer’s Revenge riuscì piuttosto bene ad allertare la comunità dei Native Americans: nei panni del generale Custer (noto per essere stato ucciso durante un’incursione contro i nativi americani), completamente nudo se non per un cappello, una sciarpa e i suoi stivali da cowboy, il giocatore doveva schivare le lance e le punte di freccia scagliate dai nativi per raggiungere un’indiana completamente nuda e – apparentemente – adagiata contro un cactus. Una volta lì, Custer non doveva far altro che stuprarla per ottenere dei punti. E se pensate che un gioco del genere sia controverso, è semplicemente perché abbiamo scelto di non parlarvi degli altri due.

 

Custer's Revenge Box Art

La copertina di Custer’s Revenge, già all’epoca non esattamente sobria

 

Ci furono altri giochi particolarmente controversi in quel periodo (come Gigolo, che chiedeva al giocatore di andare di casa in casa facendo sesso con gli inquilini per accumulare punteggio), ma il fenomeno rimase sostanzialmente arginato. La stessa Mystique, tuttavia, ci aveva evidentemente visto giusto nella faccenda, nonostante la chiusura della software house dopo il rilascio dei tre titoli già citati; tant’è che negli anni ’90 il tema si evolse ulteriormente, crescendo di dimensioni e di spessore in maniera un po’ più marcata. Qualcuno doveva aver capito che sesso e videogiochi facevano vendere: gli anni dal 1990 in poi furono l’epoca di giochi come Gals Panic (che richiedeva al giocatore di rimuovere pezzi del campo da gioco, fino a mostrare una modella in atteggiamenti succinti), ma anche delle prime visual novel erotiche in senso stretto come ShizukuKizuato, tanto spinti quanto oscuri e disturbanti. All’erotismo di giochi del genere, tuttavia, si oppose anche il caso dell’avventura grafica dalle tinte trash Riana Rouge, che mostrava vere e proprie scene di sesso su schermo, ma anche quello di giochi di cattivo gusto come BMX XXXLula: The Sexy Empire, che puntavano sulla nudità e sul sesso per attirare un certo tipo di utenza. La qualità dell’esperienza ludica, ovviamente, è un’altra storia ancora.

Hot Coffee fece esplodere un caso mediatico
Qualcuno ne approfittò per “osare” un po’ di più, anche se a volte in maniera più ufficiosa che ufficiale. Nella prima metà degli anni 2000, ad esempio, il caso della mod Hot Coffee di Grand Theft Auto: San Andreas fece esplodere un caso mediatico che mobilitò più di un attivista (di cui parleremo fra pochissimo): per chi non la conoscesse, la mod aggiungeva delle sezioni ludiche vere e proprie che permettevano al giocatore di “vivere” le scene di sesso con le varie fidanzate di CJ all’interno delle loro case. Il giocatore era interamente coinvolto all’interno dell’atto sessuale, nel tentativo di raggiungere (e far raggiungere) il più alto picco di piacere al protagonista e alla sua “amata” nelle tanti relazioni che CJ poteva avere all’interno del gioco. Ma ci fu un caso ancora più eclatante proprio perché – al contrario – era fortemente ufficiale: Killer7 di Suda51 fece discutere parecchio per una scena di sesso sostanzialmente integrale, in cui Samantha viene sorpresa a violentare l’anziano Harman sulla sua sedia a rotelle in abiti succinti e raggiungendo palesemente l’orgasmo. In quel caso, tuttavia, la scena era inscritta in un contesto narrativo che andava a caratterizzare fortemente il personaggio; era il primo segno che qualcosa, nel mondo dei videogiochi, stava lentamente cambiando.

