Sia Machine Games che Arkane Studios ragionano così, ormai: dopo un capitolo principale, i giocatori sanno (o almeno sospettano) che prima del sequel diretto va affrontato un DLC corposo o un vero e proprio capitolo stand alone. Wolfenstein: Youngblood però va oltre la tradizione: si, molto di quello che si vede in-game ricorda o riprende asset e idee già sperimentate nei due capitoli numerati, ma al netto di questo non siamo davanti ad un gustoso aperitivo servito fresco prima di Wolfenstein 3. Wolfenstein: Youngblood si candida a vera e propria alternativa, in più di un senso.
Collocazione nella timeline? Canonicità? Dubbi? Alla fine di Wolfenstein: Youngbloodè tutto chiaro e c’è la sensazione dell’ennesimo colpaccio in casa Bethesda
Versione testata: PlayStation 4
Wolfenstein: Youngblood si può giocare tranquillamente in singolo, e come tale lo abbiamo portato a termine. Ma innegabilmente la struttura è pensata per esplodere e splendere in cooperativa, in perfetta controtendenza con quelli che sono i trend del mercato attuale che online prediligono il Deathmatch ed i suoi emuli. Controtendenza che ormai è una delle cifre stilistiche della serie, reinventatasi come sparatutto in prima persona completamente in singolo e completamente concentrato sul raccontare un universo, da cui si parte anche in questa occasione: il Capitano Blazkowicz è misteriosamente sparito, e l’unica pista porta le sue due figlie in una Neo Parigi sotto il giogo nazista ma pronta a bollire sobillata dalla ribellione. La città è in sostanza una serie di aree collegate tra di loro e raccordate ad un livello ancora più alto dalla base ribelle nelle catacombe, un hub sul modello di quanto visto in Wolfenstein II da cui accettare le missioni principali (essenzialmente cinque, se si conta la prima d’introduzione) e una serie di missioni secondarie. A cui poi vanno ad aggiungersi le sfide giornaliere e settimanali e i soliti eventi spot che si innescano mentre i giocatori affrontano le varie mappe. Dov’è l’alternativa, allora? Più che nella struttura e nel design delle aree, che inevitabilmente va a richiamare spezzoni ed ambienti già visti nei precedenti due capitoli “numerati”, sta proprio nella struttura. L’approccio è pensato per la cooperativa online, scelta che si va a riflettere a tutto tondo sul design di Wolfenstein: Youngblood: all’interno delle mappe ci sono sempre almeno due percorsi speculari e queste sono progettate in modo che per avanzare siano necessari entrambi i giocatori, ma è soprattutto dal punto di vista ludico che questo sangue giovane si fa sentire. Le due sorelle hanno accesso alle stesse abilità, ma all’inizio hanno una dotazione di armi diversa e strada facendo possono progredire attraverso i potenziamenti (per loro o per le bocche da fuoco a disposizione) in modo simile, complementare o opposto, ma dovranno comunque fare gioco di squadra. Perché così vuole la meccanica dei Cenni d’Intesa (bonus temporanei attivabili a intermittenza se si è vicini all’altro giocatore), perché le vite a disposizione sono condivise, perché se una delle due sorelle è a terra non riceve punti esperienza e l’altra li vede dimezzarsi. Insomma, la cooperazione non è un contorno, ma è qualcosa che permea tutta la produzione. Anche con conseguenze drastiche, tipo non poter ricaricare l’ultimo checkpoint a piacere in caso non si sia soddisfatti di come sta andando un tentativo di infiltrazione.
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