Stefano Greppi

News+ Forte Corbin, le superficialità della disputa

Perché puoi provare a creare un giochino diverso dal solito spara spara, ma l’italiano medio non andrà oltre le apparenze.

Ed eccoci a parlare di Isonzo e di tutto il casino che ha travolto gli sviluppatori e la famiglia Panozzo, proprietaria di Forte Corbin.

La differenza rispetto ai nostri “colleghi” sta nel fatto che non sono qui per dare in pasto a tutti voi giocatori altre palate di indignazione facile, da riversare poi su una famiglia che chiaramente si è fermata alle apparenze, bollando Isonzo come un classico gioco sparatutto alla Call of Duty.

La nascita del conflitto

Partiamo però dall’inizio, perché magari molti di voi non conoscono la vicenda a cui faccio riferimento. Tutta questa baraonda parte a pochi giorni dall’uscita di Isonzo, sparatutto online sviluppato dai ragazzi di Blackmill Games ed ambientato durante la prima Guerra Mondiale, precisamente sul fronte italiano. Tra le varie location in cui i giocatori si trovano a combattere, c’è anche Forte Corbin, struttura fortificata teatro di una delle più cruente battaglie avvenute sul fronte nostrano e di proprietà della famiglia Panozzo dal 1942 (secondo le fonti di Wikipedia).

Ovviamente non possiamo sapere come siano andate realmente le cose, ma possiamo ipotizzare che ad un certo punto alla famiglia Panozzo arrivi voce di questo videogioco in cui compare anche il loro forte e che a quel punto siano corsi su Google e Youtube cercando materiale che riguardasse Isonzo.

Ora, solo per ipotesi, immaginiamo di prendere qualche video gameplay a casaccio su Isonzo e guardarlo distrattamente. Quello che vedremmo è uno sparatutto molto classico, con tanto di punteggi, selezione degli armamenti e respawn dopo ogni morte. Ecco che allora la famiglia Panozzo rende pubblico il disappunto di vedere il loro forte in un giochino violento e diseducativo che, secondo loro, nulla ha a che vedere con la loro volontà di utilizzare Forte Corbin come museo e monito alla pace.

Il passo successivo di questa storia chiaramente potete immaginarlo tutti: le grandissime testate videoludiche nostrane, sempre sul pezzo, si buttano a pesce su una notizia del genere. Una manna dal cielo per smuovere il sempre rancoroso e battagliero cuore del videogiocatore medio, che ancora non sopporta la mamma che gli dice “a trent’anni stai ancora dietro ai giochini della PlayStation!”.

Il gioco è fatto: migliaia di click e commenti sotto alle news e un branco di scimmie inferocite che si fiondano sulle pagine social del Forte Corbin per tirare la cacca contro il loro acerrimo rivale, il boomer.

Non credo serva aggiungere altro per delineare il quadro della vicenda, per cui ora vorrei sottolineare un punto fondamentale. Ovvero: quello che nessuno ha fatto o ha voluto fare è stato andare oltre le mere apparenze per cercare un dialogo con chi, secondo lui, stava sbagliando approccio o mentalità.

L’errore che non comprende l’orrore

Partiamo in primis da coloro che posseggono Forte Corbin, e ammesso e non concesso che davvero non si siano resi conto che una troupe di Blackmill Games, mesi fa, si era praticamente appostata dentro il forte con tanto di videocamere e droni professionali, girando al contempo dei video backstage della raccolta di materiale per ricreare la struttura in game. Ciò che la famiglia Panozzo avrebbe potuto fare sarebbe stato prima di tutto documentarsi meglio sul gioco di cui si stava parlando, perché sì, Isonzo è un wargame, ed in quanto gioco punta comunque ad intrattenere, ma sotto la scorza ludica c’è molto di più.

C’è la volontà di rappresentare la guerra come qualcosa di brutale e orribile, in cui la vittoria non viene conteggiata tramite un sistema a punti, ma letteralmente decimando le unità nemiche sino a ridurne a zero il loro numero. Ogni respawn di un giocatore rappresenta l’entrata sul campo di battaglia di nuova carne da cannone, il che riesce a farti pensare a quante vite si possano essere spente in una singola battaglia.

