Qualche giorno fa abbiamo dedicato un approfondimento a quello che la stampa di settore era, un’epoca che (passateci il gioco di parole) sulla carta aveva un fascino che oggi, con un’industria videoludica non più oggetto di culto per pochi ma fenomeno per tutti, qualcuno fatica a comprendere, non avendo vissuto sulla sua pelle gli anni che hanno preceduto la “liberalizzazione di massa” di Internet.
Ma è davvero così?
Le righe che seguono cercheranno di mettere da parte i preconcetti e, per quanto possibile, analizzare la questione senza osservarla attraverso le lenti – spesso sfocate – tipiche della nostalgia;
l’invito, per chi legge, è quello di cercare in parallelo di fare lo stesso, lasciando fuori dalla porta le considerazioni che ormai si è portati a formulare anche solo per abitudine o perché in altri ambiti sono state evidenziate fin quasi alla noia (anche dimostrandosi corrette).
Cosa offriamo in cambio? Uno spunto di riflessione non così banale: Internet ha davvero preso il posto delle riviste di settore, oppure questa “informazione 2.0” ha un fine diverso da quello della carta stampata?
Tutto scorre
L’era delle riviste è tramontata mentre l’industria cresceva. Un caso?
Una delle prime cose che ha dovuto imparare chi ha seguito un corso di Fisica è che
nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. Ma perché questa trasformazione avvenga è necessario che il sistema in osservazione venga stimolato a mutare: senza accendere il fuoco sotto una pentola l’acqua non può bollire, e, allo stesso modo,
senza una valida motivazione alle spalle, la stampa di settore non si sarebbe convertita al digitale semplicemente “perché sì“. A questo punto le considerazioni che si possono tirare in ballo sono due. La prima, come già evidenziato più e più volte su queste pagine virtuali, è che l’industria di oggi è profondamente diversa da quella di ieri. Anche solo limitandosi al volume di uscite annuali di videogiochi, si è raggiunta una massa critica per cui pensare di affrontare le novità con un solo appuntamento al mese si tradurrebbe in una manovra a dir poco controproducente. Un esempio pratico? L’anno scorso, come
I Love Videogames,
abbiamo pubblicato 361 recensioni. Inutile contestualizzare il dato dicendo che un anno conta 365 (
o, nel caso del 2016, 366) giorni, andando a restituire una media prossima ad una recensione al giorno. A questo tipo di contenuti andrebbero poi aggiunte anteprime (sempre in riferimento al nostro caso, l’anno scorso ne sono state scritte 52) e articoli di approfondimento. Pensare di condensare tutto questo in dodici appuntamenti annuali
avrebbe il risultato di creare una situazione di sovraffollamento, dove giocoforza i contenuti ritenuti meno interessanti dal pubblico finirebbero tragicamente in secondo piano. Se si considera poi che da questa analisi abbiamo lasciato volutamente fuori tutto il comparto relativo alle notizie, si capisce come l’esigenza di poter raggiungere il pubblico su base giornaliera abbia sicuramente deposto a favore della rete.
Piaccia o non piaccia, vanno fatte alcune considerazioni sul piano economico
Ma tutto ciò, da solo, non basta a spiegare come si sia arrivati all’odierno declino della carta stampata di settore, e anzi potrebbe suggerire una soluzione più vicina a quanto si vede nel campo dell’informazione “a tutto tondo”, con la pubblicazione quotidiana di giornali. Qui,
ben sapendo che più di qualcuno tra chi sta leggendo è allergico al discorso, va tirata in ballo la questione economica: pur con la leggerezza garantita dall’argomento trattato e messa in conto la passione per il medium da affrontare, la stesura di articoli è a tutti gli effetti un lavoro, e come tale c’è la necessità di retribuire le prestazioni che sommate assieme vanno a creare il prodotto finale. Ed è proprio questo il motivo per cui nel 2017 le riviste di ambito videoludico si sono ridotte in numero, specie qui in Italia.
Molto banalmente, un prodotto scritto in inglese potenzialmente può rivolgersi a lettori ed abbonati in tutto il mondo, mentre dall’altra parte del pianeta (in Giappone) l’approccio al videogioco è completamente diverso da quello occidentale, permettendo a realtà come Famitsu di sopravvivere grazie ad una nutrita schiera di lettori.
Chi scrive in italiano, di contro, può rivolgersi solo ad un bacino di utenti che risiedono nello Stivale o comunque capiscono la nostra lingua, andando a ridimensionare le aspettative sul numero di copie vendute e quindi di guadagno, sia che questo arrivi direttamente (
dalla semplice vendita della rivista come prodotto), sia che arrivi indirettamente grazie alle inserzioni pubblicitarie acquistate da terzi.
