Stefano Calzati

Speciale Dunkirk – L’incanto della guerra

Christopher Nolan prende ancora una volta per mano il cinema moderno, reinterpretando i war movie con la sua innata classe registica, scegliendo una vicenda dove la sopravvivenza, il terrore e la speranza ci faranno vivere la guerra da un punto di vista inedito e scioccante.

Un fiume di circa 1300 parole, in puro inchiostro virtuale, saranno scritte su queste pagine per descrivere un’opera cui basterebbero solamente dieci lettere, tanto abusate per prodotti che non lo meritano, persino riduttive per altri: capolavoro. Quello che si è consumato nella sala Energia dello storico cinema Arcadia di Melzo, in provincia di Milano, è il nuovo metro di paragone, in pellicola 70mm, per un intero genere cinematografico, uno dei più amati dagli spettatori, spesso terreno di consacrazione per i più grandi registi del XX secolo (da Coppola a Kubrik, da Spielberg ad Eastwood), reinterpretato dal più grande e geniale del XXI, Christopher Nolan. 21 agosto, 10 giorni dal D-Day che vedrà approdare nelle sale di tutta Italia un film che si prefigge di conquistare la scena cinematografica moderna tutta, ponendosi come nemesi per il suo stesso creatore, da oggi dolcemente costretto a convivere e misurarsi con un’opera magna che al momento pare irripetibile.

La Grande Storia
La storia si fa Storia, quella maiuscola, vissuta e poi raccontata, messa in scena, scritta, sempre ricordata per non dimenticare. La trama si fa immagine, espressività dei volti dei suoi interpreti che sembrano viverla sulla pella quella tragedia, “il secondo infruttuoso tentativo dell’umanità di commettere suicidio”, come scrive il compianto ed eterno Kurt Vonnegut, che la visse sulla sua pelle tra umorismo e terrore. Nessun romanzo, un vezzo di cui quest’opera non ha bisogno, dialoghi stringatissimi, intensi, niente monologhi epici e toccanti, troppo hollywoodiani per quello che Nolan vuole farci vivere, un’esperienza sensoriale che ci porta in Francia, ci porta a Dunkerque, al di qua della Manica, all’alba del conflitto, nel 1940. Le truppe della Wermacht penetrano in territorio transalpino con un’offensiva implacabile, che schiaccia gli eserciti francese, belga e britannico fino al freddo oceano, giocando atrocemente al gatto col topo nella cittadina ormai fantasma.

File di soldati, sudditi della Regina, disposti in ordinate e ansiose file sulla spiaggia, estesa a perdita d’occhio, in attesa di una nave, una speranza, il risveglio dall’incubo. I caccia della Luftwaffe compiono periodicamente una macabra danza sopra le loro testa, sganciando bombe su soldati ormai ridotti a indifesi civili, senza alcuna copertura antiaerea e con poco futuro davanti. Sul palco di questo teatro a cielo aperto vivremo tre storie, tre differenti punti di vista sull’Operazione Dynamo (27 maggio – 4 giugno 1940), ritirata strategica con un unico obiettivo, evacuare quanti più figli della Gran Bretagna possibile. Tre storie montate in disordine cronologico come piace a Nolan (e a noi); una settimana sulle spiagge, un giorno in mare, un’ora in cielo, destinate ad intrecciarsi in un preciso istante, apoteosi su pellicola.

Splendore bellico
L’occhio nudo vede nella guerra l’orrore, il disgusto per le sue atrocità. L’occhio che la guarda attraverso la cinepresa di Nolan vede bellezza, splendore, un racconto in fotogrammi desaturati dove ognuno di essi suscita le emozioni dei dipinti più vivi e toccanti. Travolgente ed esaltante, grazie ad una tecnica impressionante e fuori dal comune, un talento innato per trasformare celluloide in opere senza tempo e già classiche, riconoscibilissime e distanti da qualsiasi altra pellicola dei suoi colleghi più idolatrati. Opere come Memento, Inception e Interstellar hanno rivoltato thriller e fantascienza, film unici, girati per coprire una mancanza che non sapevamo neanche esistere. Dunkirk riesce nello stesso obiettivo, in una sfida decisamente più impervia, perché il cinema di guerra non ha quasi mai osato essere così asciutto e a tratti visionario. Il pubblico vuole anche la storia minuscola, vuole epicità e due schieramenti che combattono faccia a faccia. Il regista britannico poteva scegliere qualsiasi altro teatro di guerra, ma ha scelto la ritirata, la fuga, ignorando i cliché della spettacolarizzazione e delle frasi ad effetto già sentite migliaia di volte; nessuno inveisce contro il nemico, gli uomini del Terzo Reich sono pressoché invisibili, una minaccia fantasma che colpisce all’improvviso tra la rassegnazione, senza che nessuno si esibisca in facili torpiloqui da “nazisti figli di puttana”, perché sul campo di battaglia, quando c’era di mezzo la propria vita, sicuramente si pensava a tutt’altro. Realtà. Questo è ciò che Nolan ha voluto trasmettere nella pagine della sua risicata sceneggiatura, trasferendola in primi piani dove gli occhi vengono privilegiati rispetto alle corde vocali, sempre.

