Nel 2021 si è vista l’uscita di Lost Judgment, sequel diretto di Judgment, o Judge Eyes in lingua originale, prodotto sviluppato dall’ottimo Ryu Ga Gotoku Studio, noti per essere gli sviluppatori della saga occidentalmente conosciuta come Yakuza, di cui proprio Judgment ne è uno spin-off.

Il secondo capitolo della saga noir giapponese rappresenta tutto ciò che dovrebbe essere un sequel, con un combat system migliorato, più attività da svolgere, più libertà nella città e pezze in quei pochi buchi della prima entry. Nel complesso Lost Judgment risulta essere senza dubbio uno dei migliori videogiochi dell’intera annata, e non mi stupirebbe se dovesse riuscire persino a strappare qualche GOTY, magari anche di categorie importanti.

Una perla nascosta nel mare dell'industria

Ma lo scopo di questo articolo non è elogiare Lost Judgment o farne una recensione, bensì è quello di enunciare il perché i giochi stile Yakuza meritano, e la lunga strada che hanno percorso per arrivare dove si trovano ora.

Perchè Yakuza

Yakuza, dal primo capitolo del franchise, conosciuto come Ryu Ga Gotoku (da cui poi lo studio ha preso il nome) si presenta come un open-world ambientato nei quartieri a luci rosse giapponesi, con un gameplay beat’em up che sfrutta vari elementi da gioco di ruolo, una modalità storia cinematica e tante attività secondarie. O almeno questo è il testo sulla carta, e in breve.

Ma andiamo per gradi, iniziando con l’open world. Yakuza non è un semplice gioco dalla mappa aperta ambientato in Giappone, questo ha come focus le zone dedicate all’intrattenimento nipponico. Non ci sono mappe gigantesche grandi come la Groenlandia da esplorare liberamente per 16 ore senza trovare assolutamente nulla, bensì la mappa è così contenuta, da poter essere interamente percorsa nel giro di due o tre minuti al massimo.

I pugni non sono mai mancati

Ovviamente questo spazio ristretto nel primo gioco era anche dovuto a questioni di budget, poiché lo studio non poteva permettersi di concepire una mappa ai livelli di una Vice City o una Los Santos, e quindi Nagoshi (il direttore della serie) ha preferito optare per uno spazio contenuto ma ricco di contenuti, e così nasce Kamurocho.

La mappa è un rifacimento quasi in scala di Kabuchiko, il quartiere a luci rosse di Tokyo, a cui sono stati cambiati i nomi di strade e di bar. Le strade sono quindi tappezzate delle luci dei locali, host che sbucano da tutte le direzioni per far pubblicità al loro club, ubriaconi che non esitano a intraprendere una scazzottata e tanti, tantissimi uomini in camicia. Ovviamente molti (e non tutti, purtroppo) posti al chiuso non sono lì solo per estetica, ma per una ragione. Nei ristoranti si può entrare e consumare un posto, un’azione che non solo dà vita all’ambiente di gioco ma permette di recuperare salute e salire di livello. Entrando in un supermercato troviamo esattamente le stesse cose che quel tipo di store può fornirci nella vita reale come cibo preconfezionato, quando per le cure mediche ci sono le apposite farmacie.

Le strade di Kamurocho sono splendide. E letali.

Mentre si cammina compaiono delle vignette che recitano i pensieri dei passanti, come i problemi che hanno con il gioco d’azzardo, per dirne una, ma sono tutti dei piccoli tasselli che rendono Kamurocho una delle migliori mappe dell’intero panorama videoludico.

Un paradiso terrestre penserete voi? Potrebbe esserlo, se non fosse che pullula di criminali.

Ed ecco che volano i pugni

Yakuza è un beat em’up, ma come può un beat em’up sposarsi con la formula free roaming ? A differenza degli open world figli di GTA III dove a noi, il giocatore, è consentito pestare o uccidere chi ci pare, questa regola non si applica per la saga giapponese. Per una scelta di design che non vuole dare l’idea che provocare dolore sia divertente, non è possibile colpire nessun cittadino in alcun momento, bensì per menare le mani è necessario aspettare che sia qualche delinquente ad avvicinarsi a noi, magari perché non gradisce il viso del protagonista o perché vuole dei soldi.

