Gli scienziati affermano che la probabilità che i videogiochi causino violenza sia pari a quella che vede le banane indurre ai suicidi. Dopo l’ennesima sparatoria di massa compiuta da qualche imberbe, che ha avuto accesso chissà come a un’arma, Donald Trump ha gridato alla glorificazione della violenza nella nostra società, e a un presunto rapporto con i videogiochi macabri e raccapriccianti ormai diffusi capillarmente.
La reazione di figure del settore, compresi giornalisti con capacità minime di discernimento, non si è fatta attendere. Uniti sempre di più verso l’unica direzione: quella di far disconoscere la forzata correlazione tra la violenza esercitata virtualmente e le atrocità reali.
Innumerevoli persone hanno investito anziani e sparato a cani in GTA. Eppure restano dei cittadini modello.
Di parere non dissimile il dr.James Ivory, che ha giustamente ricordato che, per quanto molti autori delle stragi denunciate da Trump (e da altri prima di lui) siano risultati videogiocatori più e meno incalliti, la correlazione tra le due cose non sussiste. Poichè sarebbe come accusare il genocida di aver indossato un paio di scarpe: un’azione banale e innocente, come giocare ai videogiochi, compiuta da gran parte della popolazione.
Persino Reggie Fils-Aime, il presidente di Nintendo of America, scaglia in faccia ai suoi connazionali la pura e semplice verità senza troppi patemi d’animo. Grafici di ricerche e indagini atte a dimostrare quanto il problema, principalmente negli Stati Uniti ma non solo, non siano i videogiochi bensì le armi. Tanto la facilità di accesso quanto la cultura in sé, che ne giustifica il ricorso su un numero eccessivo di situazioni. Come riporta Pew Research, il numero di crimini relativo alla violenza tutta (non solo alle armi da fuoco) è diminuito del 49% tra il 1993 e il 2017. Esattamente nel periodo in cui sarebbe stato lecito aspettarsi un’influenza maggiore, da parte dei videogiochi, violenti e non. Che invece, in tutta risposta, danno adito a ben altro genere di iniziative.
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