Ci siamo. È passato più di un anno da quel fatidico, tragico momento in cui Pokémon Scarlatto e Violetto hanno debuttato sugli scaffali. Fatidico perché in un modo o nell’altro tutti e tutte aspettavamo; tragico perché, come temevamo, il reality check è stato veramente una brutta botta.

Dopo un colpo del genere l’annuncio dei DLC (per quanto telefonato) era ciò in cui invece non speravamo. Ma eccoci qui: gli ineluttabili extra sono arrivati, in un’espansione tri-parte che si è presa gli ultimi quattro mesi del 2023.

Ironico come il finale del gioco base e quello del DLC parlassero sotto sotto di ambizioni, di persone che restano ammaliate da un tesoro per restare alla fine scottate come Icaro. Ironico come a venire abbagliati non siano solo i protagonisti e protagoniste di Scarlatto e Violetto, ma anche chi oltre lo schermo ha sperato fino in fondo che qualche ora in più di gioco avrebbe cambiato qualcosa.

Eppure eccoci qui, a sperare di nuovo che qualcosa sarebbe cambiato pur sapendo benissimo che non sarebbe successo. Non come speravamo, almeno.

Scarlatto e Violetto partivano da basi traballanti.

Il gioco base causava già un enorme scompiglio nel mondo del gaming. Mancavano visibilmente le fondamenta di come un videogioco dovrebbe funzionare. Le texture? Spesso inguardabili. Gli NPC? Sparivano e riapparivano a occhio. La mappa? Disastrosa: una montagna che spawna dal nulla, la telecamera che “clippa” negli edifici e nel terreno, i Pokémon che appaiono a chiazze.

I Pokémon, ecco, partiamo da qui. L’emblema di tutto ciò che Paldea ha di buono e di pessimo. I modelli sono incredibili, anche i più vecchi sono stati ritoccati così bene che sono bellissimi a guardarsi – e sono anche grandi come il Pokedex dice che dovrebbero essere. Ma questo è anche un problema, perché si finisce per sbattere contro i più piccoli in piena corsa. Essere attaccati da un Pokémon mentre si apre un menu significa condannarsi a dover combattere appena chiuso il menu, e se per disgrazia l’animazione del saltino all’indietro del personaggio lo porta su un Pokémon diverso si avvia un’altra lotta subito dopo.

Puoi lanciare le Pokéball alle spalle di una creatura per avere un turno di vantaggio. Il problema è che se lo fai il gioco ci mette tre quarti d’ora a caricare la lotta, e in molti casi il modello del Pokémon selvatico risulterà squadrato finché non appare il menu di lotta. I Pokémon possono nuotare – finalmente! – e quando si avvia una lotta i Pokémon Acqua in squadra nuotano anche loro mentre sono in campo invece di galleggiare su un palloncino. Ma nell’acqua non ci si può stare, perché il gioco fa così fatica che rischia di crashare da un momento all’altro.

“Costruisci l’avventura che vuoi e cerca il tuo tesoro”. Sì, sono d’accordo, è bellissimo non essere costretto su un vero e proprio binario – ma se poi mancano le basi di come è concettualizzato un open world è un po’ come dire “guarda, hai carta bianca ma devi fare così“. Paldea è un pastrocchio dopo l’altro, una pepita sbrilluccicante che ti si sgretola in mano fino a rivelare un comune sasso. Carino, ma pur sempre un sasso invece di una pepita.

Come potevamo aspettarci che l’area Zero contenesse qualcosa di diverso da questo? Il problema è che, in fondo in fondo, lo faceva davvero. Al netto di confermare tutto quanto detto sopra, la voragine di Paldea e gli eventi che si svolgono nel posto sono una scenografia a sé stante – davvero: una piccola, brillantissima pepita in una montagna enorme di sassolini.

Il tesoro dell’area Zero. Un nome che vagamente prometteva qualcosa, e noi abbiamo davvero voluto crederci a quel tesoro.

Siamo a Nordivia, una terra verde con un solo centro abitato dall’aspetto orientaleggiante. Ci vuole poco perché sia chiaro che i compagni di avventura qui saranno Rubra, una giovane al limite della schizofrenia, e Riben, suo timido fratello. Entrambi studiano all’istituto Mirtillo – location in cui si torna durante la seconda parte.