Quello che la famiglia Panozzo avrebbe notato, se avesse guardato con più attenzione, è quanto possa essere orribile ritrovarsi sdraiato a terra, bloccato dentro un piccolo avvallamento, unico ostacolo fra noi e i proiettili che ci fischiano intorno, mentre alla nostra testa una granata cade vicino al nostro compagno, che sentiamo gridare per l’ultima volta poco prima dell’esplosione. Avrebbe notato come l’acquietarsi degli spari, che per qualche secondo ci rincuora, lascia il posto al rumore delle granate a gas, che una volta diffusosi ci costringe a mettere una maschera claustrofobica ed estremamente limitante alla vista. Avrebbero notato come vagare in quelle nuvole di gas può essere angosciante, perché la vista è limitata a pochi centimetri dal naso e non si sa mai quando un nemico possa spuntare dal nulla costringendoci a sperare che la nostra baionetta sia più veloce e precisa della sua.

Queste sono solo alcune delle cose che uno sguardo più attento avrebbe notato, senza soffermarsi all’apparenza del solito spara spara violento. Certo, potreste dirmi che una persona non abituata a videogiocare avrebbe fatto fatica a leggere tutto questo in un video, ma quantomeno avrebbe potuto suscitare qualche dubbio, che poi sarebbe stato approfondito da un eventuale dialogo con i ragazzi di Blackmill.

Chi lo sa, da questo dialogo sarebbero potute nascere esperienze interattive ed educative da installare al forte che aiutassero a capire quanto questi conflitti siano stati orribili e insensati, ed invece ci si è fermati al primo impatto, senza approfondire, senza studiare.

Sotto il boom-bardamento

Non dobbiamo dimenticarci anche dell’altra parte però, che per correttezza identificherò come “noi, popolo dei giochini”. Perché anche noi abbiamo le nostre colpe, sia chiaro: ci siamo rifiutati di approfondire la vicenda, ci siamo rifiutati di capire quali fossero le reali motivazioni della famiglia Panozzo. Ci siamo perfino rifiutati di metterci nei panni di chi, magari come molti dei nostri genitori e parenti, è semplicemente troppo lontano da questo linguaggio per capirlo da solo, senza una guida adeguata.

Quello che abbiamo fatto è stato invece dimostrare a queste persone che in fondo in fondo hanno ragione. La nostra maniera di difendere Isonzo è stata quella di utilizzare la violenza verbale e lo scherno, come i bulletti a scuola che se la prendono con il bimbo più mingherlino, forti del loro numero.

Ci siamo abbandonati alle apparenze, etichettando queste persone come odiatori del videogioco in toto, persone che non colgono l’arte del medium che tanto amiamo perché troppo vecchie (come se non fossero la generazione che questo medium l’ha visto nascere e lo ha nutrito nei suoi primi passi). Ci siamo anche dimenticati che l’unico modo di cambiare le cose non è quello di lanciare cacca fuori dalla gabbia urlando come babbuini impazziti, ma il semplice e razionale dialogo.

Insomma, ancora una volta, dobbiamo ricordarci che le apparenze ingannano e non bisogna mai fermarsi senza capire cosa c’è dietro una situazione. Senza confronto, senza dialogo e senza contatto, quello che otterremo sarà solo e unicamente dimostrare che quelle persone che ritengono i giochini un passatempo per disadattati hanno ragione.

La prossima volta che sarete tentati di fermarvi alle apparenze, ricordatevi che Death Stranding non è solo un gioco sulle consegne, che The Last of Us non è solo un gioco di zombie, che Shadow of the Colossus non è solo una sfida contro dei mostri di pietra. Così come Isonzo non è solo un gioco in cui si spara, ed allo stesso modo le persone che avete di fronte durante un conflitto sono più stratificate di ciò che pensate.

Siate migliori di ciò che le apparenze suggeriscono di voi, se non volete che gli altri si fermino a quelle.

#LiveTheRebellion