Allora, adesso vi scrivo quel pezzo. Quello in cui si battono un sacco di caratteri senza dire niente, quello che anche se smettete di leggere in questo istante è troppo tardi, perché il click ormai lo avete dato. Quel pezzo in cui ci sta un po’ di dietrologia e si fa il bastian contrario solo per il gusto di farlo. Però è tutto in buona fede, lo garantisco. O se non tutto una buona percentuale, diciamo 71%, una cosa così. Sicuramente più alta della percentuale media di completamento di Far Cry 6. E se non dovesse bastare metto pure sul piatto due temi che vi stanno a cuore: Il videogioco come Arte – sì, con la “a” maiuscola – e l’inclusività LGBT. Una la amate davvero, l’altra amate odiarla, quindi tira ancora di più.
Leggendo questa pagina date implicitamente il consenso a ricevere una lettera con dentro insulti a caso qualora non apprezzaste l'articolo. Oppure qualcuno che viene a spezzarvi le gambe, devo ancora decidere.
Ciò che è successo e di cui si chiacchiera voracemente è sostanzialmente questo: Ubisoft manda ai giocatori delle mail che sottolineano i blandi successi ottenuti in Far Cry 6, schernendo il giocatore e schierandosi dalla parte del cattivo. Anzi, facendo parlare lui in prima persona. Dunque non è che stiano davvero schernendo chicchessia, è un contenuto di marketing goliardico, è meta-game. Circa. Ma allora perché la gente si è infervorata a riguardo? La risposta più semplice è quella che sostiene le robuste fondamenta del “eh ma non si può dire più niente” , cioè che la gente è isterica, iper-sensibile e dovrebbe darsi una grossa calmata. Sfacciatamente vi dico che questa prospettiva in realtà mi ammorba.
Nella maggior parte dei casi diventa una facciata per poter continuare a pensare sul proprio tracciato, senza lasciare che nuovi punti di vista inquinino il nostro. Poi si finisce tutti ad annuire e sorridere al monologo di Pio e Amedeo sul politically correct. Breve inciso: se lo chiamate “monologo” evidentemente vi siete persi qualche pezzo, visto che sono in due a farlo. Non dico che siate necessariamente ignoranti però è chiaro che potreste sentirvi chiamati in causa. Ovviamente è una battuta, nulla di serio. Nulla per cui prendersela, come le mail di Ubisoft.
Sto divagando, lo so. La domanda iniziale era: perché la gente si è infervorata? Ma il fatto è che nessuno – o quasi – si è infervorato. Tranne chi ha scritto il tweet e aperto la discussione su Reddit. Ma la risposta “della gente” è stata perlopiù positiva. Lo so perché mi sono sorbito quasi interamente il topic e ho letto una buona dose dei commenti su Twitter. Un lavoro sporco, ma qualcuno deve farlo.
Nulla di nuovo, il solito sensazionalismo nel riportare le notizie per il gusto di creare scompiglio e alimentare grottescamente la discussione. Perché a ‘sto punto le news si potevano titolare “Alec Baldwin spara sul set e compie una strage, subito dopo aver hackerato la newsletter Ubisoft e aver insultato i giocatori”. Facciamole bene le cose.
Se devo essere sincero, per me la scelta di tono di Ubisoft non è stata così nociva di per sé e probabilmente era pure in buona fede, solo che mancava di qualsivoglia eleganza nel farlo
Il punto insomma è che, a prescindere dalla risposta del pubblico, sbattere il totale delle ore in faccia al giocatore esortandolo a fare di più, magari condito da un atteggiamento dal tono “passivo-aggressivo” non riesco a vederlo come marketing brillante. Sebbene sia giustificato e in qualche modo diegetico, visto che mette il villain Castillo al centro di tutto. È meta-game, certo. Ma è spicciolo e senza mordente. Perché il succo del discorso è che dal gioco voi non vi dovete staccare, mai. Le compagnie possono nascondere questa volontà di tenervi incollati allo schermo quanto e come vogliono ma suona tanto come il “bevi responsabilmente”. Possibile che una comunicazione di questo tipo possa, soprattutto sui più giovani portare a disagi e scompensi se sfruttata nel modo sbagliato e senza controllo?
Io non sono uno psicologo ma…
Ma niente. Non lo sono e non mi arrogo il diritto di dire nulla che esuli dalle mie competenze. Qualche dubbio mi sovviene ma me lo elucubro nel privato. Passiamo oltre.
“È solo carta straccia”
La mail è arrivata solo a chi ha dato il consenso per ricevere notizie e pubblicità, di conseguenza una delle risposte più diffuse è stata “Cestinala, togliti dalla newsletter e scrolla le spalle, è solo spam.” ed è vero, non è che Ubisoft ha mandato quella mail indiscriminatamente. Sorvolando sul fatto che ci mancherebbe pure che inviassero le mail senza consenso, bisogna vedere come quest’ultimo è stato ottenuto.
Spesso l’ok al ricevere questo tipo di contenuti e quasi implicito, lo si da senza neanche accorgersene mentre si scrolla un muro di testo che ci separa dal giocare. Ma è pur vero che bisognerebbe prestare più attenzione e di conseguenza su questo specifico aspetto io sono più combattuto. La sfumatura è semplice in realtà: da un lato, come giocatori, dobbiamo essere più consapevoli, dall’altro non credo che l’aver spuntato una casellina dia il diritto a qualsiasi tipo di pubblicità passi per la testa al reparto marketing. Mi rendo pure conto che viviamo in un’epoca in cui le sfumature non esistono e si propenda per ragionare solo per estremi, quindi tutto diventa più ostico.
