Recensione DOOM (Switch)

Doom, una delle serie più importanti ed influenti della storia dei videogiochi, è finalmente tornata su una console Nintendo. C’è uno strano rapporto tra la casa di Mario ed ID Software, un rapporto che con alti e bassi ci ha in passato regalato port più o meno convincenti su Super Nintendo e GameBoy Advance ed addirittura un capitolo esclusivo per Nintendo 64. Nonostante questo l’arrivo su Nintendo Switch di quel nuovo Doom che lo scorso anno ha stupito e convinto praticamente chiunque è un piccolo evento. Doom è il primo FPS su Switch, è il primo tassello di un supporto da parte di Bethesda tutt’altro che pigro (basti pensare a Skyrim ed al futuro port di Wolfenstein II), è uno dei pochi “giochi maturi” sulla piattaforma ed è un vero e proprio port impossibile, che dimostra sia quanto possa rendere Switch nelle mani di programmatori capaci sia l’enorme scalabilità del motore grafico di ID Software.

 

Un port impossibile… o no?
La buona riuscita del port Switch di Doom non era affatto scontata ed i precedenti tutt’altro che incoraggianti. Negli anni ’90 praticamente qualsiasi conversione console del primo Doom presentava problemi di performance o di fedeltà alla controparte PC, mentre un decennio più tardi perfino la versione di Doom 3 per la prima Xbox era stata ridimensionata in maniera evidente. Il team Panic Button, responsabile della versione Switch del titolo 2016, deve aver però stretto un patto con qualche demone infernale: Doom su Switch è un’esperienza di gioco fedele e completa, che conserva interamente l’essenza ed il feeling del titolo dello scorso anno senza sacrificare alcuna funzione o livello.

Il prezzo da pagare per questo immane lavoro di adattamento su di una console dal punto di vista tecnico inferiore alla concorrenza e volendo sotto il livello dei requisiti minimi della versione PC è stato una serie di inevitabili compromessi grafici, compromessi che però impattano sull’esperienza di gioco in maniera estremamente blanda. Non solo si è passati dai 60 FPS delle altre versioni ai 30 di quella Switch, ma la risoluzione, nominalmente di 720p, in realtà viene scalata automaticamente nei momenti più concitati. Il risultato è una qualità d’immagine molto sporca, che da quasi l’impressione di star guardando un filmato troppo compresso. Nonostante queste limitazioni il gioco è ancora riconoscibilmente Doom, ed in particolare se si gioca in modalità portatile tutto questo diventa molto meno evidente ed importante: a conti fatti ci troviamo di fronte all’FPS portatile più graficamente intenso di sempre. Nel mondo handheld non esiste infatti niente di lontanamente paragonabile a Doom per Switch e questo è già un risultato degno di nota. Prima dell’uscita del gioco aveva destato preoccupazione l’abbassamento del Frame Rate a 30 FPS. Se da un lato gli sviluppatori sono riusciti a conservare tutta la frenesia e l’impatto del gameplay di Doom, anche grazie ad un sapiente uso di motion blur ed altri effetti che mascherano la frequenza di aggiornamento più bassa, quando a schermo sono presenti grandi numeri di nemici possono verificarsi dei cali di frame rate anche piuttosto evidenti. Sfortunatamente, tenendo a mente le limitazioni grafiche della piattaforma, non crediamo fosse possibile fare altrimenti. Di tutte le versioni di Doom, quella Switch è quella con i compromessi grafici più grandi ed evidenti, soprattutto se si gioca in modalità docked piuttosto che portatile. La buona notizia è che il risultato finale è comunque soddisfacente al netto dei problemi, e che ci troviamo di fronte ad una esperienza di gioco pressoché intatta su portatile.

Confronto Doom Switch e PS4

 

“Esperienza Doom”
Non è un caso che si parli di esperienza di gioco più che di esperienza visiva o simili. Doom è in primo luogo un gioco viscerale, istintivo, con un gameplay loop di una semplicità spiazzante e brillante allo stesso tempo. Da anni gli sparatutto ci hanno abituato ad un gameplay metodico e progressivamente sempre più lento, di volta in volta all’insegna di un approccio più ragionato (come se questo fosse sinonimo di profondità di gioco) o più cinematografico. La mira attraverso il mirino, le coperture, la salute rigenerativa potevano essere un’innovazione 15 anni fa, ma l’averli trasformati in caratteristiche standard ha portato ad una evidente stagnazione del genere. Doom rigetta tutto questo, con un design che è contemporaneamente un tributo a tempi in cui tutto era più semplice ed una brillante innovazione. In Doom non ci sono due diverse velocità di movimento, si corre sempre. Non ci sono tempi di ricarica, non si usano gli iron sights, non c’è salute rigenerativa. Le mappe non sono percorsi lineari ma ci si trova di nuovo alla ricerca di chiavi di vari colori in ambienti più o meno complessi. Ma la vera e brillante intuizione è l’implementazione delle glory kills: uccisioni corpo a corpo di un nemico già gravemente danneggiato che rilasciano un certo quantitativo di salute per il giocatore. Questa caratteristica, che potrebbe di primo acchito sembrare puramente funzionale all’estetica brutale e gore del gioco, è in realtà fondamentale. Se i classici FPS con salute rigenerativa spingono infatti il giocatore a prendere copertura, nascondersi o scappare quando si viene danneggiati, in Doom viene premiato il costante ed inesorabile assalto frontale. Il modo più semplice ed immediato (oltre che visivamente gratificante) di sfuggire a situazioni di morte certa è continuare ad attaccare, ridurre le distanze col nemico ed inanellare quante più glory kills possibili. 

