Dieci anni dopo esserci persi nelle terre selvagge di Into The Wild, Sean Penn “versione regista” ci porta nell’Africa “nera” di rabbia e contraddizioni de Il Tuo Ultimo Sguardo, per raccontarci una delle storie d’amore più potenti degli ultimi anni, ergendo la sua ex, Charlize Theron, a musa divina.

In concorso per la Palma d’Oro al festival del cinema di Cannes e aspramente contestato dai così detti “critici”, aristocratici, altezzosi e sempre pronti a demolire e fischiare (non fischierei neanche a un cane, figuriamoci in una sala cinematografica) un’opera, “Il tuo ultimo sguardo” segna il ritorno dietro la cinepresa, a distanza di ben dieci anni, del due volte Premio Oscar Sean Penn, dopo il capolavoro “Into The Wild” che ci raccontò la natura della Virginia attraverso l’incredibile storia vera del viaggiatore Christopher McCandless. Una vicenda estremamente emotiva, emozionante e toccante, i cui ingredienti vengono riproposti per creare un nuovo piatto; una pellicola che parla al nostro cuore in maniera brutale, colpendoci allo stomaco grazie alla bravura cristallina di altri due Premi Oscar, l’incredibile Charlize Theron e l’immenso Javier Bardem, impegnati in una storia d’amore eterna, sullo sfondo delle barbarie della guerra civile liberiana.

Guerra d’amore
Questo film può essere simpaticamente definito un “mattone” da chi non è portato a questo tipo di vicende, ma fidatevi, vi dico subito che vale la pena vederlo, soprattutto se state amando o avete amato con tutto il cuore una persona. Un continuo scambio tennistico tra passato e presente, nell’arco di una decade, tra il 2003 e il 2014, sullo sfondo ora di Ginevra (dove si erge l’Ufficio delle Nazioni Unite), ora di Monrovia, capitale della Liberia lacerata e sanguinante, ora di un campo di Medici Senza Frontiere nella Sierra Leone. Una soluzione azzeccatissima per un racconto in cui l’ordine cronologico non è di casa, in cui si muovono, incuranti dello spaziotempo, il medico spagnolo Miguel Leon (Javier Bardem) e la dottoressa sudafricana Wren Petersen (Charlize Theron), direttrice dell’organizzazione non governativa Médecins du Monde. Due background molto differenti, due destini molto simili: quello di ritrovarsi in un campo ONU nella capitale della Liberia, poco prima che la città cada in mano ai ribelli. Innamorarsi era il loro destino fin dal principio.

Durante la guerra civile in Liberia, due medici, Miguel e Wren si incontrano per dare vita ad una storia d’amore vibrante e coinvolgente, un diamante in mezzo all’orrore.

Un amore messo continuamente alla prova dalla brutalità di un mondo tanto cristallino e preistorico nella natura, quanto invivibile e ostile in mano agli esseri umani, spinti da un continuo moto di guerra tra povertà, desiderio di conquista e fughe verso un futuro accettabile. Il fil rouge che lega “Il tuo ultimo sguardo” a “Into the wild” è l’abbandono delle sicurezze da parte dei loro protagonisti, per avventurarsi in un percorso misterioso, selvaggio, spinto da ideali più forti del proprio istinto di sopravvivenza. Passano dieci anni, Wren è ormai un alto funzionario alle Nazioni Unite, mentre Miguel è ancora sul campo, con il bisturi in mano e il camice sporco di sangue, entrambi in lotta per portare i riflettori su una situazione disumana a cui nessuno dei due sa bene come far fronte, per aiutare uomini e donne che non sono come noi, “sono noi“. Uno scenario vissuto svariate volte su celluloide in maniera più o meno profonda, ma che in questo film sembra assolutamente inedito, grazie allo stile registico di Penn e alla sceneggiatura di Erin Dignam, che ci fa capire che l’amore è possibile ovunque, anche tra le spire della violenza.

 

Charlize, musa ispiratrice
Mentre su schermo le scene d’amore, le tenerezze, i vibranti litigi tra i due amanti si susseguono potenti come i colpi dei mitragliatori e dei mortai, un amore artistico e carnale lega la protagonista a chi la sta filmando. Nel 2014, quando l’idea di questo film era già stata messa nero su bianco, Sean Penn e Charlize Theron erano compagni, una delle coppie più chiacchierate e apprezzate dello show biz. Nel frattempo la rottura, le riprese, e un amore palpabile da ogni fotogramma. I primi piani sulla quarantunenne e bellissima attrice sudafricana si sprecano. In tenuta sportiva da campo, in tailleur e tacchi a spillo, nuda nella sua tenuta alle porte di Cape Town, mentre la caviglia di Wren viene baciata da Miguel in una delle scene più sensuali ed emozionanti del film, sulle note di Otherside dei Red Hot Chili Peppers.