Qui, in pieno stile Pokemon, parte il random encounter, dove si viene teletrasportati in una piccola arena dove i margini sono le persone comuni che guardano la scena. Ed ecco che volano i pugni, seguendo il classico schema di attacco leggero, pesante, presa e schivata. La feature principale del sistema di combattimento sono le ‘’Heat Moves’’ ovvero dei QTE che si svolgono in determinate situazioni, come di fronte a un nemico a terra o correndo verso tre avversari. Queste tecniche speciali possono essere viste come ricompense da parte del gioco al giocatore, un premio per aver giocato bene e quindi fornendo non solo una mossa molto potente, ma anche incredibilmente bella da vedere. Andate su YouTube per farvi un’idea, non ve ne pentirete. Anzì, ci penso io.

Una storia sul crimine giapponese

La storia in Yakuza segue uno stampo lineare, si va all’obiettivo, si pestano dei ceffi, si affrontano boss e si va avanti, ma è la sua drammaticità a darle valore. I giochi targati RGG presentano trame mature che raccontano la realtà oscura del Giappone e per l’appunto del mondo Yakuza, del crimine organizzato. Vengono tirati in ballo temi come la prostituzione, risse tra bande, ricatti e altre oscenità per dare un tono crudo alla serie, ma non si limita a questo.

Yakuza affronta temi filosofici, primo fra tutti l’onore, lo scegliere la via giusta o quella sbagliata fra i tanti. Il suo protagonista e volto dell’intero franchise con annessi spin-off è Kazuma Kiryu, un membro di una gang che seppur sembri il classico ‘’Kenshiro’’ delle produzioni giapponesi, questo rappresenta molto di più. Il racconto di Kiryu parla di come la mafia cambi la vita di una persona, di come a certe scelte non è possibile tornare indietro, e di come il mondo può essere crudele.

Il Drago di Dojima

Tutto questo è contornato da alcune delle migliori cutscene prerenderizzate che il mercato propone, grazie all’esperienza che Nagoshi ha avuto nel mondo del cinema. Slow-motion, inquadrature iconiche e stacchi improvvisi danno a Yakuza carattere e enfasi anche nei momenti in cui il giocatore non sta premendo nulla sul joypad. La scrittura delle storie non è impeccabile, ma la sua direzione alterna il voler essere realistico a momenti in pieno stile anime come uno scontro a pugni sulla cima di un tetto. E i personaggi, alcuni di loro, sono veramente indimenticabili, che siano secondari o primari, hanno un loro scopo, un loro carattere e una validissima scrittura.

Non dirò niente sulle Boss Fight, ma sono la mia cosa preferita in assoluto di questo tipo di giochi. Immagina, puoi.

Il chiasmo

Ma, fra tutte, la più grande particolarità di Yakuza è la sua dissonanza. Qualche riga più in alto ho parlato dei temi che la serie affronta, e la serietà con cui questi vengono toccati…o almeno nella storia principale. Affacciandoci alle attività secondarie, si scopre un lato completamente diverso del gioco giapponese.

Le missioni secondarie hanno trame buffe, stupide e esilaranti, in completo contrasto con tutto ciò che si è visto all’inizio. Nell’arco di qualche minuto si passa dall’aver appena ricevuto una lettera di riscatto a combattere un criminale che ruba le mutandine delle ragazze per diventare più forte (e non sto scherzando). L’idea di creare delle substories che partono da un incipit strampalato è una soluzione molto ingegnosa per occultarne le mancanze in ambito di gameplay.

Si, sono degli Yakuza con un pannolino

Se queste storie secondarie sono molto divertenti e invogliano il giocatore a scoprire perché quella scimmia sta guidando una ruspa, queste non offrono molto da giocare, solo qualche dialogo a scelta e una scazzottata di tanto in tanto. Ma a pensarci, è un compromesso favoloso. Quante volte in giochi Open World vi siete trovati di fronte a secondarie senza uno scopo se non quello di far numero? Tranquilli conosco già la risposta.

