Piccoli robot che imparano. Questa riflessione mi ha colpito al primissimo impatto, quando ho scoperto dell’esistenza di Little Learning Machines. Di base è proprio così che funziona il gioco, e mi ha spinto a riflettere su più cose piuttosto spesso.

“Ma quindi davvero i robottini che ho davanti imparano? Siamo entrati nel momento in cui il gaming sperimenta il machine learning? Come si sviluppa un gioco in cui i protagonisti imparano da ciò che fanno, come si svolge?”

Volevo capire, ma ironicamente ancora non ci ho capito quasi nulla. Più gioco, più ho davanti un’esperienza intrigante ma che mi richiede più sforzo mentale di quanto mi piaccia ammettere. E forse lo scopo del gioco è un po’ anche questo.

Piccole macchine imparano

Prima di spiegare le meccaniche che mi crucciano da settimane facciamo un po’ di chiarezza di contesto.

C’è questo grosso e azzurrissimo cristallo che ozia su un’isola – grosso e azzurrissimo, ma a quanto pare anche parecchio colto. Al punto che si annoia a morte e resta super colpito dagli scarti di un robottino che gli finiscono in casa. Chissà come un pezzo di sé che il cristallo aveva perso finisce nel robottino infondendogli nuova vita. Le sue azioni sono completamente casuali, e non fa altro che muovere in direzioni a caso. Ma forse, forse può fare di più…

Con un semplice comando inizia la prima di moltissime sessioni di addestramento: “ti piace raccogliere cristalli”. Non succede nulla immediatamente, ma ecco che dopo un po’ il robottino raccoglie un cristallo. E dopo altro tempo ne raccoglie un altro, passa un altro po’ e ne raccoglie un terzo. Il robot continua a dare l’impressione di decidere casualmente una direzione, ma in realtà sotto sotto sta imparando e la casualità sarà sempre più votata a quell’amore per i cristalli.

Una semplice raccolta di cristalli viene poi resa sempre più complicata aggiungendo impedimenti di vario tipo. Alture, ostacoli, acqua alta, ma lo scopo è sempre lo stesso: far sì che il robottino completi il suo compito di raccolta.

Love and Fear

Il gioco nella sua interezza si basa, come evidente da quanto sopra, sull’addestrare gli Animo incontrati (i robot) perché portino a termine vari tipi di compito in ciascun livello.

LOVE e FEAR LV e FR stanno per Learning Value e Failure Reason, o LOVE e FEAR in una lettura alternativa.
Ma come lo si fa? Con un sistema di ricompense e punizioni che assegnano a ciascuno punti LV e FR, basato su un concetto noto in psicologia come “rinforzo positivo/negativo”. Il bastone e la carota, in due parole: per ogni azione “azzeccata” si può decidere di premiare un Animo con 1, 10 o 100 punti LV. Diametralmente l’opposto si può fare quando invece sbagliano.

E mamma mia se funziona. Quei 100 punti tirano davvero, perché un Animo che muoveva letteralmente a caso prenderà a poco a poco a impostarsi su decisioni sempre più sensate, raccogliendo oggetti e superando ostacoli. A questo sistema si collega poi quello dei Compass (“bussole”) – ovvero, elementi di gioco che il robot rileva per sua natura. Anche questi si possono modificare in base alle necessità, e in realtà si deve farlo. Se ognuno ha infatti un campo visivo attorno a sé entro cui rileva oggetti (entrare più nel dettaglio è davvero troppo), i Compass vengono rilevati indipendentemente dalla distanza.

Questo significa che una volta imparato cosa devono fare andranno dritti a farlo, vero? No. Niente di più sbagliato.

Bastone e carota. Con la pazienza di farceli arrivare…

Nello spazio d’addestramento del gioco noto come “Cloud” avviene tutto ciò che riguarda l’addestramento degli Animo.

Solitamente si inizia un livello scoprendo nuovi oggetti, e scoprendosi circondati di azioni attualmente incomprensibili anche a chi gioca. Ci si dirige dunque nel Cloud, si selezionano gli Animo, si piazzano gli oggetti trovati nell’isolotto virtuale e si sceglie quali azioni l’Animo deve eseguire. Il gioco raccomanda di creare un contesto molto semplice all’inizio – ad esempio, come in foto, porre direttamente l’obiettivo di fronte al robottino perché non possa mancarlo nemmeno muovendo casualmente.

