Pietro Iacullo

Speciale PlayStation e la cultura dello spot pubblicitario

Piaccia o non piaccia, da che Sony è scesa in campo con PlayStation è sempre stata uno degli attori principali per il mercato. C’è indubbiamente lo zampino del colosso giapponese in quel periodo di transizione che ha segnato il passaggio dalle due alle tre dimensioni, e altrettanto indubbiamente se oggi l’industria videoludica è riuscita a diventare un fenomeno così di massa è anche grazie ai milioni di console che il marchio è riuscito a far entrare nelle case di tutti, soprattutto con PlayStation 2 che ancora oggi è la console più venduta della storia. Gran parte di questo processo è passato, logicamente, per le varie campagne marketing e di conseguenza per gli spot che hanno accompagnato la macchina di turno (nel bene, ma come vedremo anche nel male) durante questo ciclo vitale di oltre 20 anni. E proprio grazie ad alcuni spot vogliamo ripercorrere alcune di queste tappe, un po’ perché da appassionati a tutto tondo ci piace discutere anche di quello che è il contorno della portata principale videoludica, un po’ perché non siamo del tutto d’accordo con chi demonizza sempre e comunque il “dio denaro” e siamo inevitabilmente affascinati anche dalle pubblicità e dalle idee che stanno dietro queste campagne.

Non sottovalutare la potenza di PlayStation
La parola chiave? Irriverenza. PlayStation è un prodotto ribelle che prende le distanze dalla concorrenza
Torniamo indietro al 1995. Abbiamo già avuto modo di vedere come questi anni, questa generazione, siano stati quelli che hanno dettato la direzione presa dal medium videoludico fino ad arrivare a oggi. Non sono solo gli anni della transizione 2D/3D o quelli in cui la narrazione e la cinematografia entrano di prepotenza: sono gli anni in cui in pratica i videogiochi iniziano a parlare anche ad un pubblico più maturo e cercano di emanciparsi. Anni prima Nintendo aveva avuto la (brillante, visto che praticamente ha salvato l’industria) idea di distribuire le sue console attraverso catene che si occupavano di produrre e distribuire giocattoli, subito seguita dalla concorrente diretta Sega. Nel ’95 però, mentre Jerry Cala parlando di Sega Mega Drive ci ricordava che “ocio però, sono Giochi Preziosi” (alludendo al distributore italiano) Sony vendeva PlayStation come un prodotto fondamentalmente ribelle. È chiaro già dal primo spot arrivato alle nostre latitudini, dove la fantomatica S.A.P.S. (Società Anti PlayStation) metteva in guardia contro i pericoli della prima PlayStation, che poteva sembrare “un innocuo tostapane” ma nascondeva all’interno “una ciambella micidiale”, capace di far perdere agli utenti il senso della realtà ed “entrare in un altro mondo”. La chiusura non lasciava spazio ad interpretazioni: non sottovalutate la potenza di PlayStation.

E parlando di atti di ribellione, cosa poteva esserci di peggio (soprattutto in quegli anni) della mancanza di rispetto verso i più anziani? Ed ecco quindi che Sony confeziona una pubblicità in cui, “sedute” sul divano, diverse PlayStation si fanno letteralmente beffe di Pong (uno dei mostri sacri della prima era videoludica), lasciando sottintendere un malcelato senso di superiorità sul fronte prestazionale, uno dei temi portanti (come abbiamo visto) di questi primi passi in un mercato che stava inevitabilmente cambiando faccia. Il messaggio è chiaro e si rivolge direttamente a quel pubblico di ragazzini degli anni ’90, in un perfetto esempio dell’effetto “comprami Tempesta d’ossa o va all’inferno” che poi i Simpson parodieranno.

Questa tendenza a dissacrare lo status quo nello spot “Greatest Hits” si andava a combinare con una delle idee più indovinate dal punto di vista hardware della prima PlayStation (che è soprattutto una delle più grandi cantonate anacronistiche mai prese da Nintendo): l’abbandono delle cartucce in favore del più moderno CD-ROM come supporto di memorizzazione per i giochi. Una strada che inevitabilmente lasciava più libertà di manovra sul fronte della pirateria, ma che d’altra parte non solo permetteva agli sviluppatori di pensare alle proprie opere senza porsi problemi di spazio (i CD avevano e hanno un costo irrisorio rispetto alle cartucce, per cui non era un problema confezionare un gioco su più dischi), ma consentiva anche manovre decisamente aggressive lato prezzi. In pratica: scegliendo il CD Sony poteva da una parte vendere titoli come il primo Metal Gear Solid o Final Fantasy VII ben sapendo che non sarebbero mai potuti arrivare su Nintendo 64, e dall’altra vendere alcuni titoli come “Greatest Hits” a prezzi ribassati, occupando la fascia alta di prezzo con i suoi “Leading Titles”. E quale modo migliore di sbandierare un’operazione del genere di una parodia delle classiche pubblicità che vendevano raccolte musicali?