Il sibilo sempre più vicino di un Heinkel proveniente dal cielo plumbeo, le file di soldati che da piccole righe scure sulla spiaggia diventano puntini impazziti e in preda al panico che si gettano a terra, consci dell’imminente sciame di bombe che li colpirà; una ripresa in campo aperto da far accapponare la pelle. Tommy (Fionn Whitehead) si stende a pancia in giù, occhi chiusi, mani sopra le orecchie mentre le esplosioni alzano sbuffi di sabbia in linea retta, sempre più vicine a lui e alla cinepresa. Situazioni in cui l’estetica va assaporata con le pupille più che letta e descritta, così come il dogfighting tra tre caccia della Royal Air Force, con il loro sublime rombo Rolls-Royce (“il più bel suono che puoi sentire da queste parti, figliolo!”), capitanati da Farrier (Tom Hardy), e i loro omologhi nazisti, ronzanti tra cielo e mare, uno sfondo grigio e blu perenne su cui le riprese danzano, accentuando spettacolarità e solennità delle fasi più adrenaliniche della proiezione, forse i migliori combattimenti aerei mai visti. Il taglio si fa claustrofobico solo nelle sezioni puramente marittime, nella cabina della piccola imbarcazione civile di Mr. Dawson (Mark Rylance), accompagnato dal figlio Peter (Tom Glynn-Carney) e dall’amico di esso, George (Barry Keoghan). Momenti introspettivi, patriottici, in cui il trio, come centinaia di altri cittadini britannici in ansia per i loro ragazzi, si mobilitano con ogni mezzo per andarli a salvare in terra francese, teatro di guerra distante solo pochi chilometri (“Quasi si vede.” “Cosa? “Casa.”) di acqua salata, cupa, tremendamente affascinante. Manca però un tassello fondamentale, che alza da solo il battito cardiaco e accompagna ogni scena incutendo ansia e riverenza nello spettatore, passando per le sue orecchie. Hans Zimmer, pluripremiato compositore tedesco, premio Oscar nel 1995 per la colonna sonora de Il Re Leone, spalla musicale di Nolan in occasione di tutti i suoi più acclamati capolavori che non poteva esimersi dal firmare l’ennesimo spartito per un film che farà la Storia del cinema. Un ticchettio incessante, un’orchestra che suona sinfonie aliene ed elettriche, capaci di instillare il sospetto che la fantascienza possa palesarsi da un momento all’altro, pur sapendo che non accadrà. L’evoluzione e rivoluzione targata Nolan passa anche da questo, un audio disturbante e incessante, dove le musiche si sovrappongono agli effetti sonori, alle parole e viceversa, come in un simbolo dell’infinito formato da onde sonore.

Coro silenzioso
Un cast composto, con coraggio, da volti nuovi, giovani, addirittura alla prima esperienza sul grande schermo, come il già citato Fionn Whitehead, classe 1997 e doti espressive eccezionali, così come Harry Styles, già protagonista di una ribalta clamorosa come componente degli One Direction e perfettamente a suo agio nei pesanti panni di un giovane soldato britannico. Giovani che hanno subito capito il senso dell’opera, emozionando con sguardi, azioni, cenni e giusto i dialoghi necessari a non oltrepassare la linea del surrealismo, accompagnati dagli ampiamente affermati Tom Hardy (protagonista delle azioni più esaltanti, sempre a volto semicoperto) e Cillian Murphy su tutti (quasi presenze fisse sui set del regista), quest’ultimo protagonista di una performance strepitosa; un soldato sotto shock, scampato per miracolo ad un naufragio e salvato da Mr. Dawson, così determinato a giungere nell’inferno di Dunkerque sordo agli isterismi e al giustificatissimo terrore del soldato, che vede riavvicinarsi l’incubo miglio dopo miglio. Un coro di volti, occhi, comparse e protagonisti, di cui l’ormai famosissima scena del molo è il manifesto, certificato di eccellenza di una produzione che ebbe inizio nella realtà in bianco e nero del 1940 fino ad arrivare al moderno tributo e ricordo di un’operazione che cambiò il corso della guerra, raccontata dalla cinepresa che più di tutte sa come stimolare le giuste corde emotive e imprimersi nell’indimenticabile. Solamente dieci lettere.

#LiveTheRebellion