Grazie a prodotti videoludici realizzati con innegabile maestria (basti pensare a
Resident Evil 7),
negli ultimi anni il genere horror è riuscito nell’intento di guadagnare nuovi appassionati all’interno del mondo dei videogiocatori, con conseguente incremento della produzione di nuovi titoli appartenenti a questa categoria narrativa. Tra le molte derive di questo genere esiste quella dello
Sci-Fi Horror, che fa della fantascienza un valore aggiunto per creare situazioni in grado di spaventare il giocatore/spettatore/lettore. Con il loro
Syndrome, i ragazzi di
Camel 101 e di Bigmoon Entertainment hanno deciso di prendere tutti gli insegnamenti dettati da film come
Alien e
Punto di non ritorno e di applicarli ad un’avventura in prima persona ambientata all’interno di una nave spaziale dai freddi corrioi dove, però, qualcuno può sentirti urlare. Basterà un’ambientazione affascinante a rendere Syndrome un titolo da non perdere?! Prima di scoprirlo nella nostra nuova recensione,
vi ricordiamo che il titolo è disponibile ora per PlayStation 4 e Xbox One al costo di 39.90€, mentre su pc è disponibile già da un anno (e potete trovarlo recensito
qui).
Versione testata: PlayStation 4
Nello spazio qualcuno può sentirti urlare
La storia di Syndrome non si discosta molto dalla moltitudine di prodotti horror ambientati nello spazio
La
trama di
Syndrome ci vede vestire i panni di Galen, membro dell’equipaggio della Valkenburg che,
dopo essersi risvegliato dal criosonno, si renderà subito conto che qualcosa è andato storto. Tutti i suoi compagni di viaggio, infatti, sembrano essere scomparsi e, con il procedere dell’avventura, Galen si accorgerà di non essere solo a bordo della nave. Lo diciamo sin da subito: la storia del nuovo lavoro dei ragazzi di Camel 101 non si discosta molto dalla moltitudine di prodotti horror ambientati nello spazio, con tanto di
situazioni che, sin da subito, sapranno di già visto anche per quanto riguarda l’industria videoludica (
Dead Space e
Alien: Isolation sono i primi titoli che ci sono venuti in mente). Il buon ritmo, comunque, permette al giocatore di rimanere interessato sino alla fine dell’avventura, nonostante
alcuni evidenti scivoloni in fase di scrittura, soprattutto nel finale, davvero troppo sbrigativo dal punto di vista narrativo e incapace di lasciare soddisfatto il giocatore una volta comparsi i titoli di coda.
Abbastanza anonimi anche i personaggi che incontreremo nel corso del nostro peregrinare nei corridoi della Valkenburg, amorfi nel modo di parlare e del tutto privi di quel carisma necessario per fare di un NPC un buon character.
Più che valida, invece, la longevità del titolo che, grazie ad una difficoltà mai banale, si attesta per la prima run
tra le 15 e le 20 ore in base al vostro stile di gioco.
Il backtracking, quello bello
Syndrome si presenta come un fps con (pochi) elementi stealth
Da un
punto di vista prettamente ludico,
Syndrome si presenta come un fps con (pochi) elementi stealth. Nonostante siano presenti tre tipologie di armi,
bisogna sottolineare come nel corso dell’avventura dovremo dosare attentamente ogni singolo proiettile presente nei nostri caricatori, in quanto reperire nuove munizioni sarà davvero un’impresa ardua per tutta la durata del gioco.
La difficoltà di Syndrome, infatti, è uno dei suoi punti di forza, presentando dei nemici davvero impegnativi da sconfiggere e obbligando il giocatore a rimanere sempre attento per evitare di essere scoperto e per non perdere neanche un caricatore nascosto negli armadietti delle varie stanze della nave spaziale. Le varie tipologie di nemici, inoltre, necessiteranno di diversi approcci per venire superati, ma il combattimento risulta essere, in ogni caso, sempre l’ultima scelta.
Un plauso, inoltre, all’elemento più interessante del titolo targato Camel 101: il backtracking intelligente. Per portare a termine la nostra missione, infatti, saremo obbligati ad accedere a otto diversi ponti della Valkenburg, spingendo così il giocatore a muoversi in ambienti che, dopo poche ore, risulteranno familiari.
L’accesso graduale a nuove aree degli stessi piani, però, rende il tutto mai noioso e, allo stesso tempo, a creare una mappa delle stanze all’interno della mente del giocatore che, verso la fine del gioco, riuscirà tranquillamente ad esplorare la nave senza bisogno d’interfacciarsi con alcun navigatore (attivabile premendo il tasto triangolo). Discorso ben diverso per quanto riguarda le
armi da fuoco che, come già anticipato, si riducono a tre (più un’arma bianca), ma che risultano
davvero scomode da utilizzare.
Il gunplay, infatti, non soddisfa per nulla e vi troverete più volte a non utilizzare le armi non solo per risparmiare colpi, ma anche per evitare di tirare giù i santi dal calendario ad ogni scontro.
Al di là della legnosità delle bocche da fuoco, segnaliamo come non sia presente la possibilità di ricaricare le proprie armi, cosa che rende determinate situazioni inutilmente fastidiose. Presente all’interno dell’avventura anche un minigioco per accedere ai vari terminali, ma ammettiamo che la mancanza di una guida per comprenderne il meccanismo e la possibilità di risolvere gli “enigmi” premendo velocemente lo stesso tasto ci ha permesso di completare l’avventura senza averne il benché minimo bisogno. Per quanto riguarda la versione PlayStation 4, infine,
segnaliamo la presenza di una modalità per PlayStation VR che, però, non ci permetterà di affrontare l’avventura principale con indosso il visore Sony, ma ci metterà nei panni di nuovo personaggi costretto a sopravvivere a varie ondate di nemici per più “giorni” possibile. Un’interessante aggiunta che, pur non facendo gridare al miracolo, ammettiamo essere riuscita ad intrattenerci.
Incubi a luci spente
Il comparto tecnico di Syndrome è qualcosa di innegabilmente disastroso
Per quanto possa vantare
un sistema d’illuminazione niente affatto male, il comparto tecnico di Syndrome è qualcosa di innegabilmente disastroso.
Modelli poligonali poco riusciti, animazioni frammentate, continui (e inspiegabili) cali di frame e bug che ci hanno costretto in più di una situazione a riavviare il gioco sono solo alcuni dei problemi che abbiamo incontrato nel corso della nostra esaustiva prova. Discorso diverso per il comparto sonoro che, pur non esaltando particolarmente, riesce nel suo intento e, grazie ad alcuni suoni inseriti nei momenti meno opportuni, a spaventare il giocatore. Segnaliamo, infine, come il
titolo sia
interamente doppiato in inglese, ma vanti una totale (e valida) traduzione a testo in italiano.
Verdetto
6 / 10
Il terzo atto. Più lungo. Di sempre.
Commento
Pro e Contro
✓ Ritmo interessante
✓ Backtracking estremamente valido
✓ Difficoltà da non sottovalutare
x Trama scialba e banale
x Gunplay da dimenticare
x Comparto tecnico scadente
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