La bellezza del dialogo.
Mike Bithell è un genio. Non solo è un game designer di straordinario talento, ma un cantastorie finissimo, dotato di una capacità di scrittura straordinaria, magnetica, che incontra e completa il perfetto minimalismo dei suoi gameplay. È anche uno che non si fa tanti problemi a mettere sul piatto della narrazione dubbi esistenziali e argomenti di grande profondità velati dall’irresistibile humour che lo contraddistingue, per poi colpire e spiazzare il giocatore/ascoltatore/lettore quando meno se lo aspetta, quando il racconto sboccia in tutta la sua forza e brillantezza. È successo con quel monumento videoludico che è
Thomas Was Alone, simbolo di un modo di fare videogiochi che punta sulle potenzialità culturali del mezzo, più che su quelle meramente d’intrattenimento, e succede oggi (
con in mezzo Volume, di cui non dico niente perché devo ancora recuperarlo) con Subsurface Circular,
una riscoperta del dialogo,
videoludico e non,
come mezzo più potente ai fini dell’investigazione su più piani, prima poliziesca e poi spirituale, portando il giocatore ad affrontare una delle sue più grandi timidezze: parlare con degli sconosciuti sui mezzi pubblici. Una metareferenzialità che sta tutta nelle sensazioni che vivono nel limbo tra quotidiano e finzione, in cui interpretare un alter-ego robotico toglierà ogni freno alla nostra lingua, curiosi di scoprire tutto sui nostri interlocutori, perdendoci in un flusso di chiacchiere scritto da Dio e sviluppato in maniera diabolicamente geniale, per farci perdere tra le carrozze di un treno lanciato a grande velocità lungo i binari dei nostri pensieri.
La meravigliosa intro che vi metto qui sotto è l’ideale per capire stile a carisma del prodotto che andrò ad analizzare.
Versione testata: Nintendo Switch
Metropolitana esistenziale
È la visual novel che si evolve e raggiunge nuove vette di sceneggiatura.
Una pièce teatrale sci-fi girata tutta sui vagoni della Subsurface Circular. Lo è come concezione, ambientazione immutabile e durata. Un “corto”, come invece è definito dall’autore stesso, il primo di una lunga serie, se Mike vuole.
2-3 ore di viaggio stranianti e indimenticabili con un biglietto di sola andata da 5,99€.
E pensando che a breve, a Milano, i ticket ATM costeranno 2€, direi che è un affarone.
Nello specifico, la
Circular è una metropolitana ad uso e consumo esclusivo dei Tek, androidi al servizio degli umani e del “management”, l’oscura entità governativa che tutto sa, gestisce e decide. Una vera e propria sotto-cultura che si sposta sui mezzi pubblici, programmata per svolgere un determinato lavoro, indottrinata dai propri padroni, talvolta rassegnata, altre ribelle, turbata e irrequieta, mentre c’è chi semplicemente vuole stare in disparte, indisturbato, senza farsi troppe menate, ad ascoltare musica. Non vi ricorda qualcosa?
Eppure oltre alla sottile critica sociale e allo spirito allegorico c’è molto di più, un’opera poliedrica che brilla di mille riflessi nonostante la luce soffusa dei neon, graziata da un design fantastico nella sua pulizia.
Tra avventura testuale e grafica, dove ogni conversazione nasconde un piccolo enigma e ogni parola è un tassello da inserire nel mosaico di un’indagine techno-noir.
