Con Life is Strange: Before the Storm Deck Nine si prende l’onere di salire sul palcoscenico dopo Dontnod, cercando di aggiungere qualcosa alla storia di Dontnod. Pessima idea…
Saper
raccontare bene una storia non è cosa da tutti, ma
Life is Strange c’era in qualche modo riuscito. Non senza strascichi, ma portando a casa il risultato.
Ma saper raccontare bene una storia
di cui tutti conoscono già il finale beh,
è un’altra storia.
La colpa più grossa di
Before the Storm, in fondo, è proprio questa: dall’inizio alla fine si ha la consapevolezza di come andranno a finire le cose – in particolare, capita spesso di pensare che tanto alla fine il destino è
già tracciato, e le scelte che si stanno prendendo sono alla fine
irrilevanti – e vengono quindi giocoforza a mancare tutti i colpi di scena, i
cliffhanger e gli espedienti narrativi di questo tipo che chi scrive può utilizzare per stendere chi
legge (o
gioca, in questo caso) la sua opera.
Before the Storm inciampa sulla sua stessa natura: sapendo che di fatto è un filler, viene a mancare l'empatia.
Versione testata: PlayStation 4
Come da titolo, le vicende raccontate sono quelle
prima della tempesta al centro di
Life is Strange, prima quindi del ritorno ad Arcadia Bay di Max. Viene di conseguenza a mancare l’elemento sovrannaturale, tanto più che la scelta di Deck Nine è quella di mettere il giocatore nei panni di
Chole Price,
partner in crime di Max in quello che ormai è il capostipite di un franchise di successo e
ribelle ragazza ordinaria. A spalleggiarla, quella che nel corso dell’esperienza diventerà la sua nuova migliore amica – in luogo, appunto, di Max – e attorno alla quale graviteranno gli eventi del primo capitolo: Rachel Amber.
Raccontare altro della trama sarebbe di fatto tagliare l’unico flebile filo che tiene insieme la produzione
Il problema di Before the Storm? Sappiamo che è tutto già scritto
Anche perché non c’è molto altro da dire:
Before the Storm cerca di fungere da riempitivo andando a raccontare come Chloe e Amber siano diventate amiche – conscenza che comunque rimane
ininfluente ai fini di
Life is Strange – e ripropone qualcuno dei personaggi già visti nel primo capitolo, tenendoli in massima parte confinati sullo sfondo e con anche una
defezione illustre che fa
una sorta di cameo solo nel finale. Bene o male gli eventi sono quindi scollegati da quelli del sequel: si, il punto di vista di Chloe permette di affrontare da un’altra angolazione alcuni dei motivi che l’hanno spinta a diventare quella ragazza che si incontra nel bagno all’inizio di
Life is Strange, ma la sensazione è che si tratti più che altro di sprazzi inseriti su disco per cercare di far
empatizzare con la ragazza,
più che perché funzionali al racconto. Tutto quello che riguarda Rachel invece è inedito, visto che la sua figura era invece tenuta ai margini nel primo capitolo, ma appunto – chi ha giocato
Life is Strange lo sa – si va avanti con la consapevolezza che alla fine è già tutto scritto, il finale è ineluttabile e alla fine non c’è nemmeno poi tutto questo interesse nei confronti di Rachel. Sarebbe stato
diverso se in-game si fossero affrontati i perché dietro il ruolo che la figlia del procuratore di Arcadia Bay va ad assumere nel primo capitolo, ma invece si è puntato tutto su un’inedita storia dell’inizio di un’amicizia – o di qualcosa di più, ci
piacerebbe poter dire
a seconda delle scelte ma in realtà quasi tutta la produzione
punta prepotentemente in quella direzione – che alla fine lascia la sensazione di essere un riempitivo, in attesa di un secondo capitolo ormai davvero imminente.
Questo
non vuol dire che sia tutto da buttare o che non valga assolutamente la pena di tornare ad Arcadia Bay: si è comunque davanti a quella che è probabilmente
l’ultima possibilità di vedere Chloe (e Max, vista la sua presenza indiretta nei tre episodi “principali” e quella diretta in quello bonus) sotto i riflettori e di immergersi in quel mondo che Dontnod aveva saputo costruire con una certa maestria, e i personaggi (per quanto funzionali) riescono a
fare il loro dovere. Ci sono delle scelte un po’ fuori dalla caratterizzazione che ci si aspetterebbe –
giustificabili in buona parte nell’ottica di un processo di crescita che in
Life is Strange era terminato e qui è solo all’inizio – ma al netto di questo la sensazione di ritrovare dei vecchi amici c’è tutta. Solo che
non si va molto oltre a quella, e sta a chi gioca decidere se va bene così, se vale la pena affrontare il tutto anche solo per poter avere un ultimo assaggio o se ci si ritiene sazi.
Ma la verità, forse, è che è più facile fare questi ragionamenti
a ragion veduta, dopo aver giocato i quattro episodi di
Before the Storm. Senza questo senno di poi molto probabilmente non appena finito
Life is Strange si sarebbe
sentita la necessità impellente di rimanere attaccati a quel mondo, per metabolizzare il finale ma anche molto banalmente solo perché non si era ancora
pronti a
voltare pagina.
Oppure forse il problema è proprio
legato al finale di
Life is Strange, o meglio a come questo finale (ma in generale tutte le scelte più o meno importanti fatte in-game) lo si è vissuto. A Deck Nine, per i motivi che si dicevano più su, è mancata l’empatia di chi stava davanti allo schermo, ed era proprio l’empatia
il segreto dietro la riuscita del lavoro di
Dontnod.
Verdetto
7 / 10
Come Rogue One, ma senza Morte Nera...
Commento
Pro e Contro
✓ Qualche altra ora in un mondo che abbiamo amato
x Sappiamo già come andrà a finire...
#LiveTheRebellion