Recensione Hand of Fate

Uno dei motori grafici che, specie nell’ultimo periodo, va per la maggiore è senza dubbio Unity, che è riuscito a ritagliarsi uno spazio importante agli occhi degli addetti ai lavori grazie alla sua estrema malleabilità (i titoli realizzati con Unity spaziano dal platform fino alle “simulazioni fisiche” di Besiege, toccando davvero tantissimi generi) e al numero di piattaforme che supportano l’engine, capace in pratica di far arrivare un titolo su qualunque dispositivo, console incluse. Per il suo Hand of Fate anche Defiant Development si è rivolta a Unity, riuscendo a portare la sua creatura prima su Steam (in Accesso Anticipato) e poi su PS4 e Xbox One. Vediamo con quali risultati

Versione testata: PS4

Il cuore delle carte
Due modalità principali: campagna (una serie di 12 missioni) o endless
L’incipit di Hand of Fate è tutto sommato semplice e si pone l’obbiettivo di contestualizzare e giustificare quella che sarà l’esperienza di gioco, piuttosto che spiegare come i personaggi siano arrivati alla situazione di inizio gioco: il protagonista è chiamato a giocarsi letteralmente la sua vita a carte contro un misterioso mazziere, dotato del potere di rendere “vive” e concrete le carte a sua disposizione. Lo scopo della campagna principale (oltre a questa è presente anche una modalità endless che va avanti finché il giocatore non muore) sarà quello di affrontare i dodici servi che il mazziere di volta in volta inserirà in partita a ricoprire la funzione del classico boss finale, tenendo presente che ogni tre partite vinte sia il giocatore che il mazziere riceveranno dei bonus conferendo al tutto una curva di difficoltà crescente. Al centro dell’esperienza, prevedibilmente, ci sono quindi queste carte, differenziate in tipologie a seconda delle loro caratteristiche e utilizzate per costruire in modo procedurale ognuna delle missioni.

Mani di fata fato
Ogni partita è in pratica una sorta di campagna in stile Dungeon & Dragons dove il ruolo del dungeon master è svolto dal caso
Ogni partita è in pratica una sorta di campagna in stile Dungeon & Dragons dove il ruolo del dungeon master è svolto dal caso: distribuite le carte (coperte) sul tavolo a fermare un percorso ad ogni mano il giocatore avanza sopra una di queste e ne causa la scoperta, che innescherà quindi l’evento che “caratterizzerà” il turno: può capitare di incontrare qualche personaggio ed interagire con questo mediante un menu a scelta multipla, trovare una via di fuga dal dungeon che permetta di avanzare verso il boss, cadere in un’imboscata o incappare in situazioni che possono risolversi a favore o a sfavore del giocatore (generalmente l’esito di queste è determinato dalla scelta di una carta tra quattro, che possono essere di “Grosso Successo”, “Successo”, “Fallimento” o “Grosso Fallimento” a seconda delle probabilità dell’evento). Oltre al dungeon in se e per se le carte determinano anche l’equipaggiamento del giocatore, sia per quanto riguarda armatura ed armi (divise in armi d’attacco e scudi, che aggiungono la possibilità di parare e riflettere i colpi e quella di stordire gli avversari) che per quanto riguarda eventuali perk e malus, rappresentati dalle Benedizioni e dalle Maledizioni pescate come premio in caso di completamento (o in caso di fallimento per le Maledizioni) degli eventi del dungeon. Il mazzo è completato da carte che determinano la quantità d’oro da aggiungere alle finanze del personaggio (da utilizzare ad esempio con i mercanti o durante alcuni fasi di gioco) e da quelle Cibo, di cui se ne consuma un’unità ad ogni turno quando si effettua lo spostamento su una carta. Consumare Cibo permette di recuperare al contempo salute, ma una volta esaurito ogni movimento invece ne decreterà un calo di 10 punti.

Si ok, ma quando ci si picchia?
Non mancano fasi più action o esplorative, sulla falsariga della serie Batman Arkham
Su questa struttura a metà tra il già citato Dungeon & Dragons ed un gioco di carte collezionabili si innesta, quando si arriva allo scontro con il boss o si viene attaccati all’interno del livello, un sistema di combattimento a tre dimensioni che riprende le meccaniche già viste nella serie Batman Arkham: con il tasto quadrato si attacca con l’arma, cerchio permette di utilizzare lo scudo per stordire il nemico di turno mentre triangolo, quando compare un indicatore verde sopra al bersaglio, innesca il contrattacco. L1 e R1 permettono poi eventualmente di utilizzare l’abilità della propria arma e gli oggetti di supporto. Questi spezzoni più action si affiancano infine ad una certa componente da puzzle/adventure quando ci si trova ad avere a che fare con alcune zone da esplorare stando attenti alle trappole (talvolta presenti anche quando si affrontano i nemici), solitamente con l’obbiettivo di arrivare ad un forziere. Il risultato finale quindi “mixa” questi aspetti a quelli descritti nel paragrafo precedente, riuscendo ad intrattenere chi gioca per un buon numero di ore visto che da una parte le meccaniche sono solide e dall’altro le carte permettono di giocare livelli sempre diversi (in perfetto spirito roguelike) e, soprattutto, riescono a tenere il giocatore sulla corda introducendo una certa componente legata alla fortuna che però non rende il tutto esasperante ma anzi, aggiunge un po’ di pepe al piatto servito in tavola.

Mano di Dios
Qualche problema di fluidità e testi solo in inglese
Dal punto di vista visivo il titolo funziona: non è sicuramente un gioco destinato a diventare un benchmark grafico, ma gli scenari sono sufficientemente dettagliati e le animazioni in generale buone, soprattutto quando si è “al tavolo” di fronte al mazziere. Vanno però segnalati alcuni problemi di fluidità, almeno nella versione PS4 da noi testata, che nelle situazioni più concitate in battaglia si traducono in qualche calo di framerate e si riflettono anche al di fuori di queste, con qualche “scatto” di troppo anche quando il mazziere sta semplicemente mescolando le carte. Buoni doppiaggio e dialoghi (capaci anche di strappare qualche sorriso quando il mazziere è in attesa della mossa del giocatore da un po’), che però sono completamente in inglese con sottotitoli nella stessa lingua. Non dovrebbe essere un particolare problema visto che il registro linguistico è abbastanza tranquillo, ma una minima conoscenza della lingua d’Albione va messa in conto.

Verdetto
8 / 10
un gioco dove bisogna farsi il mazzo
Commento
Hand of Fate riesce nell'intento di mescolare Dungeon & Dragons con un gioco di carte, e sfruttando queste ultime confeziona una serie di missioni (per quanto possibile) sempre diverse una dall'altra ad ogni partita. Anche la componente legata alla sorte è inserita con cognizione di causa, utilizzandola per risolvere alcune situazioni ma senza arrivare a vette di frustazione tali da rendere il tutto esasperante. Peccato per qualche problema di troppo sul fronte fluidità su PS4, non grave ma sicuramente fastidioso visto che si tratta di macchine di nuova generazione.
Pro e Contro
Curva di difficoltà ben studiata
Meccaniche solide
Rischio assuefazione

x Completamente in inglese
x Qualche problema di fluidità

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