Halloween non è roba nostra, ma col tempo si è fatta spazio nella nostra cultura.
Ma le
occasioni per vestirsi in modo strano ed essere molesti le festività non sono l’unica cosa che abbiamo copiato dagli anglosassoni: ecco una lista di 8 cose made in Italy che abbiamo “rubato” all’America e fatto nostre. 8 prodotti che hanno “halloweenato”, appunto.
Gioventù Ribelle – No, non il film
Da bravi videogiocatori e amanti della cultura, pensereste che possa essere una buona idea festeggiare una ricorrenza di Stato promuovendo lo sviluppo di un videogioco. Forse i
parrucconi™ in Parlamento hanno finalmente capito il valore culturale del videogioco, forse è finalmente il momento di un salto di qualità per il medium in Italia. Purtroppo, per i 150 anni dell’Unità d’Italia, non è stato esattamente così. Nel 2011, il
Gruppo di Filiera dei Produttori Italiani di Videogiochi (nome altisonante che, nella pratica, vuol dire ben poco) ha sviluppato, in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, uno sparatutto in prima persona. Tale videogioco aveva l’intento di celebrare l’anniversario del Risorgimento italiano, portando cultura storica nelle case dei videogiocatori italiani e ricordando l’incredibile impresa di Garibaldi. In teoria, gli intenti erano nobili; nella pratica, le cose sono andate piuttosto male.
Gioventù Ribelle è un progetto mai terminato, che nella sua prima forma risultava pieno di bug, glitch e imperfezioni, ma soprattutto mancava di una qualsiasi originalità. Per dirne una, il progetto del Ministero utilizzava suoni riciclati dall’Unreal Development Kit per sonorizzare le armi; immaginate una carabina di fine Ottocento con il suono del Fucile Shock, e avrete più o meno capito la serietà adottata nello sviluppo dell’intero progetto.
Un vero peccato, perché l’industria è piena di sparatutto war-game storici anche piuttosto famosi (vedasi la serie di
Medal Of Honor, o più banalmente qualche capitolo della serie di
Call Of Duty). Il tentativo di ricreare l’FPS di stampo americano, tuttavia, non è andato sicuramente a buon fine, e
Gioventù Ribelle è inesorabilmente scivolato nel silenzio senza possibilità di recupero. Un po’ come una buona parte dei progetti italiani di matrice statale, insomma.
Lo Chiamavano Jeeg Robot – Il cinecomic tricolore
Identificare i supereroi come parto della cultura pop statunitense è
un collegamento mentale naturale. Marvel e DC sopra tutti hanno portato i loro incredibili personaggi alla ribalta mondiale fin dagli anni ’40, diffondendosi poi a macchia d’olio e influenzando usi, costumi e modi di dire, per atterrare infine su altri medium, soprattutto il cinema e la conseguente nascita dei cinecomic, vero fenomeno definitivamente esploso negli ultimi 20 anni. Successo e carisma straripante stimolano da sempre emuli più o meno colti, e si sa, noi italiani non sopportiamo che altri facciano meglio di noi qualcosa.
Lo Chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti è stato un vero caso nel 2015, una pellicola sospesa tra tributo e voglia di rivaleggiare coi colossi a stelle e strisce, portando in Italia, precisamente nella “città eterna”, tutto l’immaginario “super” tra poteri incredibili e personaggi assurdi, conditi con un pizzico di amore per la cultura anime giapponese.
Claudio Santamaria alias Enzo “Jeeg” Ceccotti, contaminato dalle acque del Tevere per rinascere a nuova e sovrannaturale vita, un criminale incallito che diventa anti-eroe dall’inspiegabile forza fisica per fronteggiare la “mala” romana e proteggere Alessia, affetta da problemi psichici e che vede in Enzo il suo salvatore, Hiroshi Shiba in carne ed ossa.
Un’opera personale, italianissima che solo in parte deve il suo successo ai cliché su cui è basato esclusivamente l’incipit, mostrando la forza bruta dell’italians do it better, (o perlomeno alla pari). E considerati i mezzi economici è un piccolo miracolo tricolore, uno dei tanti della nostra Storia.
Dagger – Perchè lo Stivale ha autori pazzi e con le palle
Abbiamo già parlato alle nostre coordinate di
Dagger, il dark fantasy per l’uomo-dio che non deve chiedere mai e che ci va giù pesante con scene crude, bestemmie e sacrilegi assortiti e anche con qualche citazione – da David Bowie a Scrubs. Non potevamo esimerci dal rispolverare il nostro primo
Ludolettori per l’occasione, visto che stiamo parlando di un prodotto che
ha halloweenato alla grande: se siete convinti che il fantasy, specie nella sua accezione dall’animo più nero, sia solo un affare per autori anglosassoni,
Walt Popester (questa volta eviteremo di inserire una battutaccia a tema Boris) è la persona giusta per farvi cambiare idea. Tanto più che il primo volume della serie è disponibile aggratis e il quinto, stando alle nostre Gole Profonde – in realtà così dice la pagina Facebook dello scrittore – è attualmente in stesura.