Il contesto che fa da cornice alla storia di Nordivia – e de “La maschera turchese” – è una caccia al tesoro in cui si devono fotografare alcuni cartelli che raccontano una leggenda locale. È quella di un cattivo orco e dei tre Beniamici che hanno protetto il villaggio dalle sue angherie, ispirata profondamente alla leggenda giapponese di Momotaro. Il motivo di sfondo è dunque la xenofobia: gli abitanti della Verdegiada del passato avevano paura dell’orco. A salvargli letteralmente la faccia e consentirgli di muoversi liberamente è un mascheraio, che fabbrica per lui quattro maschere da cui in seguito l’orco trarrà il suo potere.

Un tema delicato e toccante, che esattamente come quello del bullismo raccontato (di corsa) dal team Star nel gioco base viene sbrigato forse in troppo poco tempo. Come un po’ tutto, del resto: la festa di paese che tanto si era pubblicizzata ad esempio conta quattro bancarelle in croce, copia-incollate esteticamente a due a due per buona misura. Anche gli NPC, che pure provano a mascherarsi, risultano gli stessi pochi modelli ripetuti più volte.

L’occhio di bue a Nordivia è puntato sui quattro leggendari Okidogi, Munkidori, Fezandipiti (i “Beniamici”) e Ogerpon (l’orco). Al netto del Pokedex da completare (di cui metà è già a posto se si è finito quello del gioco base) ci sono davvero poche attività extra: la caccia all’orco per ottenere strumenti competitivi e un Munchlax cromatico, più i tre orchi di Nordivia – allenatori da affrontare la cui difficoltà di certo si distingue da quella delle altre lotte del DLC.

A grandi linee insomma “La maschera turchese” non è stato nulla di eccezionale. Sicuramente un sipario apprezzabile, che tenta di contestualizzare il nuovo quartetto leggendario con una tematica che colpisca chi gioca. A risaltare semmai è l’ossessione di Riben per Ogerpon, un’ambizione di catturarlo disillusa nel momento in cui il Pokémon sceglie chi gioca come proprio compagno/a di avventure. Una sconfitta davvero bruciante che non lascerà a Nordivia…

Si passa come accennato all’istituto Mirtillo, una scuola facente parte della regione di Unima il cui focus sono le lotte in doppio. Il focus della vita nell’istituto è il Bioterarium, un’enorme cupola biologica in cui sono stati riprodotti quattro macro-habitat. Il me del 1997 piange: al mio ingresso nella cupola dei Doduo e Rhyhorn mi sfrecciano di fronte, poi un Dodrio. Un Chansey scappa spaventato, un altro Dodrio è in agguato nell’erba in paziente attesa. Con un po’ di esplorazione trovo una rupe che mi ricorda da morire quella del Re Leone. E infatti eccolo là, in cima: un Pyroar maschio che fa le veci di Mufasa, circondato da Pyroar femmina e qualche Litleo.

Ma come già detto le vere protagoniste dell’istituto sono le lotte in doppio. Sto per dire una cosa che non avrei mai sognato di dire: le lotte qui sono difficili, almeno per un giocatore non troppo competitivo. Per una sola santissima volta Game Freak è riuscita a impegnarsi sul serio in qualcosa, e gli avversari da combattere hanno tutti almeno un accenno di strategia competitiva comprensivo di abilità e strumenti. I Superquattro – i boss da sconfiggere nella cupola – hanno anche più di un accenno, con squadre imperniate su una o più strategie (meteo, Distortozona, Ventoincoda…).

Proprio quando mi stavo arrabbiando perché le performance del DLC sono anche peggiori e la telecamera inquadra il void durante le cutscene, ecco che vengo sorpreso dalla necessità di inventarmi una squadra seria per superare le difficoltà. Più squadre serie: anche questo non credevo lo avrei mai detto, ma l’enorme disponibilità di Pokémon nel Bioterario consente una certa versatilità nel crearsi un team. E a un certo punto ti obbliga anche, perché una delle sfide prevede proprio di usare soltanto creature catturate nel posto.

