La vita e la morte in 60 km.
L’uomo che incontra Dio,
la velocità come mezzo di deprivazione sensoriale per aspirare all’illuminazione,
l’adrenalina come un fiume in cui abbandonarsi e farsi battezzare. Lo sport motoristico al suo stato dell’arte, raggiunto per sublimazione di desiderio, tensione, eccitazione ed esclusione dello spirito di sopravvivenza, una sfida con la morte stessa messa nero su bianco al momento della firma nel registro dei partecipanti al TT Isle of Mann, ufficiale una volta innescata la prima marcia e dato un ultimo sguardo al cielo.
Il motore urla per esorcizzarla, senza paura, furioso, ma lei è sempre lì, immobile e sorridente in un’attesa che è ormai consuetudine; come sempre lì, lungo i
60,720 km dello Snaefell Mountain Circuit, sono presenti 150 guardiani, i caduti del motociclismo, eroi che hanno perso la loro sfida in queste 98 edizioni del Tourist Trophy. Il purgatorio dell’Isola di Mann nella sua meravigliosa esplosione primaverile, il verde e l’azzurro, i fiori, i borghi pittoreschi, il tepore del sole che diventa ardente una volta accarezzata la sacra striscia d’asfalto, le sue curve, i suoi avvallamenti e la sua Storia.
Un culto moderno tra religione e laicismo, tramandato di generazione in generazione, la beatitudine dell’incoscienza che mira a diventare santità, guardando a Joey Dunlop, John McGuinness, Giacomo Agostini e gli altri grandissimi che hanno sfiorato almeno una volta il dio Mercurio. L’affascinante richiamo di una sirena, impossibile da ignorare, a cui rispondere con lucida pazzia.
È possibile virtualizzare tutto questo?
Versione testata: PlayStation 4
Bellezza incontrollabile
Questa è una di quelle recensioni che per forza di cose arriva sulle nostre pagine fuori tempo massimo rispetto alle altre e più titolate testate italiane. E se eravate interessati a questo titolo in principio avrete già notato i voti non troppo esaltanti che circolano in giro. Impossibile smentire i colleghi,
TT Isle of Mann – Ride on the Edge è una creatura bizzosa, nevrotica, capricciosa, in un sistema di guida che tende ad esaltare i suoi problemi fisici, un concorso di colpe, una constatazione poco amichevole, se vogliamo, tra l’ancora acerbo mondo del motociclismo virtuale, che stenta a sfornare prodotti davvero convincenti, escludendo forse i crossistici, e la volontà di
Klyotonn di creare un’opera sim-cade che sa soltanto quello che non è.
Tendo a essere duro perché quando non ci sono intoppi,
si ha l’impressione di vestire la tuta sulla propria nuda pelle. Il Dualshock è della taglia perfetta, aderente, e il giocatore ha il compito di muovere il pilota, non la moto. I tempi di piega sono credibili, pesanti il giusto, dando un gusto unico agli scarti sinistra-destra via analogico (
quasi a ricordare il perfetto controllo di Gran Turismo Sport),
mentre quattro dita diventano mani e piedi, acceleratore e freno per i grilletti e il cambio per i dorsali (
la trasmissione manuale è d’obbligo una volta presa la mano, per godere di tutte le emozioni che il titolo offre).
Avvinghiati al pad, estasiati dal sistema di controllo e un attimo dopo sbattuti brutalmente a terra da una fisica capricciosa e occulta. Una messa a punto con cui litigare costantemente.
Ci si ritrova così avvinghiati al pad come il pilota lo è al suo bolide, e la sensazione è di immedesimazione muscolare e divertimento strabordante. Eppur si è parlato di intoppi, pozze d’olio invisibili sparse per l’asfalto. La sua essenza simulativa si palesa qui nel peggiore dei modi, come chi arriva ubriaco a una cena di gala. Semplicemente, anche con aiuti alla guida impostati a livello medio, la moto certe volte perde aderenza in modi imprevedibili e non imputabili all’abilità del giocatore, vuoi per un piccolo dosso, vuoi per aver pinzato l’anteriore più del dovuto o per cause francamente inspiegabili, e ci si ritrova a terra. Così, di botto.
