Pietro Iacullo

Speciale Bayonetta 2: dietro i caratteri della recensione

Si sveglia e l’orologio è tornato indietro di un bel pezzo, pagine strappate dal calendario che sono tornate salde al loro posto. Sono gli inizi del settembre 2014 e le differenze rispetto alla sera prima quando era andato a dormire si faticano ad enumerare. È diverso il letto, in prima battuta, e più in generale è diversa la camera, è diversa la casa. È diversa la redazione, tra facce ormai familiari – se non indispensabili, quantomeno per quanto lo riguarda – che ancora non ci sono e altre che invece col tempo sono sparite, prendendo un’altra strada e sbiadendo nella memoria. E a dirla tutta è diverso anche lui, anche solo da un punto di vista “editoriale”: la vena polemica è sempre tutta lì pronta a saltar fuori, ma emerge meno prepotentemente per lasciar posto a quegli aspetti che solitamente si trovano in una recensione. E infatti probabilmente adesso – se le lancette improvvisamente balzassero di nuovo in avanti, al punto da cui erano partite – affronterebbe la sfida che sta affrontando in quel particolare periodo della sua vita in modo diverso. Migliore? Sì, forse migliore. O forse no.

Sta preparando l’ultimo esame che manca alla laurea. Ma soprattutto, da qualche giorno sta giocando con ampio anticipo a Bayonetta 2.

È difficile cercare di spiegare la situazione e tutto il suo dietro le quinte. In prima battuta, bisogna dire che si tratta di quel titolo che non credeva che sarebbe mai uscito visti i risultati ampiamente sotto le aspettative registrati dal primo capitolo – che nella sua testa, questo ancora oggi, è il gioco d’azione per antonomasia, e uno dei suoi titoli preferiti in assoluto – e che, soprattutto, non si aspettava uscisse in esclusiva su una console come Nintendo Wii U (rischio di vendere un numero di copie ridicolo: 300%). Però quel che conta alla fine è che sia vero, meglio, che sia davanti a lui, contemporaneamente sullo schermo di GamePad e sullo schermo del televisore di casa.

Che altro dire? Ah, sì, che quella recensione non avrebbe nemmeno dovuto farla, che quell’occasione è figlia di alcuni incastri fortuiti e (soprattutto) di chi ha deciso di lasciargli mettere le mani sopra un titolo del genere senza rete di sicurezza. Già, senza rete di sicurezza, visto che la data di scadenza dell’embargo è un lontanissimo tredici ottobre, e prima di quella data non ci sarà virtualmente nessuno con cui scambiare opinioni del titolo, nessuno con cui confrontarsi e discutere il giudizio che da lì ad un mese andrà maturato ed espresso – giudizio che comunque sta già maturando dalle prime ore di gioco. Solo lui e questo road to, mentre nell’aria iniziano a percepirsi quelle nervose scariche di adrenalina che precedono sempre esperienze come queste. Sensazioni già assaggiate fino a quel momento e con cui poi si ritroverà a fare i conti tutto sommato anche spesso, ma che quella volta giocoforza sono diverse, hanno un peso diverso. Più buono? Più buono. È l’equivalente del treno che passa oggi e domani non sai se fermerà di nuovo in quella stazione, perché la prossima volta il titolo non potrebbe significare così tanto per te o potrebbe direttamente non essere il tuo turno per tantissimi motivi diversi, dai più felici ai più tragici.

Masticati per un po’ questi pensieri, ecco che subito però torna su una domanda, banale ma non poi così banale: “e adesso fino al tredici ottobre che diamine facciamo?“.


Per approfondire:
Bayonetta 2
Perché un’anteprima tradizionale sul titolo c’è già, in quell’archivio non ancora consistente come quello memorizzato adesso nel database ma comunque frutto di anni di sforzi congiunti, e quindi che senso avrebbe fare un doppione? Però d’altra parte ci sono tappe da rispettare, articoli che tutti si aspettano vengano scritti, revisionati e pubblicati e c’è anche da tenere presente che un po’ di benzina va tenuta da parte per il gran finale, quella recensione per cui il verdetto è già scritto (“aspetti ancora la versione PS4? #credici”). Ed è a questo punto che rapida così come era arrivata la domanda anche la risposta sale a galla in quel mare di sensazioni.

È facile, in realtà. Guardiamo cosa si può dire e cosa non si può dire (e relative date) e pubblichiamo delle “anteprime tematiche“.

L’idea piace agli altri, fortunatamente piace anche a quel pubblico che più o meno è interessato alle c*zzate che scrive e soprattutto piace anche a lui, perché gli permette di scendere nei dettagli come non mai, facendo paragoni – specie nei primi due articoli del ciclo – con il primo capitolo, andare a scomodare confronti scomodi e alla ricerca di similitudini e differenze. E complessivamente tutto questo lavoro snellisce anche la recensione, che non ha bisogno di “allungarsi” per spiegare pedissequamente come funziona il gameplay del titolo (in larga parte ereditato dallo splendido primo capitolo) visto che l’incombenza è già stata smarcata nella prima delle tre anteprime di avvicinamento.

Cosa resta nella recensione? Praticamente, un prototipo della sua recensione-tipo che maturerà da lì a qualche anno (anche per merito di quelle facce non ancora presenti in organico di cui si parlava prima), meno istituzionale e meno braccata dall’ansia di dover inseguire la chimera della “recensione completa ed esaustiva”: resta molto semplicemente la sua opinione sul titolo, il suo giudizio sulle scelte stilistiche prese dal team e sull’impatto che queste hanno sull’esperienza complessiva. Non è ancora esattamente quello che farebbe adesso – non è ancora uno speciale ma col voto, come ironicamente etichetta questa tendenza degli ultimi mesi – ma sicuramente c’è lui più del solito, anche davanti a quello che hanno fatto gli sviluppatori. C’è una storia di vita giocata che è iniziata su PlayStation 3 (perché si, il primo Bayonetta lo ha giocato sulla versione scarsa che nei titoli di coda recita “Converted By Sega” come se ci fosse qualcosa di cui vantarsi, ma è stato amore alla prima combo lo stesso) e che è finita su Wii U, per diventare poi anni dopo un altro di quegli strani esperimenti editoriali che porta avanti per colpa – perché sarebbe troppo facile dire “grazie” – di alcune persone che per qualche motivo hanno deciso che strano è bello, che tutta ‘sta roba da identità al progetto, alla sezione e a quant’altro. Belle parole che però nascondono dell’altro.

Perché in realtà alla fine ci ha preso anche gusto, perché alle volte – come in questo caso – c’era (c’è) il bisogno di aprire Word e iniziare a percorrere tempo e spazio digitando sulla tastiera.

 

Per ricordare, per fare ordine, perché sì.

#LiveTheRebellion