 

Hot Coffee San Andreas

Non esattamente i poligoni più realistici attualmente in circolazione, ma ai tempi ci si accontentava senza problemi

 

Thompson fu fautore di una serie di cause contro i contenuti violenti nei media
Gli attivisti del caso non rimasero certo a guardare, e Jack Thompson si scagliò violentemente contro San Andreas e la sua mod che, a detta sua, “corrompeva i bambini e la loro innocenza” tanto quanto i videogiochi violenti che amava bistrattare. Fu proprio lui a suggerire all’ESRB (l’ente di classificazione dei videogiochi americano, paragonabile al nostro PEGI) di classificare Killer7 come “Adult-Only” piuttosto che semplicemente come “Mature“, proprio per la presenza, nel corso del gioco, di quella scena appena menzionata. Non contento di ciò, la mente dell’ex avvocato (ormai radiato dall’albo) fu penetrata dall’idea di scagliarsi anche contro The Sims 2, classificato con la T di “Teen” nonostante contenesse quelle che per lui erano “espliciti contenuti sessuali”. C’è da dire, tuttavia, che Thompson fu fautore anche di una serie di cause per impedire la proliferazione di contenuti violenti e sessuali nei mezzi di comunicazione di massa, e non c’è dunque da stupirsi se la sua linea di pensiero seguisse questo standard anche per i videogiochi; ma l’industria mutò ancora, i discorsi sul videogioco ebbero modo di evolversi, e ben presto Jack Thompson non fu più neanche un problema.

Le cose cambiarono nella seconda metà degli anni 2000 e nei 6 anni successivi (arrivando fino ad oggi), quando il fattore erotico si divise sostanzialmente in due categorie ben distinte. Ci fu una generale liberalizzazione nel medium per quanto riguardava la nudità e le scene di sesso, e uno dei primi esempi fu il primo capitolo della serie di God Of War: Sony, all’interno del gioco, lasciò che gli sviluppatori facessero della nudità una componente quasi “normale” all’interno del gioco (sebbene, in larga parte, soltanto per quanto riguarda il seno femminile), e il titolo vide anche l’inserimento di un minigioco che lascia ben poco spazio all’immaginazione, in cui il giocatore era chiamato a premere la sequenza di tasti corretta per completare con successo un atto sessuale con due donne – e ottenere una conseguente ricompensa in punti esperienza.

 

Afrodite God Of War III

Afrodite e le sue ancelle in una nota scena di God Of War III

 

God Of War fu un caso abbastanza evidente di discreta liberalizzazione del nudo all’interno di un videogioco edito da una grande software house, ma non bisogna dimenticare che titoli come 7 Sins (fortemente incentrato sull’erotismo), Playboy: The Mansion e l’intera serie di Leisure Suit Larry si rivolgevano proprio a un target ben preciso, che voleva vivere un po’ di sano erotismo nei videogiochi senza la censura e le costrizioni dell’ambiente mainstream. E, tuttavia, il sesso stava iniziando comunque a diventare sempre meno “tabù” all’interno del medium, con apparizioni sparse sempre più esplicite e sempre meno celate: i giochi di Quantic Dream come FahrenheitHeavy Rain, ad esempio, fecero del sesso una forte componente narrativa per caratterizzare i personaggi o mandare avanti la storia in un determinato modo, Catherine fece dell’erotismo il motore alla base della sua trama, e non si possono ignorare i casi dei vari Mass EffectThe WitcherDragon Age che portarono il sesso nel genere fantasy / RPG ben prima che il Trono di Spade lo rendesse mainstream.

Ma, evidentemente, non è ancora abbastanza. Secondo un’interessante analisi fornita da Jim Sterling di recente sul suo canale YouTube, infatti, il videogiocatore medio e gli enti di censura sembrano avere ancora un serio problema con il sesso e la nudità nei videogiochi: il DLC The Lost and Damned di Grand Theft Auto IV ha sì portato un pene integrale sullo schermo dei giocatori (dando il via a un piccolo cambiamento nelle politiche di Rockstar sull’argomento), ed è vero che la serie di Saints Row gioca da tempo con le figure falliche per creare comicità; allo stesso modo, Dante’s Inferno è un gioco dai toni fortemente adulti già nel suo character-design, come dimostrato dal leggendario pendolo da parete che il giocatore può “intravedere” tra le gambe di Lucifero alla fine del gioco. È vero, quindi, che il medium si è leggermente “smaliziato” sulla questione, sebbene in parte sostanzialmente minima; ed è altrettanto vero che, l’uscita in Early Access di Genital Jousting da parte di Devolver Digital si rivela provvidenziale, in questo periodo così “caldo” dopo il già citato caso di UbisoftWatch Dogs 2; ma evidentemente, e vale la pena ripeterlo, non è ancora abbastanza.

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