L’anello di congiunzione tra Infinity War ed Endgame è una pellicola interessante nello sviluppo e nel messaggio, annacquata da qualche gag di troppo.

Partiamo dal presupposto che anche se fosse stato un film orribile sarebbe stato propedeutico alla visione di Avengers: Endgame, ma fortunatamente così non è. Co-diretto e co-sceneggiato dalla coppia Anna Boden-Ryan Fleck, Captain Marvel è un film d’origine brillante, poco ma sicuro, un po’ troppo servile però nell’inserire gag che ormai il pubblico si aspetta, anche a tradimento. Non siamo dalle parti di Thor: Ragnarok, ma in quel limbo dove sembra che l’epicità di certe scene debba per forza essere edulcorata per poter esclamare “hey, guardate che mica mi sto prendendo sul serio, sono un film di supereroi!”. È più o meno la norma, di cosa mi stupisco? Il fatto è che la pellicola inizia in modo incredibilmente intenso, un sogno drammatico, ricorrente, che riporta alla veglia Vers (Brie Larson) nel suo appartamento con vista sulla skyline di Hala, capitale della civiltà Kree. Un ricordo di un passato dimenticato, un presente come soldato d’élite dell’esercito Kree, insieme al suo mentore Yon-Rogg (Jude Law), impegnato in una lunghissima guerra contro gli invasori Skrull. Proprio durante una di queste missioni la situazione precipiterà e sarà lei a finire nelle mani degli alieni capitanati da Talos, dopo un cruento scontro a fuoco; sequenza che darà vita a una delle scene più suggestive del film. Un viaggio a ritroso nella sua mente e nei suoi ricordi, memorie di una vita sulla Terra manipolate dagli Skrull, per trovare un indizio sull’identità della persona che appare sempre nei suoi incubi. In questi primi minuti c’è pathos, mistero, una splendida regia e una buona scrittura.

Poi la fuga rocambolesca, l’arrivo sulla terra e un singhiozzo ininterrotto di epicità e comedy che mi ha lasciato un po’ indispettito. Dal revival degli anni ’80 ormai prosciugato si passa a quello anni ’90 (siamo nel 1995), con annessa interminabile carrellata di loghi e ammiccamenti; da Blockbuster ai cercapersone, dalle t-shirt dei Nine Inch Nails ai cabinati di Street Fighter, ovviamente con le scontate gag di plastica che rompono la sospensione d’incredulità. Fortuna vuole che i 90s si siano portati dietro anche quel Samuel L. Jackson formato Die Hard, nelle vesti di un Nick Fury finalmente (co)protagonista, alla Zeus Carver, capace di mangiarsi il film in diverse occasioni e reggere splendidamente il gioco alla fantastica Larson. Un’eroina che si è rotta le palle di dimostrare il suo valore, l’ha già fatto per troppo tempo. È decisa, quadrata, con una personalità e una presenza scenica capaci di riempire da sole le inquadrature. Irresistibile. E se è vero che i villain sono assolutamente impalpabili (uno degli aspetti peggiori del film, così come il personaggio di Law abbastanza anonimo), mi pare destinata a tenere tranquillamente testa anche al nichilista Thanos. Brie Larson ha il carisma di un premio Oscar, ci mette cuore e valorizza una scrittura del personaggio dove la penna femminile è assolutamente tangibile. Un personaggio dai poteri devastanti, non troppo valorizzato da un montaggio delle scene d’azione a tratti troppo cinetico e confuso. Fantastica ed esaltante è però la scelta di accompagnare uno dei combattimenti principali con Just a Girl dei No Doubt (pescato da una colonna sonora anni ’90 di grande pregio, che butta nella mischia anche Come As You Are con nonchalance invidiabile), dove le parole graffianti di Gwen Stefani colpiscono quanto i raggi fotonici di Vers. Una scena che da sola sputa in faccia alla vetusta definizione di “sesso debole”.

Visivamente il film diventa ammaliante quanto è una CGI allo stato dell’arte a farla da padrone, con scorci fortemente suggestivi, trasformazioni clamorose, e combattimenti aerei che pescano tantissimo dalla scuola di Star Wars. Di mezzo il problema dei siparietti non è tanto la loro scontata presenza, che regala anche momenti genuinamente divertenti, è che gli stessi vanno proprio a creare pause inutili anche nelle sequenze più tese e importanti. Piccole cose che se fossero state gestite meglio avrebbero innalzato Captain Marvel a uno dei migliori capitoli di questo universo narrativo. Perché ha personalità, impatto visivo, attori di altissimo livello e soprattutto una costruzione intrigante e sfiziosa, con un cliché della perdita di memoria gestito molto bene. Per questo avrei preferito più intensità, grinta e coraggio in certi frangenti, perché il materiale (soprattutto umano) lo avrebbe permesso tranquillamente, senza per questo trasformarsi in una pellicola eccessivamente drammatica o sottrarre divertimento. Rimane comunque un bel film da scartare minuto per minuto, con alcune rivelazioni e connessioni tra passato e futuro pressoché fondamentali per tenere insieme l’universo Marvel. Un film sorprendente per larghi tratti, soprattutto per una costruzione del personaggio tra le migliori del genere, che regala momenti emozionanti e fa puro intrattenimento. Con un personaggio così nel cast l’asticella di Endgame si alza di una tacca. Vedremo il mese prossimo se le aspettative saranno ripagate.

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