Dead Phoenix (Nintendo Gamecube)
Annunciato come uno dei mitici Capcom Five, cinque titoli che sarebbero dovuti uscire in esclusiva per Nintendo Gamecube (Dead Phoenix, Viewtiful Joe, Killer7, Resident Evil 4 e P.N.03, unico titolo ad essere rimasto effettivamente esclusivo per il cubo), questo misterioso titolo ebbe vita molto breve. Annunciato nel 2002 insieme ai suoi 4 fratelli e cancellato appena un anno dopo, Dead Phoenix sarebbe dovuto essere uno sparatutto in terza persona interamente basato sulle abilità di volo del protagonista, dotato di un paio di fiammeggianti ali (di fenice immaginiamo), che gli avrebbero permesso di volare attraverso gli ampi scenari di ispirazione mitologica che il titolo prevedeva, e di una demoniaca mano utile per fare fuoco sui nemici. A quei tempi, il noto portale IGN aveva speculato sul fatto che Dead Phoenix potesse essere riadattato per creare un nuovo capitolo della serie Kid Icarus, dato che Nintendo era solita affidarsi a Capcom (e altri studi third party) per lo sviluppo di alcune sue IP, come alcuni degli episodi di The Legend of Zelda. Questi rumor non sono stati certo confermati, è però interessante comparare il gameplay che potete vedere poco più in alto con quello di Kid Icarus Uprising, curato da Masahiro Sakurai e dal suo team Project Sora, uscito su Nintendo 3DS 10 anni dopo l’annuncio di Dead Phoenix, potendone notare alcune analogie.

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Devil May Cry (PSP)
È possibile cancellare un progetto prima ancora che questo venga messo effettivamente in produzione? Quando c’è di mezzo Capcom apparentemente si. Nel 2005, all’annuncio di PSP, la casa di Osaka aveva pubblicamente manifestato la sua intenzione di portare sulla neonata portatile di casa Sony alcuni dei suoi franchise principali; la serie inventata da Hideki Kamiya e poi ereditata da Hideaki Itsuno (suoi il pessimo Devil May Cry 2, l’ottimo Devil May Cry 3 e lo sterile Devil May Cry 4) non poteva di certo rimanere esclusa da questo peregrinaggio, specie se si considera la popolarità di cui godeva in un epoca in cui era appena uscito sugli scaffali il terzo capitolo.

 

 

In un perfetto esempio di come non tutte le intenzioni poi vadano a concretizzarsi su disco (o in questo caso, su UMD) Capcom non dirà praticamente altro sul progetto, citato brevemente sul sito ufficiale giapponese della casa successivamente rimossa. La conferma definitiva sulla cancellazione del titolo arriva nel 2009 per bocca di Famitsu, che rivela il dietrofront di Capcom e annuncia la cancellazione di un titolo mai effettivamente annunciato.

StarCraft: Ghost (PS2/Xbox/GC)
Quando si pensa a Blizzard si pensa sempre a videogiochi iconici e di successo; la longeva e rinomata saga MMORPG World of Warcraft, la mitica serie Diablo e Overwatch, FPS online fresco vincitore del premio Game of the Year ai The Games Award. Ma anche in una storia così ricca di incredibili successi ci può essere una belante pecora nera, per la precisione uno spin-off che tanto bene prometteva ai tempi dell’annuncio, ambientato nel mondo di un’altra serie pluripremiata, quello StarCraft delizia degli strateghi in tempo reale; stiamo parlando di StarCraft: Ghost, digressione in salsa TPS/Stealth di uno dei giochi per PC più amati di sempre. Il titolo fu annunciato nel 2002 per PlayStation 2, Xbox e Gamecube (stranamente non era in programma una versione PC, dove la saga nasce), impressionando gli addetti ai lavori con una veste grafica all’avanguardia e la promessa di qualità garantita da Blizzard. Lo sviluppo fu abbastanza travagliato, affidato a Nihilistic prima e a Swingin’ Ape Studios (acquistata da Blizzard nel 2005) poi, il titolo fu protagonista di un’interminabile sequela di rinvii e riannunci (come quello dell’E3 2005) che trascinarono lentamente il gioco nell’oblio del dimenticatoio. Nel frattempo, colei che sarebbe dovuta essere la protagonista di Ghost, Nova, divenne un personaggio di StarCraft II: Wings of Liberty. Qualche tempo dopo il presidente di Blizzard, Michael Morhaime, ammise che l’inaspettato successo di World of Warcraft e lo sviluppo di StarCraft II assorbirono tutte le risorse del team, condannando Ghost a questa nostra top 10.