 

I muscoli ed il cervello
Frenesia, gioco aggressivo e ritmo serrato non sono però sinonimi di un gameplay decerebrato. Tutto il contrario. Doom stimola abilità del giocatore sopite da tempo, abilità una volta comuni negli shooter anni ’90. In primo luogo è essenziale una conoscenza delle tipologie di nemico e dei loro comportamenti, così come l’efficacia di ciascuna arma contro di essi. Saper leggere le situazioni in un istante, saper dare la priorità a nemici diversi in momenti diversi, saper quando usare un arma dai danni elevati e quando utilizzarne una con un grande potere d’arresto, questo è Doom. Ci sono nemici temibili a lungo raggio, contro cui è essenziale ridurre le distanze. Altri pericolosi solo da vicino, contro cui sarà appropriato usare armi in grado di interrompere le loro devastanti cariche. Nemici in grado di evocarne altri, bersagli assolutamente primari. Nemici con proiettili lenti ed altri con proiettili veloci. Sarà importante disimparare i meccanismi della copertura e restare in costante movimento, schivando proiettili e giostrando le varie armi, in un perverso e spettacolare balletto di sangue ed esplosioni. Doom è istinto e ragione che si fondono in un unico esaltante momento ludico, con decisioni da prendere in frazioni di secondo e ritmi che mettono alla prova anche il più navigato dei giocatori. La sfida è costante ed elevata, soprattutto ai livelli di difficoltà più alti, non frustrante ma maledettamente intensa, al punto che tra un livello e l’altro sarà spesso necessaria una pausa per riprendere fiato. Questo è Doom, brillante nella sua viscerale e primordiale brutalità. Un’esperienza assolutamente unica nel panorama moderno, che da oggi è possibile affrontare anche su di una console portatile.

Più che un gioco, un proclama
Irrilevanti sono alcune concessioni al game design moderno, come la presenza di collezionabili e di vari upgrade per armi ed armatura: l’esperienza di gioco non ne risente ne in positivo che in negativo. Allo stesso modo superflua è la trama del titolo, presente più che altro per convenzione e perfettamente consapevole del suo ruolo marginale, al punto che il protagonista stesso si permette di ignorare ed interrompere prolissi spiegoni. Ma quello che in altri contesti risulterebbe una evidentissima tamarrata qua ha perfettamente senso: non siamo di fronte alle spacconate umoristiche di un Duke Nukem o di un Serious Sam, ma quasi ad una dichiarazione d’intenti, la rivendicazione di un modo di intendere il videogioco. E questa natura prettamente arcade viene ribadita dall’omonima modalità, che permette di affrontare una variante della campagna con l’obbiettivo di realizzare il maggior punteggio possibile, una versione se possibile ancora più frenetica e brutale della missione principale. Accanto a queste modalità è presente anche quella multiplayer, completa di tutte le mappe viste sulle altre versioni, comprese quelle delle espansioni (è però assente la modalità di creazione SnapMap). Neanche a dirlo pure in questo frangente Doom Switch si comporta allo stesso modo delle precedente versioni, nonostante una userbase logicamente più bassa che potrebbe dar luogo a qualche ritardo in sede di matchmaking.

Verdetto
8.5 / 10
Gioca dove, quando e con Doomguy
Commento
Doom è probabilmente lo sparatutto più importante dal punto di vista concettuale degli ultimi anni, ed anche uno dei più genuinamente divertenti. Trasporlo su di una console con innegabili limitazioni tecniche come Nintendo Switch non era un'impresa semplice, ma Panic Button ha sfruttato ogni trucco nel suo armadio e l'incredibile scalabilità del motore di ID Software per fare l'impossibile. Al netto delle inevitabili differenze grafiche, Doom Switch presenta un'esperienza di gioco completa e pari a quella delle altre piattaforme, col valore aggiunto della portabilità. Per le ovvie lacune grafiche non è certo la versione migliore del fuoriclasse Bethesda, ma resta un acquisto obbligato per tutti quei giocatori Nintendo interessanti al mondo che esiste al di là di Mario e Zelda e per tutti coloro che desiderano giocare a Doom in mobilità.
Pro e Contro
Esperienza intatta e completa
Gameplay loop brillante
Impressionante per la piattaforma su cui gira
Il miglior FPS portatile di sempre

x Compromessi grafici evidenti
x SnapMap assente

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