Matteo Noto

News+ Accessibilità: il trucco di Capcom

Ovvero come venire incontro alle esigenze dei videogiocatori moderni con un DLC da 0,99 centesimi

Il retrogaming, si sa, è un business sempre più fiorente, e spesso il fattore nostalgia è determinante per il successo di un titolo. In questo periodo d’oro per remastered e remake, Capcom propone una soluzione interessante riguardo l’accessibilità dei vecchi classici.

Nella sua nuova collezione di giochi arcade, Capcom Arcade Stadium, è possibile infatti acquistare un DLC che renderà il giocatore invincibile. Le implicazioni sono… affascinanti, a dir poco. Un videogioco meno difficile è davvero più accessibile?

Pay to Win in solitario

Il concetto di pay to win è sempre esistito, non solo nei videogiochi. Migliori finanze equivalgono ad una maggiore disponibilità di risorse che porteranno inevitabilmente alla vittoria, è sempre stato così in ogni competizione. Ma il punto è proprio questo: la collezione in questione è concepita per essere un’esperienza single player, e non esiste la competizione nel single player.

Beninteso, questo non vuol dire che i giochi single player manchino di sfida, ma è una sfida interiore volta solo ad affinare le proprie abilità. Utilizzare un trucco per l’invincibilità uccide completamente questo aspetto del media, e mi viene da chiedermi:

A questo punto, ha senso giocare?

Non che questa iniziativa sia qualcosa di completamente nuovo. Contenuti di questo genere per esperienze rigorosamente single player se ne sono viste eccome. Prendiamo per esempio Fire Emblem, che sin da Awakening ha presentato l’opportunità di comprare DLC dedicati interamente al grinding. Sicuramente facilitano la vita del giocatore, ma non giovano al gameplay di quello che dovrebbe essere un gioco basato sulla gestione ottimale delle risorse.

E che dire di Three Houses, senza il cui season pass da 25 euro è quasi impossibile giocare a difficoltà folle. Difficoltà che, guardacaso, è invece stata aggiunta al gioco gratuitamente. Al confronto i 0,99 centesimi richiesti da Capcom sono ben poca cosa, specie per l’enorme boost in termini di accessibilità.

Serve una easy mode

Stiamo dunque parlando di una pratica predatoria volta a spillare soldi ai videogiocatori ignari? A volte parebbe così, ma penso che il discorso sia più complicato. Inutile negarlo: in questa ultima decade la percezione della difficoltà nei videogiochi è radicalmente cambiata. Se prima era un aspetto quasi secondario, oggigiorno un elevato tasso di sfida è spesso una medaglia da sfoggiare.

Per i videogiocatori più hardcore questa tendenza è una manna dal cielo, ma si tratta di un’arma a doppio taglio. Bisogna infatti tenere conto che persone diverse hanno esigenze diverse e, soprattutto una concezione soggettiva di “divertimento”. Un elevato tasso di sfida spaventa i novizi, e al contempo l’età media del videogiocatore aumenta, e con essa aumentano anche impegni e responsabilità.

Vedendola in quest’ottica, l’iniziativa di Capcom ha perfettamente senso, in quanto inserire questo tipo di opzione in un titolo ne aumenta l’accessibilità. Offrire un livello di sfida che si adatti a qualunque giocatore è diventata una priorità, basti pensare alle recenti dichiarazioni di Sony. E questa è una strategia vincente: negli ultimi anni ho visto molti adulti approcciarsi ai videogiochi per la prima volta grazie ad una modalità facile. E sebbene ci sia ancora chi difende con passione una menatlità strettamente elitaria, ormai è chiaro che l’accessibilità è il futuro.

Dopo essere stati di nicchia per molti anni, i videogiochi non sono mai stati più mainstream di così, e l’industria si sta adattando. Qualunque iniziativa che spinga nuove persone ad impugnare un pad non può che essere ben accetta

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