Nel mezzo di questa nuova avventura mi sento sopraffatto dal numero di cose da fare, tra la cattura dei Pokémon, la creazione di una squadra per il prossimo membro dei Superquattro, le attività dell’istituto. Ci sono missioni da completare per guadagnare punti, e in seguito dalla stanza del Club Lega sbloccare potenziamenti di varia natura – pose, stili estetici per la stanza del club, il tutoraggio dei personaggi di Paldea. E i potenziamenti per i biomi, che liberano nel Bioterario i Pokémon compagni iniziali delle vecchie generazioni: Squirtle, Totodile, Rowlet, Fennekin, tutti liberi per la mappa che interagiscono con ciò che c’è intorno.

E c’è poi una funzione che ha mandato l’internet (e me) in brodo di giuggiole: la Sincronizzazione con i Pokémon. Giuro che mi sembrava una stronzata a vederla in un video promozionale – e in effetti lo è, non è niente di che. Eppure c’è qualcosa di stupidamente divertente nell’immedesimarsi in un Toedscool e correre in giro agitando le zampine bianche, o nei panni di Flappletun – i cui passi su alcuni terreni fanno un rumore buffissimo. Ho volato in giro come un Rowlet, godendomi le vibe e pensando che tutto sommato una funzionalità del genere si poteva sfruttare di più e meglio.

Nemmeno tutta questa pila di attività ha saputo distrarmi dai vecchi (e nuovi) grossi problemi che nel DLC vengono solo ingigantiti. Tutto molto bello eh, avrò problemi ma un accenno di novità io l’ho sentito – sperando ovviamente che quella novità non resti relegata a un breve DLC. Qualcosa in più sull’Area Zero e la teracristallizzazione l’ho saputo grazie a Terapagos, e a quattro minuti di cutscene trovata completamente a caso in post-game. Una piccola perla che mi ha quasi fatto scendere la lacrimuccia. Ma in fondo in fondo ciò che speravo davvero di ottenere era almeno una semplice patch per risolvere i problemi più grandi. E invece Game Freak ha infierito, girando il coltello in una piaga già bella aperta e profonda.

La trama del Disco Indaco, come accennato, torna a parlare di ossessioni e ambizioni. Riben, avendo perso la possibilità di farsi amico Ogerpon, è ora ossessionato dal diventare il più forte nelle lotte per sconfiggere il protagonista – noi. Quando ciò non gli riesce sembra riprendersi brevemente, ma la vista di Terapagos nelle profondità dell’Area Zero risveglia in lui quell’ossessione di essere migliore. Disillusa anche questa chiaramente, e finalmente Riben non può far altro che arrendersi a chi è e alle sue possibilità. Cogliete l’ironia di come, in fondo in fondo, il DLC abbia rappresentato anche la fanbase?

L’istituto Mirtillo non riesce a smentire i problemi di Paldea. Sì, tante cose da fare – e anche tante strizzate d’occhio al passato grazie soprattutto alla colonna sonora remixata da varie OST di Unima. Ma anche tantissimi problemi di performance e – di nuovo – una trama trattata poco e sbrigativamente. Chiuso il Disco Indaco ricevo uno strumento, e quando stavo per chiudere definitivamente questa storia una telefonata mi riporta a terra. A Paldea, a casa mia, dove i tre amici Pepe, Penny e Nemi mi stanno aspettando per ricordarmi ancora cosa mi ha stregato di questo gioco.

La reunion con il trio di Paldea e subito dopo l’incontro del quartetto con Riben e sua sorella Rubra è il contesto in cui viene inserita la presentazione di un nuovo Pokémon. Le persone di Nordivia sono strane, a partire dalla stessa Rubra, che si presenta al gruppo ballando come una gallina e dicendo “MOCHI MOCHI”. Ben presto questo strano male affligge anche il resto del villaggio, e il Pokémon misterioso di questa generazione Pecharunt fa il suo debutto con uno stile tutto suo.

L’Appendice è estremamente breve – il modo più sbrigativo di inserire il misterioso nella storia, senza dover tornare troppo in là con un nuovo DLC. Trovo assurdo come sia palese l’aver tagliato intere scene sostituendole con “Ki ki kì” e aver comunque ottenuto qualcosa che nel suo piccolo ha una parvenza di simpatico e godibile.

