Nel mondo digitale, negli anni ’90, nasce un fenomeno denominato “clan”. Il termine “clan” deriva dal gaelico e significa famiglia, tribù, inteso come gruppo familiare e sociale. E, in questo nostro contesto, possiamo dire che non si allontana dal suo significato originale, pur adattandosi ad un metodo e un contesto decisamente diverso.
In senso lato possiamo definire il clan come un gruppo di persone che si riunisce e partecipa alla stessa sessione di gioco. Il verbo “riunire” è inteso sia in senso fisico e concreto, proprio perché le prime forme di aggregazione nascono da eventi della vita reale, sia riferito ad una realtà virtuale, di pari passo con la tecnologia del momento, ovvero la trasmissione dei dati via LAN. Più computer, che formano gruppi connessi in locale e gruppi di persone che si incontrano online, in virtù di un sempre più conclamato processo di globalizzazione e abbattimento delle barriere del digital divide. Tutto attraverso il gioco, che si fa così strumento di aggregazione per eccellenza. Un contributo importante all’espansione dei clan, così come li conosciamo noi oggi, lo ha dato QUAKE. Il titolo, della iD Software, in quel periodo, ha fatto da volano alla modalità multiplayer, dedicando espansioni e aggiornamenti, fornendo ai videogiocatori funzioni più utili proprio al comparto multiplayer online.Ma esistono dei punti di contatto tra gruppi reali e gruppi virtuali?
Il gruppo è una struttura a sé in cui le proprietà sono diverse dalla somma dei singoli membri che ne fanno parte. K. Lewin, psicologo tedesco, pioniere della psicologia socialeLo psicologo britannico Tajfel descrive il gruppo come luogo di acquisizione dell’identità. Nei suoi esperimenti notò che, in modo quasi spontaneo, si innescano dei processi di discriminazione e autosegregazione, una tendenza degli individui a distinguere il gruppo di appartenenza (ingroup) da quelli di non-appartenenza (outgroup). Questi processi avvengono in modo automatico, istintivo, non sono razionali, anzi, sono distorsioni che la mente usa per semplificare la realtà che fanno apparire il proprio gruppo e sé stessi migliore degli altri. Lo psicologo sociale polacco/statunitense Solomon Asch condusse un importante esperimento, divenuto poi il punto di riferimento per gli studi sull’influenza sociale. Un gruppo di studenti doveva rispondere a dei quesiti di natura visiva in cui si richiedeva di accoppiare delle linee. Il livello di difficoltà era molto basso, quasi inesistente, la risposta era palese in tutte le presentazioni di accoppiamento, eppure il 37% dei volontari sbagliò le risposte… come mai? Perché si conformarono alle risposte degli altri partecipanti presenti alla prova, complici dello sperimentatore, che avevano dato la risposta errata (ma concordata) per primi, rispetto ai soggetti non complici.
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