Strano è bello
PlayStation 2 vede grandi nomi dietro i suoi primi spot
La già citata era di PlayStation 2, tanto cara a qualsiasi videogiocatore che abbia mai preso un pad in mano, è caratterizzata dalla presenza di spot televisivi estremamente particolari. Ne è la prova lo spot “The Third Place” del 2000 dove Sony, per sponsorizzare PlayStation 2 in Europa, contattò il visionario regista David Lynch (non dobbiamo dirvi chi è, vero?!) per la realizzazione di uno spot che, al giorno d’oggi, risulta ancora tra i più strani sul mercato. Basato su uno studio sui consumatori durato 18 mesi, la pubblicità era pensata per conquistare gli early adopter, ovvero quelle persone che, al lancio di un nuovo prodotto tecnologico, non vedono l’ora di metterci sopra le mani. Nonostante lo stile del regista sia del tutto inconfondibile, le reazioni del pubblico non furono però quelle auspicate dal reparto marketing di Sony e lo spot venne considerato in poco tempo solamente “strano” e neanche “interessante”.

La particolarità degli spot targati “The Third Place”, però, non si ferma qui e Sony ci riprova con un’altra pubblicità questa volta legata alle emozioni umane. Dopotutto, dopo la prima PlayStation il bacino d’utenza dei videogames si è notevolmente ampliato, e siccome uno degli elementi che non cambiano mai tra i giocatori (siano essi di 10 o di 50 anni) sono proprio le emozioni, il colosso nipponico decise di puntare proprio in quella direzione per calamitare il pubblico. L’esito è qualcosa di sicuramente più “user friendly” rispetto allo spot di Lynch, ma ancora una volta la pubblicità finisce per essere inquietante e, soprattutto nel finale, lasciare una strana sensazione nel cuore dello spettatore.

Le stranezze degli spot di PlayStation 2 non finiscono comunque qui! Anche lo spot “Multispeed” non rientra all’interno di quelli che potremmo definire “pubblicità normali”. Cosa dite?! Neanche quelle dei profumi lo sono?! Siamo assolutamente d’accordo, ma pensiamo anche che uno spot dedicato a una console di videogames dovrebbe riuscire nell’arduo compito di parlare a più fasce d’età, senza però trattare gli adulti come bambini e i bambini come adulti. In ogni modo, prima di passare oltre, ci facciamo notare come la colonna sonora di questo spot (Clair de Lune) sia poi entrata nell’immaginario cinematografico con Oceans Eleven e nel cuore di tutti i videogiocatori con The Evil Within.

Molto più vicina agli standard successivi degli spot Sony, è la pubblicità “Fun Anyone”. Nonostante il fatto che, riguardando questo video al giorno d’oggi, sia inevitabile ripensare a World War Z, lo spot riesce a trasmettere un messaggio chiaro e tondo: tutti vogliono PlayStation 2. Ed era vero! Tutti volevano PlayStation 2 e, abbandonate le atmosfere inquietanti e le musiche malinconiche, i ragazzi del marketing Sony decisero di puntare su una canzone più allegra, capace di rimanere facilmente in testa e con un messaggio tanto chiaro quanto semplice. Volete l’ultima console Sony? Correte a prenderla immediatamente, prima che lo faccia qualcun altro!

It only does Everything
L’era PS3 inizia in sordina…
La terza era, quella di PlayStation 3 e della prima parte del ciclo di PlayStation Vita, si apre indubbiamente male. Sony arriva dallo strapotere dell’epoca di PlayStation 2, da un monopolio che, complice forse anche il successo di PSP, rende la casa un po’ troppo sicura dei suoi mezzi mentre la concorrenza, con un anno di vantaggio (due per quanto riguarda l’Europa), si organizzava e si preparava a colpire duro. L’emblema di questo atteggiamento da “pancia piena” dopo i successi della generazione precedente la si ha già con uno dei primi spot, dove si rimane parecchio sul concettuale e l’effetto finale è straniante.

Sicuramente non si è corsi in massa a comprare PS3 dopo un commercial del genere, e non lo si farà per qualche anno ancora. E il ciclo “This is Living” della campagna pubblicitaria non andrà molto meglio, soprattutto se si considera che poi di fatto PlayStation 3 non si vede nemmeno direttamente nella campagna pubblicitaria.

…Ma poi Sony trova la quadratura del cerchio
Le cose miglioreranno quando, molto banalmente, Sony tornerà a comportarsi come Sony: l’intuizione questa volta è quella di inventarsi un personaggio come Kevin Butler, a seconda dello spot presentato come vice presidente o responsabile di questa o di quell’altra divisione fittizia della compagnia (vice presidente dei “Grandi Momenti d’Azione” per Uncharted 2, Responsabile regionale della guerra per God of War 3 e anche direttore dell’ufficio “conferme dei rumor” nel caso del price drop del 2009 di PlayStation 3). Una vera e propria icona, che arriverà anche sul palco dell’E3 durante la conferenza della compagnia del 2010, dando vita ad un siparietto pensato appositamente per compiacere gli appassionati del marchio PlayStation. Ed è questo l’altro grande cavallo di battaglia di quegli anni: lo slogan dell’ultima era, il famoso “This is for the Players” di PS4, è semplicemente l’effetto ultimo di queste manovre. Impossibile a questo proposito non parlare di quello che è probabilmente lo spot più iconico di questa fase: Michael, che vede le varie icone videoludiche (non solo quelle di casa Sony come Kratos o Cole McGrath di inFamous, ma anche Old Snake da Metal Gear Solid 4 e Chell da Portal) celebrare il giocatore, appunto Michael, che di fatto è quello che gli ha permesso di compiere le grandi azioni che hanno compiuto nei rispettivi titoli di appartenenza.

