Stefano Calzati

Speciale Vita da Vampiro e altre cose che non fanno per me

Mai desiderato così tanto essere Van Helsing.

Ma si, già il fatto che un vampiro si debba nutrire esclusivamente di sangue, spinto a rigurgitare tutto il resto del cibo se ingerito, incompatibile col nuovo apparato digerente, è una cosa che mi starebbe troppo sulle balle. Troppe scomodità in generale, fotosensibilità e anemia, al netto della vita eterna, che mi farebbero pesare l’esistenza più di quanto non lo sia già. Questa illuminazione non è arrivata guardando uno qualsiasi dei celebri Dracula che hanno succhiato tempo agli spettatori di tutto il mondo in 100 anni di cinema, ricambiando con grande soddisfazione le loro “vittime”, bensì guardando il Blu-Ray di Vita da Vampiro, o What We Do in the Shadows se preferite, diretto da Taika Waititi (sì quello di Thor: Ragnarok) e Jemaine Clement (anche protagonisti davanti alla cinepresa), apparentemente acclamato come “esilarante” dalla critica di mezzo mondo e pronto a fregiarsi di diversi allori fin dalla sua copertina, dall’International Fantastic al Torino Film Festival, più una serie infinita di citazioni della stampa e una costellazione di stelle a corredo. Sarà l’odore della corona d’aglio appesa al collo che mi avrà annebbiato i sensi, ma non sono sicuro di aver visto un capolavoro.

Paletti di frassino e pallottole d’argento
Ovvero lo stock che avrei voluto avere a disposizione ad ogni battuta. La pellicola, in effetti, fa esattamente quello che è nei suoi intenti sin dal titolo, mostrarci la “vera” e tragicomica vita di un quartetto di vampiri coinquilini attraverso lo stile dannatamente azzeccato del mockumentary, con tanto di mock-interviste tête-à-tête, in un contesto certamente ironico e a tratti demenziale, senza mai però riuscire ad eguagliare con le risate la genialità stessa su cui il progetto, anche registicamente, poggia le sue basi. Ovviamente se un prodotto mi viene presentato come “una delle migliori commedie dell’anno” ritrovandomi poi a ridere davvero due volte nell’arco di ’86 minuti, la libidine scende a livelli da terza età. Un po’ come Viago, Vladislav, Deacon e Petyr, anche la pellicola ha perso qualcosa lasciando la vita terrena per l’immortalità insita in ogni film, che male che vada può solo essere dimenticato, alla fine. E dispiace perché, finché non si cerca la gag a tutti i costi, il film è brillantissimo e racconta con irriverenza la quotidianità di creature leggendarie, entrando nel loro intimo in maniera un po’ morbosa, come quelle trashate che mostrano la vera vita di questo o quel divo di Hollywood. In quel di Wellington, Nuova Zelanda, i nostri eroi ci mostreranno come tirano a campare, raccontandoci la loro condizione, come sono diventati creature dell’oscurità, spiegando segreti e pettegolezzi diffusi nei millenni, raccontandoci la loro vita centenaria e mettendo a nudo davanti alle telecamere il loro presente depravato e un po’ sfigato, demoralizzati e ridimensionati a nerd del periodo gotico da un mondo moderno che li vede come materiale fantasy; mica come ai tempi del Medioevo, quando erano temuti, venerati e dove le vergini erano disponibili in gran quantità.

Un mockumentary sulla vita dei vampiri, geniale negli intenti e brillante nella realizzazione. Peccato che soffra di anemia comica.

Oggi insomma vivono la convivenza come la maggior parte dei mortali, tra litigi per chi deve lavare i piatti sporchi di emoglobina, assistendo l’anzianissimo ma ancora temibilissimo Petyr (alto tributo al Nosferatu di Max Schreck) e assistendosi a vicenda quando c’è da abbigliarsi, dato che gli specchi sono lì solo per fare arredamento, con gli uni intendi a scarabocchiare l’aspetto degli altri, regalandoci una delle scene più riuscite dell’intero film. Riempiendo poi il tempo facendo orge, dormendo di giorno e andando per locali di notte in cerca di un pasto caldo (esattamente come i DJ). Anzi, diciamo “vivo”. E in un mondo dove i vampiri sono realtà è anche normale incontrare licantropi, morti viventi e soprattutto cacciatori che seguono le orme, su una strada lastricata di esorcismi e pugnalate al cuore, di Van Helsing. Il tutto filmato in presa diretta e rigorosamente “traballante”, frenetica, concedendosi virtuosismi sugli effetti speciali e le trasformazioni, abbondando col rosso (anche in senso alcolico, a vedere certe cose) e andando a incasinarsi in battute forzate che a stento strappano un sorriso, cercando di essere ridicolo a tutti i costi, inseguendo una comicità più pacchiana che sagace, più americana che inglese, da sit-com di seconda fascia. È proprio la scrittura ad essere poco incidiva e mancare di verve umoristica, laddove i personaggi avrebbero meritato molto di più per esprimere a pieno le loro capacità. Certe volte non basta disgustare a livello visivo e fare facce buffe per essere divertenti, al contrario di Austin Powers 2 e dell’orrendamente comica scena del caffè.

Posso capire il perché di tutti i complimenti che ha ricevuto, ma non li condivido totalmente, semplicemente per la sua incompletezza e i suoi contrasti, che rovinano in parte questo trionfo di idee. Avrebbe potuto essere un piccolo cult, e invece toccherà al suo seguito, già in cantiere e incentrato sulla vita dei licantropi, cercare di regalare grasse risate e tintarelle di luna (piena).

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