Zilog Z80 – orgoglio tecnologico nostrano
La
Zilog di
Federico Faggin, vicentino di nascita ma a pieno titolo cittadino del mondo, è una di quei “giganti nascosti” che probabilmente al grande pubblico non dirà nulla ma che in realtà ha avuto una pesante influenza – indiretta, sia chiaro – sulla vita di tutti i giorni anche dell’uomo della strada. Perchè il suo
Z80 è probabilmente
uno dei processori più utilizzati nella storia dell’Informatica, e si trova – quasi insospettabilmente – in decine di prodotti che abbiamo utilizzato o utilizziamo tutt’ora. Tipo? Beh, tipo quasi tutta la linea
Game Boy, che sfruttava chip derivati proprio dalla matrice di Zilog (con un set di istruzioni leggermente modificato), fino al glorioso Game Boy Advance – farà eccezione il Game Boy Advance Micro, visto che il chip era essenzialmente utilizzato per garantire la retrocompatibilità con le vecchie cartucce.
Ma anche in casa Sega si è fatto ampio uso dello Z80, sia su Game Gear (ironia della sorte, il cuore sotto la scocca delle due console portatili rivali era lo stesso) che in salotto su Master System e Mega Drive. Ma al di là dei videogiochi lo Z80
è comparso davvero ovunque, dalle calcolatrici scientifiche ai sintetizzatori per fare musica… Insomma, un vero e proprio blockbuster abbastanza made in Italy che ha halloweenato assieme al suo ideatore, diventando un successo mondiale. E di cui fino ad un paragrafo fa
non sapevate assolutamente nulla.
Lo Chiamavano Trinità… – Spaghetti western con pomodoro e basilico
La pellicola cult di
E.B. Clucher, al secolo Enzo Barboni, si può riassumere in un girotondo di parole: la parodia italiana di uno spaghetti western, a sua volta ispirato al western statunitense. Insomma, un giro di tributi che portò alla ribalta l’inossidabile e indimenticabile coppia italiana dai nomi americani,
Bud Spencer e Terence Hill, scelti come pseudonimi tre anni prima in occasione di “Dio perdona… Io no!” di Giuseppe Colizzi, western duro e crudo che li vide recitare insieme per la prima volta. L’anima scanzonata e parodistica con cui però abbiamo imparato ad amarli e che ne hanno distinto la longeva carriera è stata tratto distintivo e vincente di “Lo Chiamavano Trinità…” e seguito, commedie che elegantemente sfruttavano i meccanismi di un genere che in quel periodo, a cavallo tra ’60 e ’70, stava vivendo il suo periodo d’oro, edulcorandone la crudezza a suon di scazzottate ma lasciando intatte qualità e ambientazione, impreziosendo tutto con un gusto ironico tutto italiano.
Una vera e propria boccata d’aria per il genere, che riuscì a farsi apprezzare anche da chi non era portato per le vicende dell’ovest statunitense, spesso ermetiche nel loro lento incedere. Una carriera, per i nostri eroi, che per larga parte fu vissuta sul filo teso tra Italia e U.S.A., sempre pronti ad interpretare a modo loro le mode cinematografiche del momento, innalzandole a “film per tutti”
nel senso più positivo del termine, un camaleontico equilibrismo che gli ha garantito un posto speciale nel pantheon di ogni appassionato.
forma.8 – Metroidvania a modo nostro
Negli ultimi anni abbiamo assistito alla colonizzazione totale degli e-store da parte dei titoli indipendenti. Da ogni parte del mondo sono arrivati piccoli giochini-showcase di
meccaniche nuove e fresche, frutto della fantasia non di grandi aziende, ma di comuni mortali con qualcosa da comunicare. L’Italia si è assicurata una fettina di questo mondo (principalmente bidimensionale) con alcune interessanti produzioni, fra cui
forma.8
La direzione artistica è pulita e netta, e trova la sua originalità pur replicando le rotondeggianti silhouette di Limbo, tramite il sapiente uso di una tavolozza dai colori energici. Il gameplay fluttuante permette
la libera esplorazione di un mondo enorme, nei cui anfratti possono essere trovati dei potentissimi power up ma anche temibili boss. Queste caratteristiche vanno a formare un’ avventura che promette una brusca ed emozionante alternanza fra momenti di calma piatta e caos totale.
GRIDD: Retrohanced – ti insegno io il cyberpunk…
Pochi periodi storici possono vantare la quantità di icone
degli anni ’80. Basti pensare che sono stati il decennio dell’infanzia dei videogiochi stessi, prima che entrassero nell’adolescenza a 16 bit. Sicuramente fra le immagini più famose di quel periodo c’è quella del wireframe, ovvero la scacchiera in prospettiva dipinta di accesi colori a neon. Per intenderci, è quella citata a non finire in mille opere nostalgiche: alcuni esempi sono il bellissimo Far Cry 3: Blood Dragon, l’universo di Tron, o la sequenza di Hackerman del
recente Kung Fury.
I ragazzi italiani di
Antab Studio hanno portato a termine una lunga sessione meditativa, dimenticando i caldi colori del panorama mediterraneo per abbandonarsi ai gelidi toni virtuali che costituiscono
GRIDD: Retrohanced. Il gameplay frenetico, che forse trova le sue radici in Star Fox, ha luogo su piste luminose, che ricordano vagamente quelle Star Rider, mentre i nostri highscore da capogiro vengono mostrati attraverso il font dei vecchi giochi NAMCO.
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