Qualche giorno fa ho cominciato Disaster Report 4. Tra tutte le miriadi di ottimi giochi che avevo messo in pausa, però, mi sono reso conto che l’unico che volevo giocare, che ho voluto finire, fosse proprio l’unico che non valeva la pena di finire. E allora mi sono chiesto… quando è che un videogioco è davvero bello?
Ma credo che, prima di potervi rispondere, mi serve raccontare tutto quello che mi ha portato a quella domanda, dall’inizio.
Quindi preparate i pop-corn, sedetevi sulla poltrona più vicina e lasciatemi raccontare la mia storia. Oggi sarò quel marinaio che, tra sputi e insulti, vi racconta le incredibili avventure che ha vissuto quando era più giovane, perché fidatevi, è una storia da raccontare.
Antitesi – “Sai che ho un sacco voglia di giocarlo?“
Prima di partire, però fatemi fare delle precisazioni. Innanzitutto: Sì, stavolta non racconterò proprio tutta la storia, tanto nessuno la leggerà mai tutta ( – come la scorsa volta).
Però, sì, anche in questo caso parliamo della mia esperienza personale, perché alla fine tutti i grossi pensieri nascono dalle cose più stupide. Ho cominciato Disaster Report 4 per caso, senza aspettarmi nulla.
Come già vi avevo detto in altri articoli, i giochi che ci si gode di più, sono quelli che si gioca senza pregiudizi, che si gioca tanto per; Quelli che si gioca per divertirsi, davvero però. Se vi ricordate, nello scorso pezzo su Persona, quello che mi criticavo di più era proprio il fatto che continuassi a giocare secondo dei miei pregiudizi.
Questa volta, invece, la voglia di giocare è venuta semplicemente guardando altri giocare questo gioco di cui non sapevo praticamente nulla.
Ho pensato 'Sai che ho un sacco voglia di giocarlo?'
Non mi succedeva da molto tempo e, spinto da una voglia naturale e dalla mia stupidità, ho acceso Steam e l’ho comprato. Niente di più, niente di meno. Nessun intermezzo musicale, semplicemente così, per la forza del mio semplice amore per i videogiochi.
Tesi – Un pessimo gioco da cui non riuscivo a staccarmi
Il giorno dopo, mi sono messo lì e ho cominciato a giocarlo. Non mi sarei mai potuto aspettare quello che sarebbe successo da quel punto in avanti.
Innanzitutto, non ci è voluto molto per capire diverse cose sul gioco. Ad esempio, in un paio d’ore avevo capito che il titolo fosse estremamente legnoso, mal ottimizzato e generalmente pessimo nel comparto tecnico.
Eppure… mi piaceva giocarlo. Per le numerose scelte che il gioco mi obbligava a fare, mi sentivo solo io in mezzo a quella città terremotata, a saltare tra edifici e parlare con gli individui più bizzarri.
C’era un’altra cosa, poi, che mi ha preso più di tutto. La scrittura di Disaster Report 4 è una delle più fuori di testa che abbia mai visto. Ci sono continui cambi di scenari, che ribaltano completamente il tono della narrazione, con momenti tristi a cui seguono scene comiche e completamente surreali.
Allora ho finalmente capito il fascino del gioco, la sua bellezza intrinseca, che esisteva senza importarsene di tutto quello che c’era attorno. Certamente, puzzava moltissimo di Giappone, con le sue stranezze e assurdità, ma… non riuscivo a staccarmene.
La realizzazione – Un’esperienza agrodolce
Per diversi giorni, continuai a giocare Disaster Report 4, riducendomi addirittura come uno straccio dopo lunghissime sezioni non-interrotte. Avevo un sacco di giochi fermi, ma quello era l’unico che volevo continuare.
Ed a quel punto capii che avevo avuto una bella esperienza da un pessimo titolo
Disaster Report 4 è un pessimo gioco. È a tratti noioso, legnoso, lento, nato vecchio e ancorato al passato. È poco rispettoso delle proprie origini nella saga ed è a conti fatti mediocre per la sua continua incoerenza. Una schifezza.
Eppure, ne ho avuto una bella esperienza. Non riuscivo a stancarmene, non riuscivo a smettere di giocarlo, di arrivare al nuovo livello. Ad un certo punto, ho pure messo in pausa un incontro tra amici solo per giocarlo.