Il dubbio che mi viene a questo punto però è perché si debba scrollare le spalle alla mail di Ubisoft ma non al personaggio non-binario di Battlefield. Si è prontissimi a liquidare ciò che non interessa ma appena ci si affaccia sul discorso lgbt bava alla bocca e occhi sgranati. Perché Ubisoft potrà pure dirmi che devo giocare meglio e di più ma guai se qualcuno si azzarda a specificare la sessualità di un personaggio.
Però, curiosamente, anche in quel caso la notizia è stata riporta in maniera non proprio limpidissima. Ovvero il team di sviluppo ha presentato la bio di un operatore, sfruttando il pronome neutro “they“, stop. Solo successivamente, rispondendo a un utente è stato specificato che il personaggio fosse effettivamente non-binario. Allora gli animi si sono placati e i coltelli riposti nello stivale. E per carità, che Electronic Arts sia il male puro siamo tutti d’accordo, però sarebbe meglio approfondire prima di esprimersi. Tra l’altro, il DDL Zan alla fine non è passato, quindi la lobby del politically correct è evidentemente meno potente di quanto pensassimo.
Scrolliamoci un attimo di dosso il discorso marketing e quello etico. Facciamo anche finta che lo sdegno del pubblico rispetto alle mail di Ubisoft sia stato davvero vasto e profondo come riportato. Qualcuno ha fatto notare che se una scelta del genere l’avesse portata avanti un director come Kojima o Yoko Taro avremmo gridato al guizzo di genialità alla brillante comunicazione attraverso il meta-game. Ma è proprio lì che fa perno tutto il discorso.
Far Cry 6 avrà pure basato tutta la sua campagna marketing sull’antagonismo verso Castillo ma non basta. Non basta per poter pareggiare con l’estro creativo di un director che – piaccia o meno – ha basato una carriera sul creare nuovi modi di parlare al giocatore. Cambiano anche le finalità ovviamente, perché se Taro avesse mandato delle mail ai giocatori non lo avrebbe fatto per spingerli a giocare di più. Probabilmente ci avrebbe esortati a lanciare la console o il PC fuori dalla finestra, ma sto di nuovo divagando.
Semplicemente, la comunicazione non può prescindere dal suo autore. Molto del discorso dell’arte contemporanea lo si basa proprio su questo concetto. Perché una banana attaccata al muro con lo scotch non ha valore intrinseco. Un’opera che viene distrutta nello stesso istante in cui viene battuta all’asta non amplia il discorso artistico di per sé. Dipende da chi muove i fili. E per quanto possa far ingrossare il fegato fino a farlo esplodere in un roboante “LO POTEVO FARE ANCHE IO” resta il fatto che Cattelan si è costruito la credibilità per attaccare della frutta ai muri e chiamarla arte. Noi no. E lo stesso vale per Ubisoft che, evidentemente, non ha la credibilità per giocare attraverso il meta-game in maniera così pigra senza che si crei un disagio, o perlomeno una discussione.
Servo Muto
Vado a chiudere cercando di riprendere le fila del discorso nella sua interezza ma sempre partendo dall’arte. Il servo muto è un piccolo mobile d’arredamento che nel tempo ha subito modifiche alla sua natura. Dapprima come porta liquore e poi come appendi-abiti. Il suo nome deriva dal fatto che quando i borghesi si riunivano per bere a fine serata, e non volevano orecchie indiscrete, la servitù prima di ritirarsi lasciava questo oggetto nella stanza, in modo da dare supporto senza dover essere presenti.
Nella periferia di Torino il Servo Muto è diventato, proprio in questi giorni, un’opera di arte contemporanea. E mi ha offerto uno spunto di riflessione per questo articolo. L’opera è di Alessandro Bulgini e secondo l’artista può avere molteplici significati a seconda dei contesti e delle interpretazioni. Il servo muto può essere chi sta in silenzio per non dire nulla di sconveniente, per esempio. O chi preferisce mettersi al lavoro, operando in silenzio e rifuggendo le luci della ribalta.
L’interpretazione che do io è più spicciola forse e gioca un po’ di più con le parole. Ovvero trasformando quel “servo” da sostantivo a verbo, dicendo che sono io il primo a dover chiudere la bocca: io servo muto. In un’epoca in cui tutti si sentono legittimati a dare la propria opinione sempre e comunque, credo possa essere un messaggio comunque non così banale.
Siamo sempre pronti a zittire gli altri, a dirgli di non far baccano, eppure mai che si riesca chiudere la bocca in prima persona. Ci sentiamo obbligati a dare un’opinione, a prescindere dalle nostre competenze, ma ci dimentichiamo di approfondire, di verificare. Pronti a dire come non si debbano combattere le battaglie per l’inclusività ma mai che si offra un’alternativa. Mai che si partecipi alla battaglia.
E per prima, servirebbe muta l'informazione a volte
Prima si riporta una notizia nel modo peggiore possibile, poi ci si scaglia contro chi leggendola si fa venire dei dubbi. Fa parte di un meccanismo, di un gioco, che ormai ha stancato. Esattamente quanto ha stancato Far Cry evidentemente. E come gli utenti che hanno risposto “sono disposto a fare di più a patto di avere un gioco migliore” sono utopisticamente convinto che si possa fare lo stesso per combattere il sensazionalismo spicciolo che crea discussioni dal nulla. Per cui va bene, togliamo l’iscrizione alla newsletter di Ubisoft, scrolliamo le spalle e passiamo oltre. Ma facciamo lo stesso con tutte quelle realtà che ci ingozzano di “notizie” solo per darci modo di vomitarle sugli altri. Altrimenti, sarà stato davvero un piacere vederci fallire.
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