Questo, chiaramente, finché non appare su YouTube l’ennesimo video promozionale che ti presenta la storia di Pecharunt. E qui esplodo: ma davvero quella cutscene di cinque minuti non si poteva trovare un pretesto per raccontarla in gioco? Davvero un essere in grado di assoggettare al proprio dominio le persone, e (a detta di Pokedex) “di scavare e portare all’esterno i loro più profondi desideri” va presentato con un intero villaggio che balla urlando “KI KI KI”?

Ciò che trovo più assurdo è che prima del video promo io quest’ultima parte l’ho anche trovata godibile, e probabilmente è perché ha il suo che di nostalgico che mi attira. È breve, va dritta al punto – proprio come facevano ad esempio gli eventi di Celebi e di Deoxys, entrambi attivati da un oggetto di gioco distribuito a parte. Si tratta di un concetto simile, ma con un suo micro-contesto piuttosto che un semplice “ecco, c’è un posto nuovo, va’ a vedere perché sicuramente sarà così piccolo che c’entra giusto giusto un Pokémon”.

L’Appendice, per quanto evidentemente tagliata e ricucita, è stata una cornice di convivialità che mi ha riportato indietro al finale nell’Area Zero. A quando per la prima volta in 30 ore i quattro personaggi più importanti interagivano tra loro, si presentavano, si raccontavano lungo la discesa nella voragine di Paldea. Mi ha riportato alle parole dell’IA della prof, che stringeva i nodi giusto quel poco in più che serviva a legare indissolubilmente le quattro (cinque) anime. Al quintetto che, tornato in superficie, cammina verso il sole e fa a gara a chi arriva prima. Ma quindi, se mi è piaciuto questo ritorno alle origini di Paldea, mi rimane da determinare cos’è che mi innervosisce così tanto.

Sono davvero confuso e frastornato, al termine di questa lungo, travagliato viaggio. Confuso perché i problemi sono evidenti, ma tutto sommato io qualcosa ce l’ho trovato in Paldea se non parlo quasi di altro dal novembre 2022. Mi confonde il sapere che mi snerva non aver avuto cinque minuti di cutscene in più in un’Appendice che ne dura novanta, ma che poi tutto sommato anche questo modo di gestire la situazione crossmedialmente mi ha intrigato.

Forse vorrei solo aver visto per una volta un piccolo sforzo in più – un po’ più elaborato di un “Ki ki kì”.

A proposito, qui devo aggiungerne una mia di appendice: un messaggio alle anime pie che hanno localizzato almeno quest’ultima ora e mezza della mia avventura a Paldea.

Grazie per averla chiamata Appendice invece di Epilogo. È bastato questo a dirmi che non avrei avuto ciò che cercavo.

È finita.

Questa generazione è stata un parto. Per certi versi mi ha fatto davvero sentire la mancanza di Galar, che quantomeno scialba era dall’inizio alla fine e a livello tecnico reggeva (al netto di cali di framerate e di brutte texture).

Incredibile ma vero: la somma finale riconferma quanto già detto rincarando tutte le dosi. Pur nella fretta di farlo, Scarlatto e Violetto si appropriavano della propria storia da raccontare, consolidandola nella discesa nell’Area Zero e nelle chiacchiere tra i quattro personaggi principali. Con l’aggiunta dei DLC si aggiungono altri personaggi, e l’Appendice riprende in mano quella sensazione che dà vita alla regione di Paldea – personaggi connessi tra loro, di cui non ti viene mostrato troppo ma quando lo si fa sei lì a pensare “cavolo, hanno legato off-screen”.

I Pokémon, i veri e propri protagonisti del brand che hanno indiscutibilmente la gloria che meritano. Modelli sbalorditivi a guardarsi sia per le nuove aggiunte che per i vecchissimi ritorni, che poi possa piacere o no la creatura in sé. Mostriciattoli che interagiscono con l’ambiente circostante, che seppur timidamente fanno intravedere una piccola crescita – ce l’abbiamo fatta, gente, Blastoise finalmente spara acqua dai cannoni.

Se Nordivia riconfermava la carenza di attività secondarie di Paldea, probabilmente è perché se ne erano concentrate tante (troppe?) nell’istituto Mirtillo. Di nuovo: un “finale” coi fiocchi, ma sarebbe stato carino averlo un po’ più distribuito lungo tutto il percorso.

