Illusi e abbandonati con una pallottola in testa.

La meraviglia di una caletta poco affollata di Ibiza, il sole che ha già iniziato la sua parabola discendente, l’acqua calda e cristallina. La vacanza perfetta per una coppia di giovani statunitensi, bellissimi, innamorati, il momento ideale per una proposta di matrimonio indimenticabile filmata con lo smarphone dal ragazzo stesso. Il “si” arriva e la commozione lascia spazio alla gioia di un attimo che sembra sospeso nell’eternità. Bisogna festeggiare con un buon cocktail. Mitch Rapp bacia la sua ragazza, le dice che tornerà subito; la corsa verso il bar sulla spiaggia è una trionfale passerella tra gli applausi di chi ha assistito alla romantica dichiarazione. Poche parole in un timido spagnolo al barman, qualche battuta e un secco schiocco metallico. La telecamera si macchia del sangue di chi stava dietro al bancone, le urla di terrore, la fuga in piano sequenza, una mattanza insensata e terribile nella casualità con cui vengono scelte le vittime. Colpi di AK-47 tagliano l’aria col rumore stesso della morte. Mitch corre, viene colpito a una gamba ma l’unico pensiero è ritrovare Katrina (Charlotte Vega). Lei è lì, bloccata come se la sabbia le stesse trattenendo i piedi con forza, grida il nome del suo futuro sposo, poco prima che un proiettile la colpisca al torace. I bagnanti corrono in ogni direzione, verso l’entroterra e in acqua, lontano da quel commando arrivato dal mare per uccidere cristiani in nome di ideali folli e spregevoli. I capelli biondi della giovane riversi sul bagnasciuga insanguinato. L’incubo di pochi minuti che ha inflitto il dono della sopravvivenza a un ragazzo, resuscitato a nuova vita alimentato da uno dei sentimenti più forti e incontrollabili dell’animo umano: la vendetta.

Atomiche banalità
Un avvio davvero eccezionale nella sua crudezza registica, capace di stritolare l’emotività di ogni spettatore, particolarmente sensibile a certi argomenti e stragi che ci siamo quasi colpevolmente abituati a vivere, attraverso le immagini dei telegiornali negli ultimi anni. Una strage su pellicola che si rifà al terrificante attentato sulle spiagge di Sousse, Tunisia, dove nel giugno 2015 morirono 39 persone sotto i colpi di Kalashnikov di un commando jihadista arrivato a bordo di un gommone. La psicologia del terrore che ci fa guardare con sospetto ogni cosa, anche in vacanza, “perfetta” per creare un film carico di tensione, attuale, un perfetto manifesto anti ISIS. Invece Michael Cuesta ha deciso di prendere ispirazione dall’America Assassin cartaceo di Vince Flynn, acclamato autore di spy story scomparso nel 2013, il quale ha lasciato ai posteri il personaggio di Mitch Rapp (Dylan O’Brien), perfetto e indistruttibile agente della CIA, qui alla sua prima missione, cronologicamente parlando. L’incipit sulla morte di Katrina è stato reso contemporaneo, toccante, scioccante, ma la lotta del nostro eroe al terrorismo di matrice islamica dura fin quando non riesce ad entrare nelle grazie di Adnan Al-Mansur, a Tripoli, colui che commissionò la carneficina di Ibiza, fingendo per mesi di volersi arruolare nel suo esercito e combattere la guerra “santa” per potersi “lavare le mani col sangue degli infedeli”. Barba incolta e viso stanco, provato dalla sua ossessione. Un incontro tesissimo quello col capo dei miliziani, interrotto dall’intervento dei Marines che strappano la vendetta dalle mani di Mitch, tenuto sotto controllo dalla CIA per mesi, usato per raggiungere l’obiettivo che l’intera intelligence non era ancora riuscita a conseguire.

La vendetta cinematografica verso il terrorismo islamico viene usata come incipit per la solita minaccia nucleare; almeno mettete di mezzo la Corea del Nord.

In questo momento inizia la carriera dal giovane ma muore l’illusione di trovarci davanti ad una pellicola originale, trovandoci a gustare un minestrone fanta-politico dal gusto decisamente poco ricercato, quasi surgelato. 15kg di plutonio rubati da una centrale nucleare russa dismessa pronti a finire tra le mani di generali iraniani, decisi a infrangere il celebre accordo anti-atomica, a cui si aggiungere una scheggia impazzita addestrata dalla stessa CIA, forgiata dai discutibili ma efficaci metodi del veterano Stan Hurley (Michael Keaton). Uomo duro, spietato, una macchina da guerra apparentemente priva di emozioni il cui personaggio, dagli stereotipati tratti emotivi, è sicuramente il più riuscito del lotto, tanto nelle scene d’azione quanto per il peso generale all’interno della vicenda. I test psicologici cui vengono sottoposti gli aspiranti Orion, il più segreto dei reparti statunitensi, sono sicuramente il culmine di questi 3/4 di pellicola, che toccherà il suo punto più basso nella nostra città eterna, tra mafiosi in tuta da ginnastica dalla recitazione grottesca fino all’immancabile tortura delle unghie, strappate a colpi di pinza, coronando il tutto con un “ahò, che cazzo fai?” urlato da un guidatore romano che vede Rapp rubargli la macchina da sotto il naso. Una superficialità anni ’90 che fa strano vedere ancora sul grande schermo.

“Una pallottola spy story spuntata”
Ciò che viene meno è proprio l’intreccio, il colpo di scena, un gancio emotivo che traini lo spettatore con gli occhi sbarrati per non perdersi nessun dettaglio, caratterstica regina di ogni spy story di livello. È tutto più o meno già visto, già assaporato, già ascoltato, la versione spuntata di un Bourne qualsiasi, dove un protagonista senza carisma ha in canna solo il colpo della vendetta, privato di una crescita interiore che gli faccia bucare lo schermo. Oltre al già citato Keaton, comunque abbastanza monocromatico ma “cazzuto” al punto giusto, solo l’iraniana Shiva Negar aka Annika, fascino esotico, ottima recitazione e uno spessore ben più consistente di quanto ci si aspetti, riesce ad alzare il livello di un cast che vede la sua nemesi in un Taylor Kitsch aka Ghost traditore della patria dall’animo doppiogiochista, personaggio reso folle e rancoroso dal suo passato sotto copertura, senza controllo e letale, vero mistero del film fino a quando non rivelerà la sua banale psicologia. Il problema però non è tanto da ricercare nel cast, quanto nella sceneggiatura generale, che non riesce a tener testa alle spettacolari e godibilissime fasi action, varie (con digressioni verso la realtà virtuale), crude e anche verosimili fino al pirotecnico finale, in cui i contatori Geiger segnaleranno alte concentrazioni di materiale radioattivo.

Un film che si perde nel marasma di action movie che popola le sale cinematografiche, senza un vero segno particolare, che lascia l’amaro in bocca per quello che poteva essere, viste le premesse iniziali. Una missione che resterà celata nell’anonimato, come si conviene alle migliori black operation.

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