La grande ipocrisia dell’industria dei videogiochi
Nel mondo dei videogiochi manca una sensibilità di fondo
Se negli ultimi anni il nudo, la rappresentazione dei genitali e le tematiche legate alla sessualità stanno entrando sempre di più nel mondo dei videogiochi, ancora manca una sensibilità condivisa sul quando, come e cosa mostrare. Al di fuori della nicchia dei videogiocatori ancora è diffuso lo stereotipo dei games come prodotto per bambini. Associazioni di genitori, stampa e media generalisti, perfino politici, non perdono occasione di crocefiggere questo medium ogni volta che notizie ed informazioni su titoli maturi e con contenuti espliciti si fanno largo tra il grande pubblico. Eppure da tanti anni in tutti i mercati principali esistono dei sistemi di rating che indicano se un determinato titolo sia adatto a bambini, ad adolescenti o solo ad adulti. Non dovrebbe esserci alcun problema a mostrare contenuti sessuali in un titolo valutato 18+, ma la realtà è spesso lontana dalle intenzioni. Le case di sviluppo si comportano come equilibristi, cercando di inserire elementi espliciti per attirare o compiacere il pubblico, ma con moderazione, cercando di ottenere rating più bassi e fette di mercato potenzialmente più grandi. La cura è quindi peggiore della malattia, perché difatti mentre elementi sessuali inseriti in maniera non organica (a volte con intenti ironici o goliardici, altre volte sfociando in problematiche come il sessismo nei videogiochi) sono tollerati, videogiochi che tentano di costruire un discorso più complesso sulle tematiche del sesso sono ancora guardati con sospetto e diffidenza, anche quando l’argomento viene trattato con buon gusto e con un certo tatto.

ladykiller in a bind

Un gioco su rapporti sadomaso, manipolazione sociale e critica al capitalismo

 

Negli scorsi mesi, ad esempio, Ladykiller in a Bind, l’ultima avventura grafica della game designer Christine Love, si è vista rifiutare la pubblicazione su Steam data la presenza di contenuti a sfondo sessuale. Si tratta di un gioco in cui l’argomento della sessualità è centrale, esplorando anche nicchie come il BDSM, ma non in maniera lasciva e pornografica. L’intento dell’autrice è quello di parlare di argomenti come le dinamiche di potere all’interno dei rapporti personali, la commercializzazione dell’atto sessuale in un’ottica di manipolazione sociale, il consenso. Il tutto con un tatto che pone l’opera su tutto un altro piano rispetto ad un gran numero di contenuti straripanti di sessismo e fanservice che non hanno avuto problemi a farsi strada sulla piattaforma di Valve. Il superamento di questa grande ipocrisia gioverebbe moltissimo alla maturità del medium videoludico. Il sesso è una componente fondamentale delle meccaniche di interazione sociale e se trattata nel giusto modo, ovvero senza intenti lascivi, sarebbe utilissima per costruire personaggi e rapporti più verosimili e credibili. Con questo discorso non si intende criticare a priori tutti quei titoli che fanno del fanservice la loro ragion d’essere: in un mercato più ampio e diversificato possibile tutto ha diritto ad esistere. Così come esistono libri, fumetti, film con intenti esplicitamente erotici, anche la controparte videoludica ha diritto ad esistere. Ciò che invece è discutibile è l’inserimento di elementi erotici al di fuori del loro contesto, con intenti più o meno spiccatamente goliardici o sessisti.

Sesso Videoludico: tra Censura e Damage Control
Ripensando per un istante a serie fortemente fanservice come Senran Kagura e altre produzioni tipicamente giapponesi, si potrebbe pensare che l’Occidente sia arretrato dal punto di vista della liberalizzazione del sesso e che il Giappone sia la nuova Terra delle Opportunità Sessuali. Le cose, sfortunatamente, non stanno proprio così.

Qualche tempo fa, io stesso ebbi modo di analizzare la questione della censura nei videogiochi, in un ambiente che viene ristretto fin troppo spesso all’interno di confini che non possono superare determinati limiti. Se è vero che la Germania ha un evidente problema con la violenza, ad esempio, è altrettanto vero che la nota scena di sesso in The Order: 1886 (la quale durava comunque più del gioco stesso) è stata tagliata e “vandalizzata” proprio in territori orientali cambiando la visuale della telecamera per nascondere ciò che avveniva su schermo, poiché non è effettivamente consentita la rappresentazione su schermo di nudità o scene sessuali per i giochi reperibili nei negozi del Paese. Caso analogo è avvenuto per Grand Theft Auto V, che ha visto una censura sostanziale per quasi tutta la nudità, per tutti i rapporti sessuali (prostitute comprese) e per tutte le scene che mostravano su schermo le “capacità” di Trevor.

 

 

Siamo ben lontani da un medium liberamente smaliziato
A questo punto, dunque, è evidente come siamo ben lontani da un medium liberamente smaliziato, a differenza di quanto accade ormai nel Cinema e, a determinate condizioni, nella TV (ma di questo parleremo a breve). Nonostante i pochissimi casi sparsi che fanno generalmente scalpore, la rappresentazione dell’atto sessuale nei videogiochi è ancora fin troppo lontana dall’essere normale, salvo inserire un seno qui e là giusto per fare contenti i giocatori o un atto sessuale giustificato sul piano narrativo. E c’è tuttavia una questione che fa riflettere parecchio, intimamente legata al recente caso Watch Dogs 2: come sapranno i più informati, Ubisoft ha deliberatamente inserito una vagina poligonale all’interno della sua ultima opera, scoperta per caso da un giocatore che aveva fatto esplodere un tubo del gas direttamente contro una prostituta. Il titolo presenta altri casi di nudità (come un barbone completamente nudo che urina in un vicolo), ma, per qualche motivo, quella particolare vagina deve aver causato qualche danno a noi sconosciuto, e Sony ha bannato temporaneamente il profilo dell’utente che l’aveva trovata all’interno del gioco perché ne aveva semplicemente condiviso una foto sui social. Pochi giorni dopo, Ubisoft ha patchato il gioco per rimuovere l’organo genitale incriminato.