La rete in questo senso ha il vantaggio di contenere i costi eliminando una serie di variabili, visto che, mentre l’editore sostiene delle spese per ogni copia stampata, un portale web ha costi tutto sommato fissi e tendenzialmente più contenuti (pagati hosting e manutenzione si è tranquilli fino all’anno successivo, mentre nel caso delle riviste c’è da investire mensilmente sia per la produzione che per la distribuzione). E, oltre a questo,
c’è maggior possibilità di monetizzare il proprio lavoro tramite la pubblicità, visto che nel caso peggiore una piccola realtà può affidarsi a servizi sulla falsariga di AdSense senza dover andare alla ricerca di figuri disposti ad investire acquistando spazi pubblicitari. Intendiamoci,
Internet non è la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto, e non rende automaticamente ricco chi crea contenuti sulla rete, che sul lungo termine deve comunque essere sostenuto da una passione alla base che gli permette di passare ore ed ore davanti al bianco di un monitor da riempire con i propri pensieri, ma in questo senso è un grosso assist anche e soprattutto per realtà meno strutturate, che possono avere quantomeno l’aspettativa di riuscire a coprire i costi per tenere online un sito web (
ne parlavamo ospiti di Nintendon nella puntata del loro podcast dedicata a Bethesda e alla “critica indie”).
Ringraziamo Gianluca Santilio per averci spiegato quello che volevamo fare da grandi: Critica Indie
Si è insomma passati dalla carta al digitale perché la soluzione nel suo complesso è più pratica, e permette di smarcarsi in parte dalla dipendenza dal “pedaggio economico” che, nel caso di una rivista tradizionale, il lettore deve pagare per accedere ai contenuti. Con questo non si intende elevare la rete a bacchetta magica in grado di far scomparire la questione economica,
ma semplicemente riconoscere come questa abbia aperto a nuove possibilità e abbia permesso anche ad altri giocatori, altrimenti confinati in tribuna,
di scendere in campo. Giocatori che poi, magari, a contatto con la cruda realtà dei fatti, si sono scottati e hanno alzato bandiera bianca, ma che comunque senza le possibilità offerte da Internet come mezzo non avrebbero rischiato una manovra del genere.
Come non eravamo
Non abbiamo introdotto a caso, insieme, considerazioni sull’aumento delle informazioni da riportare e su come Internet possa trasformare questi contenuti in opportunità.
I due aspetti vanno infatti a braccetto, e hanno contribuito al processo di trasformazione cui accennavamo in apertura, che non si è limitato solamente al mezzo con cui si arriva al lettore ma
ne ha modificato in buona parte anche il fine. Molti tra quelli che stanno leggendo avranno ormai l’abitudine di consultare giornalmente le nostre pagine o quelle di qualche altro collega (nazionale o internazionale), per tenersi aggiornati sulle ultime novità dal mondo videoludico, dalle questioni più pratiche dedicate a date di uscita e rinvii fino anche a temi più “frivoli” come
le avventure gastronomiche di Hideo Kojima durante la sua vacanza in Italia.
Il passaggio da critica ad informazione ha “nobilitato” i redattori e reso più liberi i lettori
Chi però tra questi lettori ha mai acquistato e sfogliato una rivista dedicata ai videogiochi, a ben pensarci, lo ha fatto con uno scopo essenzialmente diverso: sì, indubbiamente notizie di primaria importanza (come la data di uscita del nuovo capitolo di una data serie) riuscivano a ritagliarsi un certo posto al sole, ma quello che realmente interessava all’utente erano
le recensioni, le anteprime e più in generale le opinioni delle penne messe a servizio della causa. Si acquistava una rivista, insomma, per fruire soprattutto della sua parte più analitica, quella legata alla critica, e non per tenersi informati e venire a sapere delle ultime novità “di contorno” a proposito del medium, al netto di uscite dedicate ad eventi totalizzanti come, all’epoca, potevano essere manifestazioni come l’Electronic Entertainment Expo.
Oggi come oggi, invece, anche in virtù del fatto che il numero di notizie da riportare è cresciuto di pari passo all’esigenza di avere contenuti freschi ogni giorno sui vari portali (
di nuovo, in riferimento a quanto pubblicato su I Love Videogames nel 2016, abbiamo sfiorato le 10.000 news annuali),
il focus si è spostato dalla critica all’informazione, con quest’ultima in grado di schiacciare sul fronte quantitativo i pezzi scritti con lo scopo di dare un’opinione senza limitarsi semplicemente a riportare i fatti. Ricollegandoci quindi al titolo di questo articolo, ironicamente scritto proprio con lo scopo di dire la nostra e non di informare,
Internet non ha mai davvero sostituito la carta: per quanto l’esigenza e l’importanza di far critica non siano scomparse e siano ancora ben presenti nell’economia di un sito che parla di videogiochi, è indubbio che la finalità principale, quella che in soldoni permette di avere un certo traffico sul proprio server per mantenere acceso il server stesso, è quella di fare informazione. L’opinione di chi sta scrivendo è che, in tutto questo,
a guadagnarci (e non stiamo limitando il discorso alla mera sfera economica)
siano stati tanto il redattore quanto l’utente finale.