Se sulla carta è semplice, in realtà il processo decisionale all’inizio casuale rende tutto un filo più complesso. E c’è pure una raccomandazione esplicita del gioco a essere molto pazienti, perché le cose non si imparano in un attimo. Raccomandazione che lì per lì si può pure prendere sotto gamba, finché non è altamente evidente che non vada fatto.

Il processo di addestramento di Little Learning Machines è lungo, tedioso, straziante. In alcune occasioni ci vorrà un po’ per ottenere i primi risultati – e anche allora è il caso di attendere prima di dare per buono lo sforzo, perché l’obiettivo potrebbe essere stato completato più o meno casualmente. Ma la macchina a quel punto sfodera un nuovo asso: “ah pensavi avesse imparato? Guardalo predere a testate un albero senza nessunissimo motivo.”

E allora via di nuovo nel Cloud, a inserire anche gli alberi e mille altri ostacoli nel processo di addestramento. Uno alla volta chiaramente.

Nessun tipo di guida era servita a qualcosa con me. Eppure ci sono, e sono anche piuttosto dettagliate. Forse anche troppo, e forse è stato proprio questo il problema: sebbene il grande cristallo dettagli tutto ciò che capisce degli Animo, lo fa con dei wall of text piuttosto imponenti da cui è semplice distogliere l’attenzione se non se ne ha molta.

Quindi, dopo aver dovuto imparare da me che ci voleva molta pazienza perché ogni singolo comportamento fosse assimilato dagli Animo, dovevo continuare. Capire da me che non bastava un bastone davvero grosso o un bel bastimento di carote perché l’omino virtuale facesse ciò che avevo in mente – dovevo equilibrare la dose. C’è voluto davvero un bel po’, e nello specifico ci è voluto che un Animo in addestramento raccogliesse un cristallo su un totale di 10 per poi tuffarsi di proposito in acqua e morire. Nonostante avessi impostato un’enorme punizione per le cadute in acqua. Perché? Ma perché – ovviamente – era la soluzione al rompicapo con il miglior bilancio di guadagni e perdite.

Ma non meglio non scendere più giù nella tana del Bianconiglio in questa specifica sede. Ma avremo occasione.

Bisogna usare bastone e carota nella giusta dose. Ma qual è?

Tirare le somme per Little Learning Machines è un po’ strano. Chiaramente è ben lontano dall’essere il gioco dell’anno – per quanto interessante sia l’utilizzo delle cosiddette reti neurali nel processo di apprendimento degli Animo. Di sicuro poi non è per tutti: ci vuole veramente tanta pazienza.

Però, appunto, è interessante. Ed è un buon modo di tenere la mente in allenamento nei ritagli di tempo. Un’altra cosa che mi ha sorpreso è stata il nutrito sistema di personalizzazione, che permette di far indossare agli Animo oggetti ottenuti completando i vari obiettivi. Un dettaglio, eh, però un dettaglio carino.

Quella degli Animo è stata un’esperienza, va detto. Succede spesso che un gioco mi aiuti a capire qualcosa di me – ma che potessi capirlo da un gioco “di portata minore” come Little Learning Machines non mi era ancora capitato. E la morale è qualcosa che avevo probabilmente dimenticato, ma che ora ho recepito forte e chiaro: a volte ci vuole pazienza per comprendere il mondo – tanta, tantissima pazienza. Ma va investita, perché cose che spaventano in realtà possono non essere così terrificanti una volta che le si conosce.

Voto e Prezzo
7 / 10
18€ /18€
Commento
Troppo bastone vizia, troppa carota allontana dallo scopo. Nel mezzo un equilibrio, uno spettro così ampio che anche la giusta dose potrebbe non essere la soluzione migliore. Me lo ricorderò, Little Learning Machines.
Pro e Contro
Stimolante
Educativo

x Ci vuole tanta pazienza.

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