C’è una parte di noi che tutti preferiamo tener nascosta agli occhi del mondo. A volte è sufficiente un semplice velo per coprirla, un velo così sottile da essere facilmente ignorato dagli sguardi più superficiali e sollevato dagli occhi più attenti; c’è chi crede che quella parte debba essere nascosta al pubblico e persino ai propri cari, e può capitare che anche noi stessi non riusciamo più a fare una netta differenza tra ciò che nascondiamo e ciò che lasciamo intravedere. Per alcuni, quella parte è la nostra malinconia più profonda, la tristezza più remota, il dolore più lontano; per altri, come Howard Phillips Lovecraft, è quel sottile limite che separa la sanità dalla follia.
Su Lovecraft, non c’è dubbio, si possono trovare riferimenti continui in un gran numero di rami della cultura popolare dei giorni nostri. Dalla letteratura al cinema, l’immortale scrittore di Providence ha sparso il suo seme (a volte indirettamente, altre un po’ meno) in tutti i campi dell’arte a noi conosciuti oggi: il suo Ciclo dei Miti di Cthulhu è divenuto leggendario, e diversi autori, dopo la sua morte, hanno “adottato” il lavoro del visionario artista per infonderlo di un po’ della propria creatività, contribuendo in qualche modo al proliferare del contorto e disturbante immaginario legato alle sue opere. E se le opere di Lovecraft sono pregne di Edgar Allan Poe fino all’orlo, è anche vero che i suoi lavori vantano una certa autonomia e un’identità, in qualche modo, unica in sé e per sé, in quanto strettamente connessa alla terribile immaginazione di cui lo scrittore era dotato.
Ma non a caso abbiamo parlato di “campi dell’arte” a noi conosciuti: perché, se è vero che il Videogioco può ancora vantare una certa identità artistica, non stupisce affatto che l’inquietante immaginario dello scrittore americano sia entrato a far parte anche del nostro medium preferito, andando a “contaminarlo” con le proprie influenze – più o meno dirette ed esplicite, a seconda dei casi – da un momento ben più lontano nel tempo di quanto si possa pensare. Ma qui ci ritroviamo costretti ad avvertirvi, cari lettori, un po’ come farebbe lo stesso Lovecraft in uno dei suoi racconti più oscuri: fate attenzione a non avventurarvi troppo oltre. Il limite che separa la conoscenza dalla follia è spesso fragile come un petalo, e aspetta solo di essere infranto da un viaggiatore troppo curioso o incauto.
Di ispirazione abbiamo già avuto modo di parlare nel corso della recensione di The Turing Test, un gioco che, per quanto filosoficamente “pieno” e dalle grosse pretese, di lovecraftiano ha senza dubbio poco e nulla. In esso, tuttavia, il tema della creatività e dell’ispirazione artistica è piuttosto ricorrente, e lo prenderemo in prestito a piene mani per fare una premessa fondamentale: quando si parla del dialogo tra letteratura e videogioco, è inevitabile che nei titoli in esame possano essere presenti sia un’influenza diretta che, soprattutto, un’influenza indiretta da parte dell’autore prescelto. E basta dare una semplice occhiata alla pagina inglese di Wikipedia sui Miti di Cthulhu nella Cultura Popolareper rendersi conto che, in effetti, la lista da esaminare è piuttosto lunga e complessa.
Il primo Quake è una sorta di “bestiario lovecraftiano”
Vi è però un titolo particolare che è entrato nella storia del videogioco per aver “lasciato il segno” negli sparatutto in prima persona, un titolo ben noto ai giocatori di più vecchia data che tuttavia, in larga parte, ignorano quanto esso prenda dall’immaginario lovecraftiano per costruire il proprio universo. Nato dalla mente visionaria di id Software, la stessa casa che ha realizzato il primissimo Doom, Quake si presenta quasi come una sorta di “bestiario lovecraftiano“, poiché vede l’apparizione di un gran numero di mostri tratti dall’immaginario dello scrittore americano. E ciò è da imputare, probabilmente, alla presenza di Sandy Petersen nell’ambito del game-design: per chi non lo conoscesse, Petersen ha il grosso vanto di aver trasportato le pubblicazioni di Lovecraft nel gioco di ruolo cartaceo “Call of Cthulhu“, la cui prima edizione fu messa in commercio nei primi anni Ottanta da Chaosium. A lui fu affidata la direzione del capitolo 4 di Quake, l’episodio conclusivo del gioco in cui – non a caso – il cosiddetto “feeling” lovecraftiano è presente praticamente in tutti i livelli, per mezzo di evidenti architetture arcane e mostri tratti direttamente dai racconti di Lovecraft.
L’influenza di Petersen, alla fine, si è però sparsa un po’ per tutto il gioco: mostri come Scrag, Shambler, Spawn, Fiend, Shalrath e persino banali elementi minori (come la semplice “Chiave d’Argento”, probabilmente tratta dal racconto omonimo) popolano il titolo di rimandi piuttosto diretti all’universo lovecraftiano, rendendo Quake uno dei titoli più “completi” (a livello quantitativo, si intende) mai realizzati in questo senso. Ed è forse un caso che Quake sia un titolo interamente in prima persona, favorendo l’immersione esattamente come i racconti di Lovecraft (su questo aspetto, lo anticipiamo, torneremo più volte)?