Fino a quel punto dubitavo nella mia passione per i videogiochi. Tutti gli ultimi giochi che ho giocato, meno Persona 4, di cui ho già parlato, mi hanno fatto perdere la fiducia.
Ma un gioco da 6, mediocre in tutti i suoi aspetti e mal tenuto come una baracca abbandonata, mi ha fatto tornare voglia di giocare ai videogiochi.
“Quando un videogioco è bello?“
Quando è che un videogioco è considerabile bello? Quando il sito giochinipertutti.it mi dice che è fatto bene? Oppure, c’è dell’altro; c’è qualcosa di diverso e complesso?
Dalla piccola storia che vi ho raccontato dovreste aver capito che è qualcosa su cui dovremmo ragionare. Perché, invece di giocarmi il tripla A di turno, ho voluto finire un gioco che ritengo oggettivamente ( – e qui mi ammazzerà il grande capo Pietro – ) mediocre?
Credo che bisogna distinguere tra la qualità di un gioco e l’esperienza che può dare. Non è una semplice questione di “è un titolo ispirato”, né di libertà o bellezza creativa o artistica. Un videogioco è bello quando è bello, insomma.
Qualcuno può godersi Death Stranding perché ha toccato le corde giuste, qualcun altro apprezza il nuovo The Last of Us II perché lo ha fatto commuovere. Per me, c’è Disaster Report 4. Perché… è un sacco giapponese? (…credo?).
Il punto è che credo che ci siamo dimenticati che un videogioco non è solo un ammasso di numeretti o una galleria per la nuova grafica spacca-mascella. Se proprio non vi va di dire che sia arte, almeno ammettete che c’è di più della sola qualità tecnica. Quindi smettiamola di trattarli come se fosse così.
Un videogioco diventa bello quando è bello per chi lo gioca
Se c’è qualcosa che adoro dei videogiochi è che sono un’esperienza profondamente personale. Mentre nel cinema, nella letteratura o in altri medium hai semplicemente libertà – parziale – sull’interpretazione dell’opera, i videogiochi sono… qualcosa che comandi tu.
Link non va avanti se non premi “freccia su“, e seppur non è sempre una libertà completa (vedi Detroit: Become Human o altri giochi del caro Cage), c’è sempre qualcosa che devi fare per far andare avanti il gioco.
Secondo me, Disaster Report 4 è l’emblema di questo concetto. Come ho spiegato prima, è un gioco in cui si ha moltissima scelta su qualsiasi decisione del protagonista, e spesso, anche se non hanno risvolti nel gameplay, aumentano moltissimo l’immersione nel titolo. Te lo godi perché ti senti davvero parte dell’esperienza.
Proprio per lo stesso motivo, ci si può godere in modo diverso qualsiasi gioco, si possono avere delle belle esperienze che non derivano solamente dalla sua qualità, da quanto dura o da quanto sono grandi le mappe che esplorerete, ma da motivi diversi, a volte anche strani.
Anzi, vi dirò di più: nelle mani giuste Final Fantasy XV può diventare un divertentissimo gioco di pesca (anche in VR!).
Un videogioco è bello nelle mani giuste.
Anche se ha mancanze, anche se è fatto coi piedi, può divertire, o comunque dare una bella esperienza… tanto bella da portare a qualcuno a scriverci un articolo sopra, criticando l’approccio all’intero medium.
Come e quando dire che un gioco è bello
Proprio per tutto quello che ho detto, mi chiedo perché spesso, consigliando un gioco ci riferiamo solo a criteri più “oggettivi”; perché la stampa tradizionale ancora si lega a dei criteri che non vogliono dire nulla e non contano niente per nessuno.
Un gioco non ti piace perché “il nuovo engine ha delle buone collisioni“, né perché “il gioco è molto ispirato“, ma perché ti ci sei divertito, hai passato dei bei momenti, ti ha risollevato da un periodo negativo, ti ha fatto riflettere.
Ed è proprio per questo quando parlo di giochi odio parlare del gioco in sé. Perché non ha senso e non frega a nessuno… preferisco parlare dell’esperienza, di tutto quello che c’è attorno. Che è, in fondo, quello che fa tutto ILoveVideogames. Parliamo del videogioco, non giudichiamo i giochini.
Ed è per questo che anche un gioco di merda può farmi passare notti insonni.
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