Doom 4
Doom 3 è una curiosa anomalia all’interno della serie che ha sdoganato lo sparatutto in prima persona. Di fatto si tratta di un reboot per il franchise, e pur recando nel titolo il numero tre non ha praticamente nulla in comune con l’approccio ludico seguito dai primi due titoli della serie, cavalcando una certa deriva horror che non trova altre corrispondenze nella storia editoriale della saga. Anche Doom 4, prima di diventare il Doom arrivato finalmente sugli scaffali l’anno scorso, sembrava essere un prodotto fondamentalmente diverso da quello realizzato da id Software nel 2004, ricollegandosi idealmente a quanto visto in Hell on Earth e ambientando le vicende sulla Terra, con un gameplay che nelle intenzioni degli sviluppatori doveva tornare alle origini e arginare l’onda del terzo capitolo (non un altro reboot, ma nemmeno un sequel diretto del precedente). Dopo l’annuncio della messa in cantiere del tutto nel 2008 su Doom 4 si sono spese, ovviamente, parole al miele che non hanno fatto altro che pompare i mantici delle aspettative. John Carmack dichiarò quasi subito che, dal punto di vista tecnologico, sarebbe stato “tre volte meglio” di Rage, sfruttando la possibilità di limitare il frame rate a 30 fotogrammi al secondo su console (laddove Rage puntava ai 60 fps) in modo da poter dedicare maggiori risorse alle componenti prettamente grafiche. Di nuovo nel 2011 è Carmack a prendere la parola in occasione del QuakeCon, parlando di come il titolo sfrutti un nuovo linguaggio di scripting basato su C++ e ribattezzato “Super Script”. Nel 2013 però qualcosa è decisamente andato fuori controllo, visto che il progetto è in alto mare e sembra mancare di quella personalità che ha sempre caratterizzato il brand, tanto che più di qualcuno inizia a vedere tantissime (troppe) similitudini con la serie Call of Duty di Activision (nel mentre diventata la vera e propria regina dello sparatutto in prima persona) e inizia a riferirsi a Doom 4 con il nome spregiativo di “Call of Doom”. Il resto è una storia che vede Bethesda avere il coraggio di dare l’eutanasia al progetto, riorganizzare le idee e finalmente arrivare sugli scaffali con quella lettera a cuore aperto alla serie che è il Doom classe 2016.

Legacy of Kain: Dead Sun
Doveva essere il grande ritorno di Legacy of Kain sugli scaffali, e invece Legacy of Kain: Dead Sun è riuscito soltanto a rendere evidente quanto il tempismo possa essere essenziale in certe situazioni. Pensato originariamente come titolo per PlayStation 3 e Xbox 360 e decidendo deliberatamente di distaccarsi dall’intricata storyline dei precedenti capitoli (pur comunque conservando un deciso numero di riferimenti a questi), il titolo doveva essere affrontato su due fronti, lato sviluppo: da una parte l’esperienza in singolo, affidata a Climax Studios (Silent Hill Origins e Shattered Memories), dall’altra il multigiocatore a cura di Psyonix (autori del recente Rocket League). Quest’ultima componente, come l’Impero Romano d’Oriente separatosi dalla sua altra metà, riuscirà a sopravvivere per qualche tempo diventando Nosgoth, fino a che lo scorso Maggio Square Enix ha definitivamente spento i server del prodotto. Molto più sfortunata comunque la “metà” in single player, visto che a causa di un Unreal Engine 3 ormai sul viale del tramonto, e di alcune meccaniche particolarmente esose (come quelle legate ai due “regni” sovrapposti con cui interagire) riuscire a far funzionare il tutto con prestazioni accettabili sulle console di vecchia generazione era una sfida decisamente tosta. D’altra parte però, almeno secondo Square Enix, era troppo presto per passare esclusivamente alla nuova generazione, promettente dal punto di vista delle vendite e più accomodante dal punto di vista delle risorse, ma comunque con una base installata non paragonabile a quella di PlayStation 3 e Xbox 360. Una fonte anonima interna allo sviluppo nel 2015 dirà che il prodotto che il team stava realizzando era qualcosa di molto simile a quello che poi è stato Middle Earth: Shadow of Mordor, specie nelle sue parti open world che di Dead Sun rappresentavano “l’hub” (così lo definiviano gli sviluppatori). Dall’hub doveva poi essere possibile accedere ai dungeon, vero cuore pulsante del prodotto, tutti differenziati tra di loro e provvisti di un loro carattere, di enigmi e di boss fight. Tanta carne al fuoco, forse troppa per un team di sviluppo ambizioso, ma che sempre secondo la fonte con il senno di poi forse era un po’ troppo piccolo per realizzare un prodotto del genere, con una qualità da titolo “tripla A”, in una finestra di tempo relativamente stretta.

Il retaggio dei giochi cancellati
Per noi appassionati non è mai piacevole assistere alla cancellazione di un gioco, magari atteso per anni e alimentato da immagini, video e dalla nostra fantasia, pensando che un giorno, dopo una faticosa giornata lavorativa avremmo potuto giocare a quel titolo che pareva così appassionante. La verità è che poco ci possiamo fare e dobbiamo accettare le logiche di mercato di un mondo che prima di tutto è business, il quale in pochi minuti può spazzare via il lavoro di interi team di sviluppo, designer e direttori che magari non hanno le spalle larghe e il curriculum di Kamiya e Kojima. Per non dimenticare il lavoro e gli sforzi di questi sviluppatori, alcuni appassionati hanno fondato il portale Unseen64, dove hanno archiviato con precisione da bibliotecari tutti i titoli mai usciti della storia, le beta di inizio sviluppo e tante altre chicche e curiosità per chi vuole darsi un po’ all’archeologia videoludica.

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