Da una parte, chi legge adesso ha a disposizione tutti gli strumenti necessari per trarre le sue considerazioni da solo, senza doversi fidare alla cieca dell’opinione di chi sta recensendo un titolo che gli interessa (o di chi ha avuto occasione di provarne una build non definitiva a qualche evento per addetti ai lavori); opinione che comunque è a disposizione di tutti gli interessati, assurgendo allo stato di punto di partenza per un confronto invece di rimanere un parere dogmatico arrivato dall’alto. Dall’altra, per chi, invece, questi contenuti li produce (e qui per forza di cose si entra in un campo
quasi autobiografico), tutto questo si traduce in una sfida: le notizie sono sicuramente e quantitativamente importanti per l’economia di un sito, ma
sono proprio i contenuti che popolano l’area dedicata alla critica a caratterizzare un portale. Qualunque testata, ricollegandoci all’esempio citato prima, può riportare il menu
twittato da Hideo Kojima, ma l’articolo di opinione che state leggendo in questo momento potete leggerlo solo qui su I Love Videogames.
La sezione Speciali di I Love Videogames alterna citazioni dantesche a foto di Kratos in posizioni compromettenti. Ecco cosa intendiamo per “dà carattere”
Più le cose cambiano, più restano uguali
Leggere era una forma di svago prima e lo è ancora adesso…
Nell’articolo
di qualche giorno fa, si diceva come la “magia” dietro il mondo che le riviste stampate portavano a casa del giocatore, quel senso di scoperta tipico del non sapere
vita, morte e miracoli di un progetto prima che questo effettivamente arrivasse sul mercato (e di conoscerlo in buona sostanza solo grazie all’esperienza “di seconda mano” del redattore di turno), fosse scomparso in favore di formati più vicini alla formula dell’intrattenimento.
È davvero, onestamente, così? Per quanto, come detto, lo scopo di una rivista fosse in prima battuta quello di fare critica, si può comunque dire, senza andarne a denigrare il lavoro, che, anche nel caso della carta stampata (
e, per estensione, nel caso di chi come noi pubblica anche contenuti pensati per fare critica),
anche questa fosse e sia tutt’ora una forma di intrattenimento, per chi legge e per chi scrive. Alla fine, se siete arrivati a leggere questa frase non avete comunque dedicato un certo tempo a questo articolo, che vi ha tenuti impegnati (si spera) interessandovi e magari divertendovi? La definizione di intrattenimento è alla fine proprio questa, per cui nella testa di chi vi scrive l’esigenza di dover etichettare il tipo di contenuto proposto sulla base del formato utilizzato per confezionarlo (si tratti di un articolo su carta stampata, qualcosa di pubblicato in rete o anche di un video caricato su YouTube) non è così sentita, e la transizione da un approccio all’altro sta più che altro, come detto, nello scopo dietro il materiale realizzato.
… E se volete “il fascino del mistero” basta correre dei rischi
E, a ben vedere, anche per quanto riguarda la problematica (o presunta tale) legata al “sapere troppo” di un dato prodotto le cose non sono cambiate nella totalità dei casi: tralasciando chi decide volutamente di non voler sapere più di quanto ritiene necessario su un titolo di suo interesse, in un mercato ricco come quello che abbiamo a disposizione oggi, se si decide di compiere una sorta di
salto della fede rivolgendo le proprie attenzioni verso prodotti che sono sfuggiti ai propri radar (e considerato il numero di videogiochi pubblicati ogni anno,
siamo sicuri che esista qualcosa di cui non avete mai sentito parlare, anche in prossima uscita), è ancora possibile rimanere sorpresi e sentire quell’atavico fascino legato alla scoperta data dall’esplorazione diretta. Tutto questo avviene proprio come accadeva qualche anno fa, nel bene e nel male, quindi anche con il rischio di andare ad imbattersi in prodotti al di sotto delle aspettative personali. Non è una situazione alla
Video Killed the Radio Star e
Internet non ha abolito il libero arbitrio: sta al consumatore decidere
se e quanto informarsi, e quando correre dei rischi. Non per questo vanno biasimati quei giocatori che, invece, preferiscono evitare le proverbiali
sole e investire i loro risparmi andando sul sicuro.
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