Ciò che fa riflettere, a questo punto, è una riflessione di Swizzasaur (conosciuto solo come Adam), l’utente bannato per aver postato la foto compromettente, che si è espresso come segue poco dopo il ban:

 

 

Sony ha sospeso il mio account PSN per una settimana per aver condiviso questa immagine. Scusa, Sony, tornerò a condividere immagini di cadaveri da Resident Evil 7.

 

La reazione, per quanto pungente, solleva una questione piuttosto legittima: quanto è giusto censurare un organo genitale in un gioco pensato per un target maturo, quando basta aprire un semplice titolo horror / action per assistere a scene ben più cruente di una vagina? Quanto è giusto “reprimere” e “mettere un freno” a quella che voleva essere (con una poco credibile presunzione d’innocenza) una semplice rappresentazione realistica di una classe sociale (quella delle prostitute)? Quanto è giusto frenare l’identità artistica di uno sviluppatore che inserisce un elemento del genere all’interno del gioco, per quanto all’apparenza gratuito e fuori da qualsivoglia intenzione narrativa?

Questa domanda, però, assume un senso ancora diverso se si considera un altro punto della questione, forse persino più grave. Ciò che fa riflettere maggiormente, infatti, è che i genitali maschili presenti nel gioco sono rimasti sostanzialmente invariati, senza subire alcuna modifica al livello del codice. Dimenticanza degli sviluppatori (improbabile) o, piuttosto, potrebbe essere che il caso della vagina sia legato a paura di accuse piuttosto pesanti, magari legate all’oggettificazione del corpo della donna? Possibile che il “damage-control” di Sony abbia tentato di arginare il problema, se non altro prima che si alzasse il (prevedibilissimo) polverone da parte delle femministe di tutto il mondo? A questo punto, forse, è il caso di porsi qualche domanda più mirata sull’argomento; la già citata riflessione di Jim Sterling sarà utile alla nostra causa.

Alla luce di quanto detto finora e di quanto visto – per chi mastica l’Inglese con accento britannico – nel video appena postato, una domanda sorge spontanea: siamo proprio sicuri che il medium videoludico (o anche solo l’utenza che ne fruisce) sia all’avanguardia, se mostrare una vagina su schermo è ancora considerato un problema?

 

Cinema 1 – Videogioco 0, palla al centro
Il grande sviluppo tecnologico degli ultimi anni e le infinite possibilità derivanti dall’interazione col giocatore ci portano spesso a pensare al videogioco come una delle forme di intrattenimento (alcuni oserebbero dire arte, ma non spingiamoci sull’argomento) più all’avanguardia. Ma è davvero così? Le problematiche collegate alla rappresentazione della sessualità sono solo uno dei motivi per cui il videogioco non ha ancora realizzato le proprie potenzialità. È vero che si tratta del medium più giovane, nato negli anni ’70, e che i suoi “fratelli maggiori“, Cinema e Fumetto, hanno alle spalle una storia ed una evoluzione ben più lunghe. Ma si tratta anche di un medium che è nato dopo la rivoluzione sessuale, e che francamente al giorno d’oggi appare eccessivamente conservatore e reazionario.

salò o le 120 giornate di sodoma

Si può parlare di politica parlando di sesso

 

Nella sua storia anche il cinema si è più volte confrontato con la censura, in maniera estremamente più marcata che non il videogioco. Eppure i registi hanno sempre lottato per il diritto di raccontare le storie che avevano in mente, hanno sfidato opinione pubblica e leggi, finendo anche in tribunale ma consegnando alla storia capolavori che facevano del sesso il loro punto focale. Senza questo coraggio non avremmo mai avuto lavori straordinari come quelli di Bertolucci (Ultimo Tango a Parigi), di Pasolini (Il Decameron, I Racconti di Canterbury ed Il Fiore delle Mille e una Notte, che vanno a costituire la Trilogia della Vita, e Salò o le 120 Giornate di Sodoma, unico film dell’incompiuta Trilogia della Morte) e di tantissimi altri registi. Di contro il videogioco non ha ancora questo coraggio e non ha capito (o non vuole capire) che si può andare oltre al mostrare un po’ di tette per vendere qualche copia in più e che il sesso può diventare una chiave di lettura fondamentale attraverso cui parlare di società, politica, economia, rapporti umani e mille altri argomenti che interessano la sfera umana a tutto tondo. Se è verosimile che le grandi case di produzione saranno sempre troppo spaventate dall’eventualità di reazioni negative da parte del grande pubblico, la torcia di questa battaglia è saldamente in mano agli sviluppatori indipendenti. A loro sta l’onere (e l’onore) di portare avanti questo discorso così sfaccettato e ricco di implicazioni. E chissà che nei prossimi anni non si possa avere anche il Pasolini, il Bertolucci (o perché no, il Lars Von Trier) dei videogiochi.

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