Recensione Gorogoa

Un puzzle da comporre per scoprire il futuro del videogioco.

A Gorogoa bisognerebbe avvicinarsi senza conoscere nulla della sua storia o del suo gameplay, lasciandosi solo incantare dalle poche immagini disponibili sulla pagina dell’eShop di Switch (o Steam, App Store e GOG). Non esiste una scala numerica dell’emotività, e così l’opera di Jason Roberts, artista prima che sviluppatore, sfugge ad ogni regola, ad ogni concetto videoludico noto per espandersi in territori che in molti vogliono scimmiottare ma che pochi riescono a conquistare. Proprio come per il recente Floor Kids, anche qui è nato prima il concetto artistico, su cui poi è stato plasmata un’architettura ludica in grado di coinvolgere il pubblico e dare spessore all’intera idea, grazie all’empatia che solo questo medium riesce ad esprimere.

Gorogoa è prima di tutto una storia raccontata attraverso il gameplay, una breve parabola che rifiuta di esprimersi a parole per lasciarsi scoprire attraverso le immagini, disegni tratteggiati da una mano sapiente, sempre la stessa, quella della one-man-band di Roberts. Una storia che procederà nel suo limbo tra sogno e realtà, sospesa come l’incredulità di un giocatore vero artefice del suo dipanarsi. Quattro pannelli mobili capaci di prendere vita al solo tocco, vedendoli poi animarsi come per magia, sviluppando una giocabilità rotonda che fa suo il giocatore trasformandolo in ingranaggio, andando ad illuminare recettori che neanche sapeva di possedere, stimolando una curiosità fanciullesca sotto forma di ipotesi, combinazioni di riquadri e immobile esplorazione. È come osservare da vicinissimo la pagina di un libro per cercarne il significato, il segreto, per poi scoprire che basta semplicemente voltarla. Così Gorogoa si racconta, intimo come solo la carta sa essere, meravigliando per la sua cristallina unicità.

Versione testata: Nintendo Switch

Una storia in mille pezzi
Sembra di trovarsi in un sogno giocando, o sperimentando, con questo titolo. Sia per il suo ritmo sia per le immagini, dove onirico e reale si alternano sulla stessa scena, un unico piano, quadrato, diviso geometricamente in quattro, su cui vengono disposti i pezzi di un puzzle visionario, dalle mille forme e colori, in cui vive la storia di un ragazzino in cerca di cinque sfere, capaci di risvegliare, o forse sopire, un arcaico potere. Stiamo fondamentalmente parlando di un puzzle game, il cui punto focale sta nella continuità e nell’interconnessione tra le scene che vedremo a schermo. È un unico enigma diviso in tantissime idee geniali, così pure da sorprendere anche il più onnivoro dei giocatori, rompendo con un sommesso “wow” il sottofondo musicale del titolo, tra rimandi etnici ed elettronici. L’anima da avventura grafica si fa notare nell’interazione con gli elementi dello scenario, in questo abbastanza classica, ma sboccia nella manipolazione degli scenari stessi, andando ad accendere una lampada ponendo il pannello che la ritrae – bucato proprio dove dovrebbe esserci la luce – in sovrapposizione a quello di una luminosa stella nel cielo notturno. Oppure accompagnando il nostro silenzioso protagonista verso il suo obiettivo creando un percorso in prospettiva, fino a disegnare una vera e propria rete ferroviaria affiancando gli elementi dello scenario. Enigmistica prospettica, fisica, logica, con alcuni picchi di level design che richiedono tempismo e manualità. La meraviglia dell’interconnessione ci porterà poi a unire scene del passato e del presente, luoghi distanti migliaia di chilometri, realtà e finzione; un labirinto olistico dove tutto – tutto – è collegato.

Un gioco di zoom in e zoom out, affiancamento e sovrapposizione, una dinamicità clamorosa nella sua statica semplicità, divertentissima meraviglia da giocare e rigiocare voracemente, sedotti e abbandonati da una longevità che va da una a due ore, da esplorare nuovamente e senza soluzione di continuità una volta finiti i titoli di coda, anche solo per il gusto studiarne i sofisticati meccanismi scoperti un po’ per caso la prima volta.  Tutto è sempre logico, preciso, intuitivo nei comandi ma complesso per la mente; senza il nostro lavoro cerebrale la storia non andrà avanti, e che storia cari lettori. L’incanto della scoperta viene esaltato dalle mille sfumature dell’opera, tra richiami a religioni, viaggi, culture, visuali da incubo che scavano nella psiche e panorami paradisiaci, mandala dai mille colori e geometrie, architetture antiche, misteriose o in rovina. Riti da riprodurre attraverso il gameplay, indizi lasciati alla nostra libera interpretazione (così come tutta la trama), un percorso tanto criptico quando suggestivo, emozionale e stimolante cromoterapia che trova nei meravigliosi disegni il suo apogeo. Un incontro di fanciullezza e surrealismo in punta di matita, dove i colori pastello dei sogni si sposano con tematiche crude come guerra e depressione, vivendo felici e contenti tra giochi di prospettiva e contrasti.

L’arte di osare
Sette anni di lavoro per dare forma a un’idea, un lavoro maniacale sotto ogni aspetto, esperimento concettuale che ha fuso puzzle e disegno per dare vita ad una storia dalla potenza narrativa ed emotiva di magnitudo altissimo. Jason Roberts ci ha creduto e io ho creduto nel suo lavoro affidandomi esclusivamente ai piccoli scorci postati sulla pagina dell’eShop di Switch, senza guardare recensioni (uscite solo di recente) o leggere opinioni, saltando nel buio come ormai è quasi impossibile fare e scoprendo una di quelle esperienze che, ad una ad una, ampliano sempre di più il concetto di videogioco, ignorando la talvolta inutile (non sempre) e spasmodica ricerca cinematografica fine a se stessa, ma concentrandosi sull’arte applicata all’interattività. Un vero capolavoro, una finestra sul futuro del gioco, futuro nel quale sempre più artisti vorranno far galleggiare le loro opere nel mare videoludico. Un esercizio di meditazione su più livelli che vale ogni centesimo del suo prezzo (5,49€ su iOS, 14,99€ su Switch e Steam) Osate, compratelo, godetene e parlatene.

Oggi i videogiochi sono un po’ più “arte” di prima.

Verdetto
9.5 / 10
Futuristico
Commento
Gorogoa è un titolo essenziale per capire davvero le potenzialità e la versatilità del nostro medium, allo stesso modo della realtà virtuale e delle opere sospese tra pellicola e codice di David Cage. Perfetto nel suo essere puzzle game, perfetto nella narrazione, perfetto nell'estetica, un'opera che poteva essere concepita, studiata e elaborata da una sola persona, che nella sua intimità ha trovato la via per il Nirvana videoludico. Jason Roberts ci regala così un'esperienza tanto breve quanto bellissima, mostrando come il gameplay non debba essere soffocato per lasciare spazio all'espressione artistica, ricordandosi sempre e comunque di giocare e farsi giocare, concetto tanto semplice quanto spesso, colpevolmente, accantonato. Cangiante.
Pro e Contro
Perfetto ludicamente...
...Narrativamente...
...E artisticamente

x Dura quanto un bellissimo sogno

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