Dopo averci svelato la vera storia dietro l’estinzione dei dinosauri con “L’Era dall’Estinzione”, Michael Bay e i suoi Transformers tornano sul grande schermo a tre anni di distanza, per narrarci, tra quintali di tritolo, la leggenda di Re Artù secondo Cybertron.

Transformers è sicuramente una delle saghe simbolo del cinema commerciale dell’ultimo decennio (esattamente gli anni che sono passati dalla loro prima apparizione sul grande schermo), la cui fortuna si basa soprattutto sulla spettacolarità di un’azione ipnotica e spegni-cervello, unita al carisma esplosivo dei robottoni Hasbro, vero fenomeno cross-generazionale da oltre trent’anni. Dopo aver totalmente cambiato il cast nello scorso capitolo, rispetto alla prima trilogia (dalla quale fanno il loro ritorno alcuni personaggi), e aver incassato oltre 1.ooo.ooo.ooo$ (UN MILIARDO DI DOLLARI, rende meglio l’idea), Michael Bay torna dietro la macchina da presa IMAX per distrarci con fuochi pirotecnici da una trama epica solo nelle intenzioni. Perché quando il momento più emozionante della serata è ricordarsi dove si è parcheggiata la macchina (scoprendo che nemmeno si è trasformata), forse qualche problemuccio la saga comincia ad accusarlo.

Come ti esplodo la leggenda di Re Artù
un transformer alla corte di re artù?
Anche l’italiano è un po’ esploso in questo caso, ma questo uso improprio dei tempi verbali alla “Come ti Spaccio la Famiglia” rende bene l’idea di quello che il team di sceneggiatori alla corte di Michael Bay abbia pensato in fase di scrittura. Il film infatti si apre con un’epica quanto classica scena di guerra medievale, tra catapulte fiammeggianti, scontri all’arma bianca e il tipico fango del suolo d’Albione che fanno da sfondo alle schermaglie tra Sassoni e Inglesi, capitanati dal prode e leggendario Re Artù (Liam Garrigan). La superiorità numerica dei barbari è però schiacciante e solo un miracolo, o meglio, una magia, potrebbe rivoltare le sorti di un destino che pare segnato. E se si parla di magia, si parla di Merlino (un barbutissimo Stanley Tucci) ovviamente, fido consigliere del nostro sovrano e qui in veste di stralunato ubriacone in combutta con niente meno che un cavaliere proveniente da Cybertron (indovinate da dove proviene la leggendaria spada Excalibur), vera fonte dei suoi millantati “poteri magici”.

…meglio un “americano”!
Lo scettro che gli viene affidato dal nobile e metallico guerriero è una reliquia talmente potente da rischiare di segnare il destino della Terra, secoli più tardi, un pianeta sconvolto dagli effetti speciali ad alto tasso di dinamite di Bay, in cui la TRF (Transformers Reaction Force) cerca di stanare e distruggere gli ultimi Autobot e Decepticon rimasti. Uno spiantato Cade Yeager (Mark Wahlberg) e la sua banda di Autobot, capitanata dal rombante Bumblebee, non sono però bendisposti ad accettare questa situazione, lanciandosi in una missione stile WWF “armi in pugno”, per salvare non i teneri panda ma i metallici alieni. Proprio durante una di queste scorribande il nostro eroe si imbatte, in maniera incredibilmente casuale e frettolosa, in uno degli antichi cavalieri protettori dello scettro, il quale, morente, gli affida (o almeno ci prova) un potente talismano che fu del re anglosassone, simbolo del prescelto che salverà il mondo. Proprio da questo misterioso artefatto inizia la sconclusionata serie di vicende de “L’Ultimo Cavaliere”.

Macchine arrugginite
Sulla carta (o sul metallo, se preferite), la trama sarebbe anche interessante; misteri alieni, misteri archeologici, situazioni spassose che non mancano di strappare una risata e un cast, umano e robotico, di ottimo livello. Il vero problema è che vuole raccontare una vicenda epica, con una sempre classica “Terra da salvare”, in questo caso dalla collisione con nientemeno che il morente Cybertron, architettata dalla “creatrice” e insipida villain Quintessa (Gemma Chan), ma lo fa in un modo che è tutto carrozzeria e niente motore. Non c’è pathos, non c’è lotta globale, solo un conflitto oligarchico, dove pochissimi possono fare la differenza, freddo e confuso, con una parte centrale in cui rischia di non scoppiare neanche un palloncino. Questo perché gli sceneggiatori hanno cercato di alzare l’asticella e rendere più profonda la pellicola, riuscendo però solo ad annoiare, lasciando l’incombenza di divertire sulle spalle del copione consegnato agli attori. E bisogna ammettere che ci riescono anche bene, come accennato il precedenza.