Assieme a tutto questo, ovviamente, si riconfermano i tanti problemi del gioco base – di cui abbiamo già parlato, per cui non mi dilungherò oltre. Voglio spendere qualche parola in più giusto per le opinioni personali, perché sì: i problemi che affliggono questa generazione sono davanti agli occhi di tutti ed è impossibile negarli. Non è nemmeno salutare farlo, nascondendosi dietro a “eh vabbè è solo grafica” – come non è salutare fare di tutta l’erba un fascio e negare che un accenno di cambiamento in meglio Paldea l’abbia avuto.

Boicottare o no?

Dobbiamo affrontare un brutto discorso: se continuiamo a comprare questa roba è perché ci piacciono i Pokémon. Sfogatevi qui e adesso con il solito “e dai, non dire cazzate” – sì: se compriamo Pokémon è perché ci piacciono i Pokémon. Come chi compra Fifa perché gli piace il calcio, supporrei? E se c’è una cosa che per me è fatta davvero bene a Paldea sono proprio loro. Magari qualcuno ce lo dimenticheremo, qualche altro design è veramente pessimo (poveri i tre cani di Johto), ma i Pokémon in Scarlatto e Violetto sono fatti veramente da dio, e alcune delle nuove aggiunte si sono fatte voler bene.

Questo non vuol dire che dobbiamo accettare proprio tutto, solo perché abbiamo i Pokémon più belli che mai. La scelta è difficile: rifiutarci di finanziare il mostrone, o continuare a finanziarlo per ciò che ci piace anche se è un disastro su molti fronti. Tenendo anche conto nel mentre delle varie sfumature di grigio tra il bianco e il nero più evidenti. Non si può ridurre tutto a un boicottare e non comprare: perché funzioni quel metodo bisognerebbe convincere “parecchie” persone. E se ci riuscissimo ok, ottimo risultato e speriamo serva.

Fino ad allora però temo sia dovuto un altro tipo di confronto: l’obiettività. I Pokémon sono bellissimi a guardarsi – ben fatto, un punto. La trama è tutto sommato molto godibile – ben fatto, altro punto. Mancano le funzionalità base che fanno sì che un open world sia un open world, e che un gioco sia un gioco: molto male, mille punti in meno. Tutto ciò detto, ovviamente, col dovuto scongiuro che questo è il mio modo di essere obiettivo su un videogioco, che magari altri o altre non condividerebbero anche sotto l’influenza delle evidentissime lacune del titolo.

Personalmente mi risulta difficile innalzarmi a freddo giudice di un gioco, soprattutto se – come Scarlatto – qualche emozione me l’ha regalata. Non mi dimentico di ciò che ho provato nel finale del gioco base. Non dimenticherò mai nemmeno Koraidon, un drago che poi sotto sotto è un cucciolone goloso di panini e che è stato compagno di così tante avventure. Lui come Pepe e Mabosstiff, come anche Penny, Nemi. Non mi dimenticherò del “trucco” per evocare Meloetta, una roba che fa impallidire anche Mew sotto il furgoncino.

Ma se mi porto nel cuore tutto questo, un’altra parte di me è enormemente dispiaciuta e incazzata per la pessima esecuzione, per l’enorme occasione disastrosamente mancata. Paldea meritava davvero tanto, e invece abbiamo avuto un bel pastrocchio. Non mi dimenticherò mai che i primi ad accecarsi e scottarsi cercando di raggiungere il tesoro dell’Area Zero siamo noi della fanbase più accanita, mentre Game Freak ha le mani di mia madre che tocca una padella rovente e non batte ciglio. Vorrei tanto ci fosse un modo semplice perché il messaggio passi e l’azienda madre si rimetta in riga. Purtroppo però questo è uno dei molti casi in cui il cambiamento che speriamo lo vedremo solo al nascere di un’era completamente nuova.

Addio, miei giovani e liberi avventurieri. E buona fortuna!

Voto e Prezzo
No
5€ /35€
Commento
I DLC di Pokémon Scarlatto e Violetto chiudono una generazione veramente difficile per la serie Pokémon, e lo fanno riconfermando tutti i problemi e i punti di "forza" già visti nei traballanti giochi base.
Pro e Contro
Riconfermati dal gioco base

x Riconfermati dal gioco base

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