Non c’è vibrazione ad avvertire del pericolo, che sia un imminente bloccaggio dell’anteriore o una perdita di aderenza in accelerazione. Inoltre non c’è alcuna gestione del posteriore per recuperare la moto in derapata tenendola sulla corda, dandoci il tempo di rimediare, pratica comune tra i piloti in carne e ossa e reazione fisiologica del mezzo stesso a certe sollecitazioni estreme. Non è questione di allenamento, se si guida al limite, cosa ovvia in un titolo del genere, sicuramente si finirà a terra, non si sa come e quando, ma succederà. Una messa a punto approssimativa che si trasforma in fastidio e ansia costante, nonostante il respawn dopo una caduta sia fulmineo.
I problemi poi, presenti in minor parte sulle Supersport da 600cc,
si moltiplicano quando si sale a cavallo dei 1000cc delle meno cristiane Superbike.
Una falce puntata alla gola che prende la forma di un motore fisico ingolfato, poco credibile, ed è un peccato, perché con più grip e qualche virtuosismo in più nel sistema di controllo, si starebbe parlando di un capolavoro. E per larghi tratti lo è; allenatevi nella
classica modalità carriera con semplici elementi gestionali, composta, oltre che dallo Snaefell, da altri tracciati originali sparsi per le isole britanniche col comun denominatore di un buon design e del riciclo reiterato di asset grafici, tra corse sul tempo e gare testa a testa con piloti dall’IA decisamente
marqueziana, e poi scegliere la prova a tempo dal menu principale,
accendete il motore della motocicletta che più vi aggrada e buttatevi sul Mountain,
virtualmente ricreato millimetro dopo millimetro con lo scalpello del Laser-Scan e una passione infinita. Prima con cambio automatico e traiettoria ideale in sovrimpressione, poi totalmente in controllo, concentrati in una prova di memoria a velocità
wipeoutiane solo minimamente scalfita dall’incomprensibile blocco visivo dei 30 quadri al secondo, laddove prodotti con cilindrate ben più massicce non si limitano neanche su PS4 standard (
GT Sport e Dirt Rally su tutti). È la naturale evoluzione di
Super Hang-On e della sua ossessione verso il tempo, che incontra la catarsi del viaggio di
Journey, dove mondare il proprio spirito con la velocità. Il fascino perpetuo della sfida alla clessidra immersi nello splendore primaverile, bucolico di un’isola piccola, remota, seducente.
TT Isle of Mann è la naturale evoluzione di Super Hang-On e della sua ossessione verso il tempo, che incontra la catarsi del viaggio di Journey, dove mondare il proprio spirito con la velocità.
C’è un senso di scoperta unico dietro ogni curva cieca, il gas spalancato in uscita, gli scarichi che scoppiano di gioia ad ogni cambio di marcia, interpretando in modo personale ogni dosso e staccata. I punti di riferimento, giro dopo giro, cominceranno a sbocciare nella mente come fiori in un prato dopo un acquazzone, osando sempre di più, dosando sempre meno,
entrando in simbiosi col velenosissimo serpente d’asfalto, sfiorando ogni muretto di pietra ossessionati dal pericolo delle barriere architettoniche come della roulette russa dei capricci fisici. Dai tratti più veloci, passando uno dopo l’altro i cuori delle piccole cittadine che brillano sulla tiara di Mann, sempre più su, tornante dopo tornante fino alla brulla asperità dello Snaefell, la montagna, da cui ammirare la campagna e scorgere il mare d’Irlanda, fino alla picchiata finale verso la linea del traguardo.
Sono emozioni uniche,
che raramente ho provato anche in titoli ben più perfetti e curati. Un’esperienza intima, che trascende quasi il genere motoristico del titolo, esaltante e rilassante allo stesso tempo. Un piccolo angolo di paradiso ludico da cui mi staccherò difficilmente, nonostante difetti e occasioni sprecate.
Quella appena descritta è l’appassionata finzione, questa la realtà da brividi in tutta la sua folle poesia:
Verdetto
7 / 10
Misti-ciclismo
Commento
Pro e Contro
✓ Correre sullo Snaefell è pura poesia
✓ Emozionante e velocissimo
✓ Sistema di controllo ottimo...
x ...che si scontra con una fisica pessima
x Carriera anonima
x Contenuti appena sufficienti
#LiveTheRebellion