Anni ruggenti.
Odore di tabacco. Il suono del Bourbon versato nei bicchieri, il jazz improvvisato dal vivo, contrabbassi, percussioni, trombe e piano in un’orgia di sonorità suadenti che si sparge come un profumo tra le chiacchiere degli avventori. Gentiluomini in completo, eleganti e distinti indipendentemente da quello che si cela nella loro anima, il perbenismo dell’America del dopo guerra al suo massimo splendore. Gangster, detective, aspiranti attrici con gli occhi pieni di sogni, produttori dagli occhi bovini in cerca dell’ennesima preda, tutti sotto lo stesso tetto.
Uno spaccato di vita losangelina,
tra la speculazione edilizia e l’epoca d’oro holliwoodiana, il primo vagito del sogno americano concretizzatosi dopo la vittoria contro l’asse, quando tutto sembrava perfetto e il marcio veniva nascosto sotto un tappeto fatto di automobili, lavoro e villette a schiera in periferie da dépliant, prati all’inglese e colori pastello. Nessuno sano di mente avrebbe mai avuto il coraggio di scavare nel torbido, senza accontentarsi di fare il “compitino” e cedere ai mille demoni tentatori della West Coast, della L.A.
noire. Nessuno tranne
Cole Phelps.
Versione testata: PlayStation 4
Boom economico
L’opera Team Bondi è un racconto socio-economico che affonda le sue radici nel calderone post bellico in cui ribollivano gli U.S.A…
L.A. Noire,
oggi come nel 2011,
è un capolavoro. Sette anni di sviluppo che segnarono il destino di
Team Bondi, legato a doppio filo ad un progetto troppo ambizioso, forse sciagurato, per cui nacquero e “morirono”, annegati nei debiti come chi viene rigettato dalla città degli angeli annega nell’alcool. A poco servì il supporto di Rockstar, se non a finanziare un progetto che fu una delle pietre miliari di un’intera generazione e che oggi torna in
1080p (
4K su PS4 Pro e Xbox One X)
comprensivo dei cinque DLC d’accompagnamento rilasciati all’epoca. Roba poco indispensabile, che andava detta e tolta subito dal discorso. La grandezza di questo titolo è da ricercare oltre le apparenze da pigra remastered condita dall’aumento della risoluzione.
La Los Angeles anno 1947 è viva, ricreata con cura maniacale grazie al materiale dell’epoca, alle foto, alle mappe, agli aneddoti. I cittadini camminano come su una passerella d’alta moda, sfoggiando abiti impeccabili e acconciature perfette, movenze e chiacchiere, assaporando quella “libertà” sulla bocca di tutti, emancipati e padroni del proprio destino. Ogni angolo della città è un tripudio di pubblicità sgargianti dagli slogan vintage, loghi, simbolismi massonici e controversie razziali, automobili di eterna classe, dalle più popolari Ford e Packard della classe operaia, passando per le cigolanti volanti della polizia fino all’esclusiva
Cadillac V16 Convertible; le strade sembrano un museo a cielo aperto mentre l’autoradio trasmette ora swing, ora uno sceneggiato a puntate. Central, Chinatown, la Hollywood di quando ancora campeggiava sulle colline il suffisso “land”, i tram e le zone residenziali divise in spogli lotti nel pieno dell’isterismo edilizio.
Un free-roaming didattico e culturale, ammaliante ed avvolgente, assolutamente declinato alle esigenze del giocatore, il quale può decidere di girare per L.A. a piedi e senza meta come far guidare il proprio partner, tagliando i tempi di spostamento e concentrandosi totalmente sulle indagini.
…Dove uomini e donne inseguivano i propri sogni in preda all’euforia da libertà del sogno americano
Proprio loro sono il fulcro, il senso ultimo di questo titolo alimentato dalla voglia di sentirsi dentro un libro di James Ellroy, investigando taccuino alla mano interrogando sospetti e testimoni, basandosi solo sul proprio intuito in un’epoca in cui le moderne analisi forensi erano pura fantascienza.
L.A. Noire però non vuole raccontare la sua storia tramite tecniche letterarie o cinematografiche,
vuole anzi farlo nel modo più umano e naturale possibile. Si interpreta un uomo, un poliziotto, un marito fondamentalmente comune, con la propria morale, idee e humour, in cui riconoscersi, a cui affezionarsi grazie ad un modo di porsi irresistibile. Un protagonista circondato da tante altre persone indimenticabili nella loro normalità, ognuna con il suo background e un fascino unico, esaltato da un MotionScan ancora oggi splendido da vedere, da cui traspaiono sogni, ossessioni, psicosi, verità o menzogne. Decine di attori in carne ed ossa per un’interpretazione virtuale esaltante e perfettamente integrata col tessuto ludico, come avremo modo di vedere. Ogni personaggio ha sempre qualcosa da dire, qualche particolarità, un tic, un modo di interagire con noi, dalle comparse fino ai personaggi cardine, come la cantante jazz Elsa Lichtmann, l’ex commilitone Jack Kelso e l’ambiguo dottor Harlan Fontaine, intrappolati in un Intreccio che si perde nei ricordi della Seconda Guerra Mondiale che tornano a tormentare il presente. Questa è la magia che permea un’esperienza che non vi vuole far vivere l’epicità concentrata su carta o pellicola, vuole farvi semplicemente vivere, in un’epoca che ci siamo persi per forza di cose.