Dopo un piacevole inizio il film si spegne piano piano, con un’azione spettacolare ma mai veramente emozionante. Come scambiare la dinamite con un petardo.

Affianco al massiccio Wahlberg, sempre a suo agio, coinvolgente e spaccone quando si parla d’azione e di un’ignorante umorismo quando si tratta di parlare, vediamo l’affascinante studiosa inglese Vivian Wembley (Laura Haddock), che regge il gioco alla grande con battute taglienti e il suo stile particolarmente british, ma soprattutto un sagace e serafico Sir Edmound Burton (il grandissimo, a prescindere, Anthony Hopkins), studioso appartenente ad una società segreta che aveva il compito di mantenere nascosta l’esistenza degli Autobot, che sembra preso in prestito da un’Indiana Jones qualunque, affiancato dai fidi Hot Rod (impossessato dall’accento francese di Omar Sy) e dal maggiordomo psicopatico Cogman (Jim Carter), due tra i migliori bot del film, i quali in toto danno vita alle scenette più divertenti. A questi si aggiunge l’ispanica e ribelle ragazzina Izabella (Isabela Moner), che sembra dover essere spalla fissa di Wahlberg per poi sparire mezzo film nel nulla e la vecchia conoscenza Seymour Simmons (John Turturro), nonché tutto il nutrito cast di Decepticon capitanati da un Megatron molto meno cattivo del solito, ma sempre carismatico.

Un cast che sembra più una lista della spesa (da Peck, visti gli astronomici compensi di cotante star) che nuota controcorrente in un mare di cliché ed esplosioni “spente”, con un evanescente Optimus Prime che diventa malvagio per mano di Quintessa semplicemente con uno schiaffo in pieno volto, tante sezioni superflue, già viste o semplicemente studiate male, con pochi momenti realmente divertenti (come la sezione allo sfasciacarrozze che potete vedere nel trailer, quella merita), spalmati su due, eccessive, ore e mezza di durata, lasciandomi all’uscita con una sensazione che mai avrei pensato di provare guardando Transformers: L’Ultimo Cavaliere, la noia.

Magnesio e potassio per la saga
La sufficienza la raggiunge invece la scenografia, che seppur già vista riesce ad essere comunque interessante, soprattutto nel design virtuale degli ambienti esotici, quali Cybertron e tutta la parte finale su cui stendo un velo di spoiler, mentre troppo poco spazio è stato dato allo spaccato cubano al profumo di Mojito in cui si muove John Turturro, che sarebbe stato spassoso se meglio sviluppato. Niente da dire sugli effetti speciali (accentuati dal sontuoso IMAX 3D), scintille onnipresenti stile compleanno in discoteca a parte, con una perfezione quasi totale raggiunta dalle animazioni dei Transformers e dalla naturalezza dei loro movimenti negli ambienti reali, davvero al top della categoria. D’altronde, se c’è qualcosa che non delude, sono proprio loro e le spettacolari auto in cui si trasformano, prima su tutte la Lamborghini Centenario alter ego di Hot Rod. Detto questo, con un seguito già in cantiere previsto per il 2019, c’è da augurarsi una bella pausa per la saga, che forse ha bisogno anche di un nuovo regista, e viceversa, Michael Bay di nuove sfide, anche se con quegli incassi diventa dura rinunciare a questa miniera d’oro, diamanti e bulloni. Una saga spossata, affaticata, che avrebbe bisogno di tornare alle sue origini, quelle animate degli anni ’80 magari, di cui vi lascio un assaggio la consueta chicca finale, direttamente dal film anno 1986. Sentite che sound da Flashdance mentre incalza la battaglia finale tra Optimus Prime e Megatron. Da farsi la permanente!

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