Jump Force è la riprova che certi sogni hanno più fascino se rimangono tali.
Nota: la copia per la recensione di Jump Force ci è stata gentilmente noleggiata da Bartlex, un servizio che si propone come l’equivalente più prossimo a Netflix per i videogiochi usati. Tutti i dettagli nell’episodio 23 di Gameromancer.
Inutile girarci attorno: ogni fan di anime e manga munito di una console a casa avrebbe dato, in giovinezza, la mano destra per poter giocare qualcosa di lontanamente simile a Jump Force. Inevitabile, visto che per anni prodotti del genere sono rimasti confinati da un surrogato della politica isolazionista giapponese applicata ai videogiochi o a qualche mod amatoriale, dal celebre Mugen fino alle versioni pirata dei vari Budokai e Budokai Tenkaichi.
Era inevitabile aspettare Jump Force al varco. Il risultato? Abbastanza deludente
Quanto dura? A volerlo sviscerare tutto, Jump Force può arrivare alla soglia delle 30 ore. Ma è molto probabile che una volta finiti di sbloccare i 40 personaggi (+ Seto Kaiba come DLC) il multiplayer mandi in pensione le missioni.
Al di là di una trama tutto fuorché originale, che vede i vari mondi Jump collidere con il mondo reale per creare il pretesto dietro alla Jump Force – è impossibile non pensare subito al primo mega-evento Marvel, Guerre Segrete – il titolo va in affanno già dalle prime battute, dove invece un cast così variegato avrebbe dovuto consentire un facile match point. Spesso e volentieri le cutscene risultano noiose, i dialoghi poco approfonditi e insomma, i personaggi originali non al massimo della loro forma, con il risultato di confinare tutte le velleità narrative del titolo in secondo piano. Un peccato, perché negli anni la Terra del Sol Levante è riuscita a confezionare esperimenti del genere che, pur senza raggiungere vette di originalità clamorose, sfruttavano egregiamente il materiale originale. Ma non basterebbe certo questo ad etichettare Jump Force come deludente; dopotutto, il motivo per cui pagare il prezzo del biglietto non è quello di sentirsi raccontare una storia inedita, ma quello di giocare impersonando qualche vecchio (o nuovo) personaggio delle serie Jump. Da questo punto di vista, appare un po’ straniante la scelta di realizzare una sorta di “clone” di Dragon Ball Xenoverse. Il tutto infatti si apre mettendo il giocatore davanti ad un editor del personaggio, laddove idealmente ci si sarebbe aspettato un maggiore focus sui personaggi tratti dal mondo degli anime e manga della Zaibatsu dell’intrattenimento nipponico. Focus che comunque non tarda ad arrivare, visto che Jump Force si gioca a squadre di tre elementi, e durante la campagna il giocatore potrà alternare il proprio alter ego ad altri eroi (o cattivi, a seconda delle possibilità offerte dalle missioni). A lasciar desiderare è più che altro questo approccio, che di fatto mette il giocatore davanti ad un hub simile alla Toki-Toki City del titolo Dimps ma più anonimo e dispersivo, al punto da rendere talvolta poco immediata anche un’operazione semplice come l’avvio di una nuova missione, visto che i personaggi non giocanti hanno la tendenza di frapporsi tra il giocatore e il desk da cui far “girare” le funzioni principali del gioco. Ma quel che lascia perplessi, soprattutto, è l’appiattimento del battle system originale di Xenoverse: laddove Dimps, pur rendendo il gioco decisamente accessibile, era riuscita a regalare al tutto una certa profondità – con i problemi di bilanciamento poi limati in Xenoverse 2 – Spike Chunsoft ha preferito puntare su qualcosa di ancor più essenziale. Quindi? Quindi si finisce fondamentalmente per utilizzare il solo tasto degli attacchi leggeri, premuto a ripetizione e al massimo “direzionato” con lo stick analogico, perché risulta più efficace procedere così e non c’è nessun appagamento nel realizzare combinazioni più “tecniche”, in massima parte ignorate dal titolo.E a questo punto che interviene il fanceservice a salvare capra e cavoli
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