This is for the players
This is for the Players è il punto di arrivo
La generazione di PlayStation 4 è sicuramente da considerare come il punto più alto di tutto il marketing Sony. Il messaggio “This is for the players” diventa la tag-line ufficiale per qualsiasi elemento pubblicitario dedicato al reparto videogames del colosso nipponico e riuscirà ad aprirsi un varco nei cuori dei videogiocatori non solo tramite gli spot televisivi, ma anche grazie a una serie di geniali immagini pubblicate tramite le pagine ufficiali di PlayStation sui social. Forti anche di un budget decisamente più alto rispetto al passato, Sony lancia sul mercato PlayStation 4 con una pubblicità meno emotiva, ma più votata agli effetti speciali e alla spettacolarità. Evolvendo il concetto dello spot “Michael”, ora tutti siamo videogiocatori. Tutti conviviamo ogni giorno con i nostri brand preferiti che, pad alla mano o meno, ci accompagnano per le strade, sui taxi e al lavoro. E la vita da gamer non è mai stata tanto bella.

A ribadire questo concetto arriva anche lo spot “A Day With PlayStation” che, in modo meno d’impatto, ma mostrando l’effettiva praticità delle funzioni di PlayStation 4 e PlayStation Vita (con una connessione internet giapponese), ci permette di capire come i videogames si siano evoluti e come siano entrati a far parte delle nostre vite a 360 gradi. La possibilità di giocare ovunque e con chiunque, la presenza di titoli vecchi e nuovi, la possibilità di giocare per divertirsi o in modo più competitivo e le nuove funzioni social sono i punti chiave di questa lunga pubblicità che, più che emozionare, ha una funzione senz’ombra di dubbio didattica.

L’utente, di nuovo, viene messo al centro di tutto e celebrato
Ok, abbiamo capito che Sony sa fare gli spot e come funzionano le console (fisse o portatili che siano) sulla piazza. E ora?! Il passo successivo per PlayStation è quello che, a nostro parere, risulta essere il più convincente: fidelizzare il giocatore facendogli capire quanto esso è importante. Avete presente la frase Cogito Ergo Sum (Penso Dunque Sono) di Cartesio? Bene: Sony prende queste parole e le trasforma in Gioco Dunque Sono, allestendo uno spot a dir poco sensazionale da un punto di vista scenico e mettendo i giocatori al centro di tutto. Noi siamo i giochi che giochiamo. Siamo tutti diversi, perché ognuno dotato dei propri gusti e delle proprie passioni, ma siamo allo stesso tempo tutti utenti PlayStation. Per coloro già in possesso di una console Sony questo non può che dare l’idea di far parte di un gruppo d’élite e, di conseguenza, l’utente che deve ancora scegliere per quale “fazione videoludica” schierarsi viene invogliato ad entrare in quella che sembra essere una vera e propria famiglia di appassionati di videogames. È in questo momento che il reparto marketing di Sony ha vinto tutto. Il momento nel quale, per sponsorizzare videogames, si decide di concentrarsi non su di essi ma sulle persone. Perché, senza le persone, che senso avrebbe realizzare videogiochi?!

La strada è tracciata. Cosa fare per migliorare ulteriormente quella che ormai è la linea da seguire per conquistare il pubblico?! Semplice: più effetti speciali, meno parole, una musica d’impatto e quel pizzico di “Michael” che ha contraddistinto lo spot per PlayStation 3. Il risultato è “The King”, ultima pubblicità targata Sony che, ancora una volta, riesce a far breccia nei cuori dei videogiocatori e a spostare ancora più in alto l’asticella della qualità in uno spot TV. Asticella che, ormai, sembra essere del tutto irraggiungibile da parte della concorrenza e che, ne siamo certi, potrà in futuro essere raggiunta solamente dallo stesso reparto marketing di Sony, capace ormai di stupire di mese in mese.

Come per il cinema, la letteratura, i fumetti e i videogames, realizzare degli spot significa comunicare tramite un linguaggio unico e inimitabile dagli altri media. Lo avrete ormai capito leggendo tutto questo lungo articolo, ma ci teniamo a ribadirlo: i tempi sono cambiati e con essi sono cambiati anche i metodi con i quali fare pubblicità. L’unica cosa che non è cambiata, e che non deve cambiare mai, è la nostra voglia di accendere una console e di tuffarci all’interno della nostra passione più grande: i videogames. 

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