È prima di tutto la storia di un detective che indaga di sua spontanea volontà sulla misteriosa scomparsa di alcuni Tek, dopo aver ascoltato la storia inquietante e preoccupata di un suo simile, chiacchierando con lui quasi per caso, ognuno seduto al proprio posto, godendosi qualche minuto di relax tra un impegno e l’altro. Ludicamente il tutto si svolge semplicemente scegliendo quale battuta, domanda, insinuazione fare tra quelle proposte, senza possibilità di game over e senza prendere bivi narrativi, ma
avendo sempre la sensazione di portare il dialogo dove meglio crediamo, scegliendo l’ironia, l’arroganza o la simpatia come mezzo per addentrarci in questo mistero lessicale (
rigorosamente in inglese, e badate che è una barriera d’ingresso abbastanza esigente). La vera chiave di volta di questo fiume di parole formato videoludico sono i “
Focal Point”, argomenti fondamentali da riproporre ai nostri interlocutori, scoperti semplicemente parlando o risolvendo alcune richieste, come ad esempio dare indicazioni a una tata-robot sulla fermata corretta alla quale scendere, o far scoccare di nuovo la scintilla tra due amanti dall’emotività (
sintetica) bloccata, e tante altre trovate geniali che compongono un dare-avere capace di aggiungere nuovi pezzi a un puzzle investigativo di grandissimo interesse e tensione.
Un “gioco di parole” che ci porterà ad affrontare via via dialoghi sempre più impegnativi, strutturati, che coinvolgeranno anche più Tek alla volta, talvolta portandoci a giocare con la loro stessa programmazione e la loro etica, che devono molto ad Asimov e alle sue leggi. Ed è qui che la sensazione atavica di passività insita nella maggior parte delle avventure testuali brucia come il fulmicotone, perché
la storia non va mai avanti senza un minimo di sforzo cerebrale. In tutto questo lo sfondo fantascientifico che ha costruito Bithell è di una coerenza e di un fascino clamoroso, nonostante tutto il mare di roba sci-fi che ci propinano di anno in anno, buttato giù a forza in tutte le salse.
Subsurface Circular riesce a sorprendere e ammaliare con un racconto gravido di colpi di scena, che striscia sinuoso ed elegante tra thriller, politica, società, tecnologia e religione, avvelenandoci infine con i dilemmi morali più spiazzanti e con domande essenziali; “
Chi siamo? Dove andiamo? E soprattutto, perché?“. Alleggerendo deliziosamente la tensione con l’umorismo di un protagonista sontuoso, carismatico come lo sono poi tutti i passeggeri, nonostante e soprattutto grazie alla mancanza di connotati (“
perché gli umani provano ribrezzo nel vedere automi dal volto umano”) che sottrae all’espressività tutta la mimica facciale, per lasciare spazio solo al linguaggio vocale.
Mike Bithell riesce a proporre una sceneggiatura mai banale in un mondo, quello sci-fi, sempre meno sorprendente e misterioso. Quasi un lavoro d'altri tempi.
Un tessuto narrativo che santifica il copione messo a disposizione degli attori virtuali, da cui traspare la cura nella composizione di ogni frase, battuta, rivelazione, studiando i tempi alla perfezione e lasciando nelle sinapsi il retrogusto dolce di quelle letture dalla qualità assoluta,
mentre il sound design avvolge tutto a 360°; tra musiche
tecno-noir e i credibili e familiari rumori della metropolitana, delle rotaie, delle porte che si aprono e delle voci registrate che indicano la prossima fermata, una nuova tappa verso la conoscenza. Meraviglioso. È un titolo figlio di un intento ben preciso, quello di raccontarsi senza diluire il racconto nella giocabilità ma rendendola parte integrante del racconto, senza creare tempi morti e trasformando ogni nostra azione, ogni pressione di tasto, in una parte fondamentale di testo. Qui anche la sua durata, come detto 2-3 ore, è assolutamente equilibrata e non lascia amarezza alcuna, complice un finale shock che vi chiederà qualche minuto per riprendervi. E poi, un domani,
potrete decidere di riaffrontare il viaggio in compagnia di Mike Bithell in persona, o meglio, del suo
alias robotico, per una run quasi documentaristica e certamente didattica.
Verdetto
9 / 10
Robot Rock
Commento
Pro e Contro
✓ Narrativa e copione di qualità superiore
✓ Enigmistica brillante e mai tediosa
✓ Splendido stile audio-visivo
x L'ottima conoscenza dell'inglese è una barriera d'ingresso con cui fare i conti
#LiveTheRebellion