Una joie de vivre che passa tanto dall’aspetto umano quanto ambientale. Bar, locali, ristoranti, stazioni di polizia e studi cinematografici, appartamenti, ville e parchi, edifici governativi e pubblici, tutti sfoggiano i canoni architettonici dell’epoca, di cui ancora oggi si trovano esempi in tutti gli States. In ognuno di questi luoghi si sentono suoni, voci, si vedono abitudini diverse per ogni ora del giorno, persone che lavorano o si svagano, meccanici che lucidano un’auto fuori da una concessionaria e bartender che preparano cocktail, si pensa addirittura di sentirne gli odori che permeano l’aria. Sembra di averci vissuto in questa Los Angeles, lastricata di sogni infranti e realizzati, vite spezzate o sprezzanti sullo sfondo di un’industria cinematografica cannibale, capace di ammaliare come di uccidere. Il destino di Elizabeth Short, la “Dalia Nera”, storia tristemente vera più volte romanzata che qui ritorna indirettamente una volta entrati alla “omicidi”, per indagare su una nuova serie di efferati assassini. Giochi di potere, corruzione, droga e mafia, incartati nell’euforia post bellica.
America di piombo,
placcata oro.
Ferisce più la penna che una Colt
Uno scenario in cui il crimine non può che prosperare, andando a creare per la città
opere teatrali chiamate scene del crimine. Questi palchi metropolitani mostrano una scenografia quasi ecclesiastica, rituale, studiata per istillare il dubbio nella mente del giocatore, farlo pensare come un detective, in un gameplay da
avventura grafica dinamica dove non ci saranno segnali visivi a indicare le interazioni ma solo uditivi, sotto forma di
delicatissime note di pianoforte in prossimità dei punti di interesse. Un parallelo musicale che continua col sottofondo, note di contrabbasso tra romanticismo e tensione, curiose, interrogative, quasi a chiedere al giocatore “cosa stai pensando?”. Un vinile che smetterà di suonare solo quando avremo raccolto ogni indizio principale e risolto enigmi ambientali, lasciando al fiuto del giocatore la possibilità di andare fuori dal seminato e trovarne di facoltativi mentre si chiacchiera col proprio partner. Queste deviazioni portano a tutta una serie di variabili (
circoscritte al caso in questione) che si fondono con ciò che rende il gameplay così speciale, ovvero gli interrogatori. Leggere la
superba mimica facciale degli interlocutori, interpretare le loro parole e decidere se dicono la verità o mentono, assecondandoli, forzandoli o smentendoli presentando una prova in stile Phoenix Wright, provvidenzialmente segnata sul nostro taccuino (
interpretazione occidentale di gran classe della serie culto Capcom).
Situazioni dove il giocatore ha totale controllo e arbitrio,
dal cui esito dipenderà l’evolversi dell’indagine, portandoci a sbrogliare in fretta la matassa o facendoci fare ancora qualche girotondo ad L.A., cambiando l’ordine dei luoghi da visitare e delle persone da incontrare, fino ad inseguire ed arrestare un fuggitivo oppure arrivare allo stallo con un ostaggio di mezzo. Un costante e magistrale
equilibrismo tra libertà e story driven in cui inseguimenti (
a piedi o in auto), scazzottate e sparatorie sono un mero orpello d’atmosfera, che sarà addirittura possibile saltare nel raro caso in cui ci si ritrovi incagliati in una di queste sezioni. Orpello con tutti i crismi però, utile a movimentare il ritmo ragionato e suggestivo e dare un fondamentale tocco di colore “
hardboiled”, senza mai eccedere in facili spettacolarizzazioni “hollywoodiane”.
Il gameplay viene declinato alla realtà dei ritmi investigativi dell’epoca, facendoci assaporare ogni dettaglio di questa lunga carriera.
Un gioco che privilegia chi cammina, chi ama ragionare e osservare ogni dettaglio, grazie ad un comparto tecnico ancora oggi pregevolissimo, sartoriale come i completi di Phelps, esaltato dagli zoom che mostrano un livello di dettaglio assolutamente contemporaneo che avrebbe meritato di girare a sessanta fotogrammi al secondo almeno in questa iterazione. Ci sarebbe tantissimo da raccontare a chi non ha avuto il piacere di giocarlo sei anni fa, casi memorabili, scene toccanti e dialoghi eccezionali ad ogni singola battuta (
2.200 pagine di script vintage), un videogioco umano in una scena videoludica che cerca sempre di più l’intesa carnale col cinema, aggiungendo finzione alla finzione.
Un titolo unico nel panorama, che mostra qualche ruga in una palette cromatica spenta ma comunque adatta al contesto (
con la possibilità di desaturare tutto in bianco e nero, splendido), in una guida fin troppo leggera (
e le auto di allora erano dei carriarmati) e in sparatorie dalle meccaniche abbozzate purché efficaci.
Prova schiacciante che i capolavori non invecchiano mai,
diventano “d’epoca”.
Verdetto
9 / 10
Una città dove la casa di un uomo è il suo castello.
Commento
Pro e Contro
✓ Atmosfera avvolgente
✓ L.A. anni '40 reale e viva
✓ Interpretazione magistrale e "umana"
✓ Comparto sonoro da estasi
x Sparatorie e inseguimenti per dare colore e poco più
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