Read-Only Memor: libri che parlano di videogiochi

Ti interessa la storia dei videogiochi? Lo store di Read-Only Memory è pieno di libri incredibili sull’argomento oltre a Japansoft: an oral history. Se volete investire dei soldi, questo è il posto giusto per farlo

Japansoft: an oral history è il libro che parla di chi i videogiochi li ha inventati. E fidatevi, i veri punk sono loro.

Di libri che parlano di videogiochi non ne esistono tanti, ma Japansoft: an oral history è uno dei migliori sulla piazza.
Il libro è in lingua inglese, pubblicato da Read-Only Memory, una casa editrice che si occupa di libri sui videogiochi con un catalogo di pregio in continua evoluzione. Japansoft si basa sulle interviste fatte da John Szczepaniak per il suo progetto The untold history of japanese game developers.
Anche questa volta ci troviamo ad affrontare il tema, troppo spesso preso sottogamba, della storia del medium videoludico, ma in questo caso il focus non sono i videogiochi ma chi i videogiochi li ha praticamente inventati.

Japansoft raccoglie infatti dichiarazioni, retroscena ed interviste degli sviluppatori giapponesi che hanno visto il medium nascere ed espandersi tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80. Certo, i nomi grossi non mancano, ma il punto di vista privilegiato è quello di quegli eroi semisconosciuti che hanno contribuito alla creazione dei primi videogiochi nel paese del sol levante in un momento storico in cui l’industria praticamente non esisteva. Questi nerd instancabili hanno cominciato a scrivere codice quando ancora non esisteva nemmeno il concetto di console.
La loro testimonianza, raccolta in Japansoft: an oral history, è di grande importanza: non solo il loro punto di vista è in buona sostanza inedito, ma ci da la possibilità di analizzare l’evoluzione di un’industria che ha “solo” cinquant’anni ma che in tutto questo tempo, forse, non si è evoluta così tanto come crediamo.

I veri punk sono gli sviluppatori di videogiochi.
Non lo ripeterò mai abbastanza: ci curiamo davvero troppo poco della storia del medium. Presi come siamo dalla febbre dell’hype, tendiamo a non dare valore al lavoro di centinaia di migliaia di persone che nella vita hanno scarificato tutto pur di farci divertire e appassionare.
Il libro edito da Read-Only Memory va a colmare un vuoto colpevolmente enorme, e racconta da dentro un mondo che ci è ancora quasi del tutto sconosciuto.

Japansoft racconta le testimonianze di una generazione di ribelli che hanno sfidato la società per intraprendere la carriera di sviluppatori di videogiochi.

È quasi comico, ma chi sviluppava videogiochi negli anni’70 e ’80 era un vero punk. C’era chi non si è lavato per mesi pur di terminare il proprio gioco, c’era chi dormiva per terra in ufficio perché non aveva una casa, c’erano addirittura dei team che siccome avevano un ufficio microscopico facevano le riunioni in metropolitana.
Tutto questo in un mondo che inizialmente gli era ostile perché i videogiochi erano visti come una perdita di tempo per scappati di casa, e non vedeva di buon occhio quei giovani che facevano altro oltre a prepararsi per l’università. O per le superiori, visto che alcuni degli intervistati all’epoca avevano 15 anni.

Troppo spesso i libri sui videogiochi non parlano degli sviluppatori

Il libro di Read-Only Memory offre tutti gli elementi per comprendere al meglio la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80.
Dai primi computer di NEC e Apple fino all’arrivo della prima console di casa Nintendo quello della programmazione, in Giappone, era un mondo in fermento ma anche perso nella totale anarchia. Japansoft racconta gli albori delle prime software house in un periodo storico in cui anche i rivenditori d’auto tentavano di saltare sul carro dei videogiochi. Lo ammetto, certi racconti mi hanno fatto venire la pelle d’oca: leggere della nascita di Akihabara e delle prime riviste di settore mi ha fatto provare nostalgia di un periodo che non ho mai vissuto. Dalle parole di chi c’era è possibile capire quanto amore provassero quelle persone per i giochini.

È nato prima il crunch o il videogioco?
Tutti, o quasi tutti, gli sviluppatori intervistati erano dei videogiocatori accaniti, a riprova del fatto che questo è un medium che nasce dal basso e dagli appassionati. Allo stesso modo, però, Japansoft racconta anche il lato più atroce dell’essere sviluppatori di videogiochi in quell’epoca.
Oggi si fa un gran parlare del crunch e dei ritmi lavorativi che chi fa questo mestiere è costretto a sopportare. La verità, però, è che questa è una pratica che è nata assieme al medium stesso. E in qualche modo va debellata.

In ogni caso, leggere che c’erano compagnie che avevano una stanza apribile solo dall’esterno in cui chiudevano i programmatori fino a lavori ultimati fa sinceramente paura. La cultura del lavoro del Giappone non è certo una novità, ma certe pratiche sono disumane da ogni punto di vista si guardino. Questo dovrebbe insegnarci a non fare i capricci quando ritardano l’uscita di un videogioco. Almeno si spera.
Certo, da un lato non si può che apprezzare l’amore che trasuda dalle parole di chi già in quegli anni metteva la propria passione davanti ai propri bisogni e passava mesi interi in ufficio pur di finire di programmare il proprio videogioco. Eppure alcuni racconti sono spaventosi, e mettono in chiaro quanto già le prime software house fossero interessate solo al proprio tornaconto, mettendo in secondo piano il benessere dei propri lavoratori.

Abbiamo ancora moltissimo da imparare dal passato
Credo sinceramente che Japansoft: an oral history sia un libro importantissimo. Sia per il fascino tremendo che trasudano certe storie sia per l’impegno messo in campo per recuperare un pezzo importantissimo del passato. Allo stesso modo, però, i libri sui videogiochi tendono ad evitare di parlare dei lati oscuri dell’industria. Read-Only Memory, per fortuna, ci offre uno sguardo il più completo possibile sull’argomento. Senza lasciar spazio a nessun tipo di censura o giustificazione.

Lasciatemelo dire: abbiamo seriamente bisogno di libri che parlano di videogiochi come lo fa Japansoft.
Dobbiamo ascoltare le parole di chi i videogiochi li crea.
Perché è inutile sbracciarsi per sostenere che siano una forma d’arte, se poi ci disinteressiamo degli autori.
Fatevi un favore, e supportate il lavoro di case editrici come Read-Only Memory e Bitmap Books.

Ne abbiamo bisogno tutti.

#LiveTheRebellion