Yakuza presenta intelligentemente secondarie scritte bene, che divertono il giocatore e in contemporanea lo distraggono del dramma cupo della main quest.

La lezione che questa scelta insegna è che mettendo impegno nella scrittura delle attività proposte al giocatore, è possibile arginare i limiti del gameplay, e che, seppur si voglia presentare un videogioco con molta serietà e maturità nella narrativa, non è sbagliato concedere anche qualche risata al giocatore.

Anche i mafiosi girano sui Go-Kart

Fra una storia principale che dura sempre più di 20 ore di gioco, e una cinquantina di secondarie per capitolo, Yakuza chiede ai giocatori di non alzarsi dalla tavola perché arriva il dessert. E il metaforico dolce di questo banchetto ludico sono i minigiochi.

I minigiochi non sono visti dagli sviluppatori come una piccola aggiunta ludica per fare altro, ma sono inseriti come parte integrante dell’offerta ludica. Per questo, i minigiochi sono davvero tanti, alcuni più profondi di altri, e altri che nascono con il semplice di scopo di far distruggere il controller.

Questi ‘’giochini’’ sono generalmente attività normali, come golf, baseball o degli Arcade (rigorosamente targati SEGA) o anche più strane, come il Karaoke, gare clandestine, caccia all’orso o la gestione di un Hostess Bar. Ad affiancare la componente ludica di questi minigiochi, c’è persino una storyline, con tanto di rivali che proveranno a mettere i bastoni fra le ruote al protagonista e momenti comici.

Questo è un gioco sulla mafia, non dimenticatelo.

Lost Judgment ha come gradevole nuova aggiunta la Boxe. In questa modalità si affrontano degli avversari con un sistema di combattimento completamente diverso da quello normale, ma divertente, leggero e contemporaneamente profondo. Questo per dirne uno, ma alcune entrate della serie, come Yakuza 5 offrono ben 35 minigiochi diversi. Purtroppo non tutti minigiochi escono col buco (o erano le ciambelle?) e quindi inevitabilmente qualcuno di questi esce terribile, ingiocabile o solamente frustrante. Per fare un esempio c’è il golf in Yakuza 3. Chi sa, sa.

Una serie impeccabile?

Ovviamente, per quanto mi piacerebbe dire che si tratti di un franchise perfetto, non lo è, per colpa di evidenti limiti.

Il primo fra tutti è la sua poca voglia di rimodernarsi. Yakuza al momento conta 8 capitoli principali più 5 spin-off e 2 remake. A esclusione dell’ultimo numerato, Yakuza 7 o Like A Dragon in occidente, tutti condividono lo stesso gameplay. Certo, di episodio in episodio ci sono sempre delle migliorie, in certi casi più che in altri, ma comunque ci troviamo di fronte sempre lo stesso combat system (prima della rivoluzione di LAD e il suo essere un gioco a turni).

In aggiunta a questo, tutti i giochi hanno Kamurocho come setting, che seppur affiancato ad altri quartieri giapponesi e con alcune aggiunte di tanto in tanto, è la stessa città, con le stesse vie e quella gigantesca torre al centro. Qualcuno potrebbe persino definirli ‘’copia e incolla’’, ma questo aspetto vintage di Yakuza con caricamenti di qualche secondo prima di entrare nei negozietti mi ricorda molto i tempi della PlayStation 2, e potrebbe piacere ad alcuni.

Come faceva il detto? Se funziona…

La lunga salita per il fiume

Ma quando parliamo di Yakuza, parliamo di una saga nata nel 2005, e che nonostante lo studio abbia rilasciato un capitolo o spin off quasi ogni anno per 16 anni, viene naturale domandarsi il perché il successo stia arrivando solo ora.

Per rispondere a questa domanda bisogna tornare un po’ indietro, e tornare alla creazione della serie.

Inizialmente, e come è intuibile, la creazione di una serie giapponese basata sulla mafia è di per sé già un problema per la pubblicazione nella madre patria, ma diventa ancora un problema più grande quando l’idea era ancora di portare la serie in Occidente, considerando anche quanto fosse particolare il gioco. Per questo, quando uscì il primo capitolo nel 2005, veniva sponsorizzato come un ‘’GTA ma ambientato in Giappone”, in modo da vendere il più possibile.