In ogni caso, l’influenza di Petersen è indubbiamente contorta e, a tratti, persino crudele, considerato che il capitolo 4 è spesso visto come il più difficile dell’intero gioco; e, tuttavia, una volta raccolte le quattro rune, ci si ritrova di fronte a un’ultima bestia inequivocabilmente tratta dal terribile universo di Lovecraft: Shub-Niggurath, l’unica divinità femminile nei Miti di Cthulhu e una delle tante che non vengono mai viste direttamente nei racconti dello scrittore. Sarà Robert Bloch, protetto di Lovecraft, a descriverla con queste parole dopo la morte del maestro:
Qualcosa di oscuro sulla strada, qualcosa che non era un albero. Una forma grande, e nera, e fibrosa, acquattata lì, in attesa, con braccia irte di filamenti che si agitavano e cercavano di agguantarmi…
The Whisperer in Darkness
Seppur in maniera del tutto indiretta, H.P. Lovecraft ha però il vanto di aver dato una scossa considerevole al genere dei survival horror: The Lurking Horror di Infocom (l’unico titolo horror mai pubblicato dall’azienda, giunto sul mercato per DOS nel 1987), per quanto sia una semplice “fiction interattiva” con comandi testuali, è il primo gioco basato sulle opere dello scrittore di Providence, che già allora hanno mostrato di essere adatte a creare dei piccoli capolavori per gli amanti dell’orrore. Nel titolo di Infocom, il giocatore si ritrova inizialmente nel campus di un’università informatica, nei panni di uno studente che tenta di ricomporre un documento danneggiato con l’aiuto di un hacker. Ben presto, tuttavia, il campus viene devastato da una potente tempesta di ghiaccio, e il giocatore dovrà fuggire attraverso tunnel e piccoli complessi di edifici sfuggendo a demoni, zombie e altre creature delle profondità infernali. Traendo ispirazione anche dalle opere di Stephen King,The Lurking Horror è a tutti gli effetti un racconto interattivo, con cui il giocatore viene letteralmente immerso in approfondite descrizioni e terribili scenari da brivido. Ma The Lurking Horror è ancora ben lontano dall’essere un survival horror così come siamo abituati a immaginarlo. Sarà il primo Alone in the Dark (realizzato da Infogrames nel 1992 per DOS) a definire le basi per quel genere che, più avanti, sarà consacrato da Resident Evil, e non a caso sarà anche il primo horror in 3D ad adottare elementi lovecraftiani – nonché, addirittura, il primo horror in 3D in assoluto. Per quanto non si faccia mai riferimento diretto ai miti di Cthulhu, Alone in the Dark presenta una trama dalle caratteristiche ben note a tutti gli amanti delle opere di H.P. Lovecraft: una villa misteriosa, misteri dell’occulto, spiriti, demoni, mostri modellati sui Grandi Antichi (di cui parleremo a breve), e persino il famigerato Necronomicon faranno la loro comparsa all’interno del gioco, che vede l’investigatore privato Edward Carnby alla ricerca della verità sul misterioso suicidio del pittore Jeremy Hartwood. Il giocatore si ritroverà quindi a vagare in una villa ricca di misteri e segreti nascosti alla vista, segreti così oscuri che solo un folle tenterebbe di portare alla luce.
“Deep into that Darkness peering“
Eternal Darkness è uno dei primi tentativi di Nintendo di introdurre titoli maturi nella sua line-up
Anni dopo, Nintendo e Silicon Knights pubblicheranno un altro survival horror che trarrà anch’esso ispirazione dagli scritti di Lovecraft e, in più, da alcune opere di Edgar Allan Poe. Eternal Darkness: Sanity’s Requiem farà parte dei primi tentativi di Nintendo di introdurre tematiche più “mature” all’interno della propria line-up di giochi, e sarà rilasciato per Nintendo GameCube nel 2002 riscuotendo un successo straordinario presso un gran numero di testate giornalistiche internazionali. Seguendo la giovanissima Alexandra Roivas nel tentativo di scoprire la verità sulla morte del nonno, il giocatore troverà il cosiddetto “Libro delle Tenebre” (rappresentato in-game niente di più e niente di meno che come il Necronomicon stesso), che lo trasporterà attraverso le varie epoche storiche in una disperata lotta contro le forze delle tenebre. La giovane dovrà quindi districarsi all’interno della casa del nonno e tra le pagine del libro, scoprendo un antico culto relativo a una razza di “Antichi” che dominavano la Terra prima dell’esistenza dell’uomo, con nomi tremendamente simili a quelli scelti da Lovecraft per i Grandi Antichi e la progenie di Cthulhu. Tra incantesimi e saperi occulti, però, il giocatore avrà a che fare anche con il cosiddetto “Sanity Meter“, un particolare indicatore che segnalerà la “sanità mentale” dei personaggi e che, se riempito, metterà gli eroi del gioco di fronte a precarie situazioni psichiche. Ecco dunque che, ancora una volta, la paura e le deboli difese psichiche della mente umana si presentano come un elemento rilevante per tutta la produzione di (e legata a) Lovecraft. La follia, in fondo, è un tema piuttosto ricorrente nelle opere dello scrittore di Providence, che sembrava credere ciecamente nella stretta connessione tra conoscenza e pazzia. Una connessione che From Software, ad esempio, sembra aver catturato e compreso molto bene.
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