Sean Penn pone Charlize Theron su un piedistallo, come se fosse una divinità, e lei lo ricambia con una prestazione eccezionale.

Ogni inquadratura della “atomica bionda” (prossimo film in cui la vedremo) fa intendere la passione di chi la guardava attraverso la lente della telecamera, in quello che è un monumento fatto di fotogrammi e pellicola ad una delle attrici più talentuose di tutti i tempi. E lei ricambia, ogni secondo, con una prestazione maiuscola, eccezionale (definita però da alcuni una delle sue performance peggiori. Avranno ragione i professionisti? Vai a sapere), con i suoi occhi azzurri a sottolineare ogni emozione come se l’avesse vissuta sulla propria pelle (e in un certo senso è così, visto che anche nella realtà l’attrice è direttrice di una ONG in Africa). Non è da meno il suo compagno, un Javier Bardem che ha amato in maniera passionale diretto da alcuni dei più grandi registi dei nostri tempi, con il suo Miguel Leon che ricorda in chiave drammatica l’audace spirito libero Juan Antonio diVicky, Cristina, Barcelona” del maestro Woody Allen. Insieme i due danno vita, nel vero senso della parola, ad una liaison degna dei migliori amori hollywoodiani e non, da pelle d’oca e difficile da descrivere a parole. È amore, vero, puro, carismatico, alle volte divertente, alle volte verbalmente violento, fatto di passione e passi falsi, di ricordi da cancellare e da rivivere. Wren dice “prima di incontrare lui, ero solo un’idea di quel che sono adesso“. Questo il pensiero che più di tutti descrive la potenza del loro rapporto e di quello di milioni di coppie che lo stanno vivendo in questo momento, da chi scrive queste righe fino a voi. Jean Reno, Jared Harris e Adèle Exarchopoulos (talento incredibile) arricchiscono un cast eccellente, senza però trovare il guizzo per rivaleggiare coi due protagonisti assoluti, un po’ per ragioni di copione e un po’ per carisma, nonostante il talento che accomuna tutti e che traspare sempre.

 

Violenza e bellezza ai tempi della sfocatura
Esteticamente siamo davanti ad un’opera colta, ricercata, a volte troppo virtuosa e con un uso davvero eccessivo della sfocatura ai lati delle inquadrature, altre volte semplicemente Penn dà l’idea di piacersi troppo. Dalle malsane slum alla bellezza dei panorami della giungla liberiana (passando per l’asettica Ginevra, porto franco di questo racconto), l’Africa delle contraddizioni fa da sfondo sia agli eventi più luminosi e positivi, sia a quelli più raccapriccianti, crudi e quasi insopportabili.

Non c’è spettacolarizzazione gratuita: la realtà della guerra, delle bande di ragazzini drogati e senza futuro, della morte sempre dietro l’angolo e degli esodi è quella tragicamente vissuta ogni giorno a quelle latitudini. Il film non ha paura di colpire duro, e Sean Penn non vuole fare il perbenista, mostrando una terra che può essere sia Paradiso che Inferno in terra. Anche nel male però tornano le contraddizioni, e se qualche ora prima il convoglio dei medici veniva assalito da banditi armati e derubato, la stessa notte, nella foresta a lato della strada, nasce una nuova vita, alla luce delle lampade verdi dei dottori, con un taglio cesareo tra l’eroico e l’incosciente, capace di stringere lo stomaco per realismo e atmosfera. Onnipresente, a chiudere il cerchio audiovisivo di questa esperienza cinematografica, la già citata Otherside della band di Anthony Kiedis e Flea, anche in versione orchestrale. “Red Hot Chili Peppers. La miglior medicina”, come dice Miguel mentre porge una cuffietta ad un suo paziente. Una strofa però fa imbestialire Wren:

Pour my life into a paper cup
The ashtray’s full and I’m spillin’ my guts
She wants to know am I still a slut
I’ve got to take it on the other side

 

Uno dei momenti più leggeri e rilassanti della pellicola, un film che fa venir voglia di amare ancor più di quanto non facciamo ogni giorno.

 

 

Piccola e consueta curiosità in chiusura. Il film doveva originariamente essere diretto da Erin Dignam, rimasta alla sceneggiatura, e interpretato da Ryan Gosling e Robin Wright, altre nota ex di Sean Penn. Tutto in famiglia insomma! Bisogna dire che la coppia sarebbe potuta essere stuzzicante, nonostante la netta differenza di età tra i due, ma comunque è andata di lusso.

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