Il primo capitolo ebbe tuttavia un grande successo nella terra del Sol Levante, mentre scarseggiò da noi occidentali. La stessa storia fu per Yakuza 2, sequel diretto uscito l’anno dopo, e ciò porto Sega a prendere pesanti provvedimenti. Yakuza Kenzan, il primo spin-off ambientato nel Giappone feudale, non è mai uscito dal Giappone, e Yakuza 3, arrivò nell’ovest soltanto un anno dopo la sua uscita originale, nel 2009.

Far uscire il gioco un anno dopo diventò una prassi per le uscite in Occidente, poiché costava di meno allo studio e le vendite dalle nostre parti continuavano a scarseggiare. Da dopo l’uscita di Dead Souls e dei suoi pessimi incassi, Sega decide di abbandonare gli occidentali e lasciare Yakuza come una piccola perla esclusiva al territorio giapponese.

3 anni d’attesa valevano la pena? In breve: sì.

Yakuza 5 arriva nel 2012, ed è bellissimo, ma nessuno poteva giocarci poiché solo in giapponese. La svolta avviene ben 3 anni dopo, nel 2015, dove su un sondaggio presente su un forum, Sega chiede ai fan quale titolo avrebbero voluto vedere pubblicato anche al di fuori del Giappone. Il vincitore fu proprio Yakuza 5, che uscì ben 3 anni dopo, solo in versione digitale a ben 40$ sul PlayStation Store.

Yakuza 3, 4 e 5 erano disponibili sul mercato, ma con i primi due capitoli solo su PS2 e difficili da trovare, sembrava ostico perfino vendere gli altri 3 della generazione PS3.

Il luogo del giuramento


Per approfondire:
Yakuza 0
Ma nel 2015, Sega pubblica il videogioco che col senno di poi è stato il Big Bang per la rinascita della serie: Yakuza 0

Yakuza 0 funge da prequel dell’intero franchise, ambientato ben 30 anni prima, e di conseguenza fruibile sia ai pochi fan storici, che ai nuovi arrivati. Non solo questo prequel permise di unire le due metà della fanbase, ma è ancora oggi, il Magnum opus dei lavori dello studio.

La sua uscita in occidente avviene ben 2 anni dopo, nel 2017, e finalmente, tutti amavano Yakuza.

Il capitolo di ripartenza venne premiato dalla critica internazionale con grandi voti, e tanti Influencer famosi parlarono del gioco e del suo essere così ‘’giapponese’’ sulle varie piattaforme online.

Che facce affidabili

Grazie a 0, Sega decise di riportare la saga in occidente, ma con i soliti tempi di ritardo.

Parliamo comunque di un franchise che è sempre stato esclusiva PlayStation (all’infuori di una HD Collection per Wii U che nessuno ricorda), o almeno fino allo scorso anno.

Nel 2020 Yakuza 0, Kiwami e Kiwami 2 entrano nella GamePass Collection e grazie a ciò il successo della serie cresce in maniera esponenziale, tanto da far uscire Like a Dragon lo stesso anno, con giusto qualche mese di ritardo. L’uscita di Lost Judgment in contemporanea mondiale segna la fine del percorso ascendente di Sega e del Ryu Ga Gotoku Studio.

Il Drago

Yakuza è un gioco con dei limiti, ma che vuole porsi limiti. Seppur sacrifichi il volersi rinnovare in ogni capitolo, le uscite ormai quasi annuali sono piene zeppe di contenuti. Sempre più spesso vediamo Open World nell’industria, ma difficilmente escono giochi fatti con lo stesso carisma di Yakuza, e lo stesso amore da parte dello studio. Nagoshi stesso, ha affermato che per lui, vedere i giocatori felici mentre giocano al suo lavoro è la miglior ricompensa possibile, una filosofia che più elementi dell’industria dovrebbero seguire. In breve, Yakuza è un drago in un mare di squali.

Seppur con le dovute difficoltà, la Carpa ha risalito il fiume, e nel riuscirci, è divenuta Drago.

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